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L’inverno del nostro scontento è un romanzo del 1961 di John Steinbeck. Il titolo del romanzo, tradotto in italiano da Luciano Bianciardi, fa riferimento al celebre primo verso del dramma shakespeariano Riccardo III: “Ormai l’inverno del nostro scontento / s’è fatto estate sfolgorante ai raggi di questo sole di York”.  Ma se in Shakespeare è il passaggio dalla triste stagione ad una solare ottimistica e trionfante che tuttavia diverrà drammaticamente tragica coinvolgendo un’intera nazione, nell’opera di Steinbeck il fallimento delle ambizioni del protagonista Ethan, che tenta di ridare una dignità economica alla propria famiglia, produce una catastrofe morale di cui il personaggio è il simbolo più evidente.
Nell’inverno 2020 in questa città, in questa nazione, l’inverno del nostro scontento ha per protagonisti i politici che cercano il sole e ci ricacciano invece in un inverno senza fine. Due intellettuali (una qualifica che nonostante tutto non è stata del tutto consumata) affrontano da due diversi punti di vista lo scontento che lucidamente o confusamente si respira: Roberto Pazzi, il bravo scrittore e poeta, in una intervista al direttore del Carlino Ferrara Cristiano Bendin (13 febbraio), e nella stessa data Francesco Merlo su la Repubblica.

Roberto Pazzi è una voce assai autorevole della cultura ferrarese. Non si dimentichi che qui abita e che qui ha il suo osservatorio privilegiato. Lo conosco da quando eravamo ragazzi, abbiamo insegnato nella stessa scuola, abbiamo avuto gli stessi amici e molto spesso, come accade tra persone che condividono gli stessi propositi – in questo caso il senso dello scrivere nella vita e nella conoscenza del mondo- abbiamo avuto parecchie discussioni anche animate e spesso sull’orlo della rottura; poi invece si è ripreso e ricominciato a discutere. So che Pazzi non ha mai dimostrato una propensione a giustificare il proprio lavoro appoggiandosi a un’evidente parte politica. Sicuramente un democratico, un precursore dei tempi, ma non certo impegnato – come si diceva una volta – nella politica. E proprio da questa sua lunga fedeltà al principio della scrittura che lo fa insorgere e rendere giustamente ‘politico’ procede il suo discorso. Così scrive: “Non usare la scrittura per diffondere cattiveria e odio, divisione e razzismo. C’è già tanto male nel mondo, non ci si deve mettere anche la penna a seminare il male.”.  Poi la durissima presa di posizione per gli exploits a cui si lasciano andare certi politici ferraresi e qui la sua limpida condanna appare degna di un ‘vero’ uomo di cultura: “la democrazia anche durante le elezioni amministrative è sacra, fragile come cristallo, in politica non esistono nemici ma solo avversari. Certo la precedente amministrazione aveva creato sistema, un ricambio non faceva male…Ma il rimedio è peggiore assai del male. Ignoranza, incompetenza, volgarità, arroganza sono il cocktail sinistro di questi che oggi governano. Una vergogna.”.

L’articolo di Francesco Merlo, che puntualizza l’aspetto più sconcertante dell’attività politica di Salvini, mi ricorda un aspetto del film vincitore di 4 Oscar Parasyte, che ho trovato abbastanza sconcertante e non certo degno di tanti premi. Quel film però riesce a trasmettere l’aspetto più difficile dell’arte visiva: quella di restituire gli odori e le puzze. Così l’articolo di Merlo restituisce non gli odori, ma la brutta volontà di servirsi di un privatissimo sentimento, qual è l’amore dei figli, per farne strategia politica. Come si vede in tantissimi servizi dei telegiornali o nei talk show, il politico, dopo aver salutato il suo pubblico con quelle mani giunte che ormai insopportabilmente rimandano al saluto preferito dai cantantucoli e dagli eroi del calcio, cioè alla sua platea preferita, avrebbe raccontato come sua figlia Mirta – riferisce Merlo – si sarebbe spaventata per il titolo apparso su La Repubblica Cancellare Salvini: “Ma papà, perché ti vogliono cancellare?”. E il vittimismo, commenta il giornalista, è diventato qui “barocco e minaccioso come vuole la nuova sottocultura della destra , da Trump a Orbán”. Poi si scopre che questi ragionamenti sono fatti da una bimba di 7 anni!

Non siamo immuni, tutti noi, da una foga di parte che determina, soprattutto in politica, atteggiamenti leggermente schizofrenici di cui l’altro Matteo, il Renzi, sta ora dando illuminanti esempi. Cerchiamo nella vita di ricostruire un impegno che sembra essersi totalmente esaurito negli ultimi anni. Nella nostra ‘singolare’ città, ormai lo posso dire con cognizione di causa, accadono strani avvenimenti difficilmente spiegabili se non alla luce di una continua campagna elettorale che ci oppone come nemici che come avversari politici.
Mi si potrebbe chiedere. Ma perché continui a tormentarti e a tormentare? A testa bassa rispondo: per l’alta e imprescindibile passione della verità della parola e degli atteggiamenti che ancora , direbbe Lui, Dante, nel lago del cor m’era durata e mi dura tuttora.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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