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“Le montagne sono le grandi cattedrali della terra, con i loro portali di roccia, i mosaici di nubi, i cori dei torrenti, gli altari di neve, le volte di porpora scintillanti di stelle” sosteneva lo scrittore, pittore e critico d’arte John Ruskin e non si può che essere d’accordo. Un tacito riconoscimento a quella parte del nostro Paese che vive tra le montagne e da esse tra linfa vitale. E in questo contesto il rapporto tra le donne e la montagna ha sempre avuto connotazioni speciali, un legame fortissimo intessuto di fatica, dedizione, coraggio, grande spirito di adattamento, rispetto e quella profonda conoscenza del territorio dettata dalla necessità di trarne benefici e sussistenza. Le donne sono sempre state le depositarie di quel sapere specifico che consentiva di interpretare e tradurre i segnali della natura, sfruttarne le risorse, mantenerne attentamente l’equilibrio e le caratteristiche, grate di tutto ciò che si poteva ricevere da un ambiente a volte magnificente, altre impervio e ostile.

Le icone della donna di montagna sono presenti in numerosi dipinti di Giovanni Segantini (Arco 1858, Svizzera 1899) che ci avvicinano a figure femminili che compaiono nell’habitat montano in tutto il loro impatto emotivo. Donne che trascinano faticosamente nella neve una slitta carica di legna, che lavorano serenamente a maglia mentre badano al pascolo del bestiame, si dissetano avidamente a una fontana di paese o reggono sulle spalle pesanti recipienti d’acqua, oppure ancora conducono una coppia di cavalli reggendoli energicamente per il morso. Altre immagini si soffermano su donne intente a raccogliere il fieno, scrutare l’orizzonte da un’altura con la voglia negli occhi di raggiungere casa, dopo una giornata di fatica massacrante. Ma la scena che dà il senso più completo e profondo dell’essere donna di montagna è quel capolavoro che rappresenta le due madri: una donna che alla luce fioca di una lanterna, nel tepore della stalla, tiene tra le braccia il proprio figlio, accanto alla mucca che veglia sul suo vitello, in un muto, complice legame tra mondo umano e mondo animale privo di mediazioni e considerazioni superflue.
La montagna ha sempre accolto una strana società e cultura al femminile in maniera più significativa che altrove per ragioni ben precise, le cui fondamenta storiche trovano giustificazione nell’emigrazione degli uomini in molte epoche e nelle guerre che allontanavano mariti, figli, fratelli, fidanzati; in molti casi anche le donne lasciavano le valli e paesi per lavorare lontano, ma dove sono rimaste, la montagna è uscita dalla marginalità, potenziando la propria cultura, conservata gelosamente, senza rinunciare all’innovazione e alla modernità che i tempi hanno via via richiesto. Le donne sono state da sempre le custodi della memoria, facendosi carico dei vivi e dei morti mantenendo attivi i legami col passato e col presente, imparando ad andare avanti da sole dove ce ne fossero state le condizioni. La presenza femminile è essenziale e preziosa per l’esistenza, la vita e la crescita culturale in tutti i suoi aspetti delle comunità alpine, anche se per molto tempo questa consapevolezza è stata soffocata dalla chiusura dell’ambiente che impediva un giusto riconoscimento: un clima sociale che imponeva ruoli rigidi e controllati, un senso del dovere intransigente che non lasciava spazio a legittime aspirazioni, paura della critica e della stigmatizzazione, conseguenti disagi nella salute fisica e nello spirito che derivavano dalla solitudine come persona ancor prima che come donna.
Oggi, la cultura di montagna ha lo stesso bisogno della componente sociale femminile e ne riconosce il valore. La donna è all’avanguardia nelle attività innovative di un’economia identitaria legata alle risorse del territorio: produzioni di qualità, turismo sostenibile, capacità comunicativa con l’esterno, visione e anticipazione. Molte donne hanno trovato spazi e collocazione con creatività ed energico entusiasmo in quegli esempi vincenti di microeconomia che a volte diventano anche eccellenza, dando un valore aggiunto a scenari naturali che sono già di per se stessi un miracolo di bellezza e fascino. La comunità ha imparato, nel tempo, a restituire alle donne quello spazio che nei vecchi stereotipi educativi era stato negato o sottratto, accordando loro più rispetto e fiducia. Sicuramente non siamo ancora arrivati ad un equilibrio ideale e i fatti di cronaca ci riferiscono ancora e purtroppo di drammi consumati spesso in famiglia ai danni delle donne a cui qualcuno si ostina a negare dignità. Il percorso è ancora da completare ma le donne di montagna non si fermano perché, come qualcuno ha fatto notare sorridendo un po’, “le donne non hanno vita facile; le donne di montagna ancora meno perché devono camminare in salita”.

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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