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di Antonio Di Grado

Delle celebrazioni di questo centenario della nascita di Leonardo Sciascia mi ha sorpreso ma anche turbato, così come finora mi turbavano persistenti scie di vecchie e ottuse polemiche, l’improvviso unanimismo, anche da parte di figure o di testate giornalistiche che a lungo avevano avversato lo scrittore. Sciascia amava ripetere, con Bernanos, che preferiva perdere lettori piuttosto che assecondarli: perciò questo coro di consensi risulta altrettanto e anzi più inquietante di quelle polverose diatribe.
Ma l’occasione commemorativa ci ha regalato anche notevoli contributi critici, tra l’altro in queste pagine che oggi mi ospitano; perciò mi limiterò per quanto mi riguarda, anziché ripetere cose dette e scritte più volte, a rovistare tra i ricordi, prezioso lascito di una assidua frequentazione. Per dir meglio, il nostro fu un rapporto tra discepolo e maestro, fu una iniziazione al pensiero critico che mi fece abbandonare vecchie credenze e appartenenze. E degli ultimi anni, quelli della sua lotta contro il male che l’insidiava, esacerbato da tante polemiche maramaldesche, mi sovvengono e qui di seguito vorrei ricordare alcuni episodi.

Il primo: con l’arroganza dei miei verdi anni avevo pubblicato una drastica stroncatura d’un romanzo, ora non importa quale. Con altrettanta baldanza la recai a Sciascia, sicuro dell’approvazione. Lui atteggiò il volto a una smorfia di velato rimprovero, e pronunziò una frase che allora – lo confesso con vergogna – mi sembrò banale: «Non si parla male dei libri». Aveva ragione, e me ne accorgo ora, in questi tempi di rissa stolta e feroce, di sound and fury, di azzeramento del dubbio, dello stile, della conversazione civile, che solo nella letteratura trovano la loro dimora elettiva.

Il secondo: un pomeriggio, nella hall d’un albergo di Enna, dov’eravamo per un premio letterario. Mi aveva donato, fresco di stampa, Il cavaliere e la morte. L’avevo letto d’un fiato, quello straordinario testamento laico, con un’ammirazione e una partecipazione pari allo sgomento crescente, pervasivo: tale era la prossimità, intellettuale, morale, fisica all’estrema soglia che quella contemplatio mortis rivelava. Corsi a cercarlo, a parlargliene; lo feci in quell’atrio, in ginocchio accanto alla sua sedia: come in confessione, e gli confessavo la mia ansia, la mia trepidazione, interrogando il Suo sorriso mite, irrimediabilmente ferito, e il Suo silenzio ch’era già parte «della mente in cui la Sua si era sciolta».

Il terzo: nel mese di novembre dell’89, l’ultimo dell’esistenza terrena di Leonardo Sciascia, il Teatro Stabile di Catania mise in scena un Trittico di atti unici commissionati ai nostri grandi scrittori siciliani: Sciascia, Consolo, Bufalino. Sciascia, infermo com’era, delegò a me il compito di ricavare una piccola pièce da un suo racconto, Arrivano i nostri. Ne venne fuori, tra l’elegia di Bufalino e i toni tragici di Consolo, un ‘allegretto’ travolgente, un apologo amaramente comico sull’eterno trasformismo della razza padrona. Del successo di quell’esperimento corsi a Palermo a riferirgli, e gli strappai un sorriso che fu forse l’ultimo: morì pochi giorni dopo; e fu la voce rotta dal pianto di Vincenzo Consolo a darmene notizia per telefono.

 

Aveva fatto in tempo a designarmi direttore letterario della Fondazione a lui intitolata nella sua Racalmuto: non c’è cattedra universitaria né altro riconoscimento di cui possa andar più fiero, e dirmi devotamente grato.

Antonio Di Grado. Già professore ordinario di letteratura italiana nell’università di Catania, dirige dal 1990 la fondazione intitolata a Leonardo Sciascia per volontà dello scrittore. È stato assessore alla cultura del comune di Catania e presidente del Teatro Stabile della stessa città. Ha pubblicato numerosi volumi di storiografia letteraria, svolgendo indagini critiche su autori e opere della letteratura italiana dalle origini ai nostri giorni.

Sulla figura e l’opera di Leonardo Sciascia leggi su Ferraraitalia:
Sergio ReyesUN ILLUMINISTA IN SICILIA : Attualità di Leonardo Sciascia a 100 anni dalla nascita [Qui]
Giuseppe TrainaDENTRO IL GIALLO : I personaggi di Sciascia e Simenon davanti al potere [Qui]
Roberta Barbieri
, RICORDANDO SCIASCIA : Una storia semplice [Qui]
Rosalba Galvagno
IL MAESTRO E IL GIOVANE ESORDIENTE : La corrispondenza tra Leonardo Sciascia e Vincenzo Consolo [Qui]
Giuseppe Giglio,
“Ce ne ricorderemo, di questo pianeta” [Qui]
Rosario Castelli, 
IO CREDO NEL MISTERO DELLE PAROLE” : Un ‘Uomo di Lettere’ e il destino di essere solo [Qui]

 

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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