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Cari soldati, care soldatesse

Come voi ho prestato servizio nelle forze armate di questo Paese. Sono uno tra gli ultimi a cui arrivò la cartolina. Per me il servizio militare è stato una parentesi. Ho avuto modo di capire che la caserma era una copia semplificata della società civile: noi soldati di truppa mandavamo avanti le officine, le mense, i trasporti, i servizi e la mastodontica burocrazia. Ma allora eravamo coscritti: i governi non potevano disporre liberamente della nostra vita per missioni di guerra oltre confine. Per farlo avrebbero dovuto assumersi la responsabilità di dichiararla, la guerra…Ed in quel caso io avrei fatto l’unica scelta per me possibile: disertare.
Perché la guerra l’avevo già vista in faccia da volontario civile, in Bosnia, e la sua puzza immonda ce l’ho ancora nelle narici.
I governi di questo Paese, per fare la guerra senza dichiararla, ignorare il diritto internazionale e la nostra stessa Costituzione, su precisa richiesta degli Stati uniti e della Nato si sono inventati i nemici di turno, “la guerra umanitaria”, “l’esportazione di democrazia” e hanno trasformato i soldati di truppa in volontari.
Che grande furbizia: quando i vostri colleghi tornano in patria in un sacco nero dalle spedizioni oltreconfine sono accolti da un grande ipocrita non detto: erano volontari, era il loro mestiere. Le responsabilità dei mandanti politici ed industriali di avventure militari fallimentari possono così sfumare.
Se invece i vostri colleghi tornano in patria e poi si ammalano gravemente o muoiono per l’esposizione all’uranio impoverito che la Nato ha riversato sui Paesi che doveva “salvare” il trattamento è ancora peggiore: “chi se ne frega” vi risponde il Ministero della difesa.
Ma che Paese è quello in cui un soldato deve sperare di andare in guerra per avere le indennità con con cui pagarsi il mutuo della casa o gli studi dei propri figli e figlie?
Alessandro Profumo, amministratore delegato di Leonardo, ha detto che le missioni a cui partecipa l’Italia sono la migliore vetrina per l’industria bellica nazionale mentre il ministro della difesa Guerini sostiene che questa industria è il pilastro della nostra politica estera.
Ecco, vi lusingano dandovi degli eroi, ma è chiarissimo che per loro siete soltanto carne da cannone, da mettere in vetrina, per fare grandi affari.
Anche per questo fanno di tutto per impedire che vi possiate sindacalizzare e organizzare.
In questo momento di grande tensione internazionale in cui sono in gioco la pace e relazioni economiche, commerciali, energetiche vitali per il nostro Paese i vostri colleghi dei reparti alpini sono presenti nei Paesi Baltici, i piloti dell’aeronautica stanno in Romania con gli Eurofighter, i marinai nel Mar Nero con fregate e cacciamine ed il previsto arrivo della portaerei Cavour.
Una follia: La Russia non ci sta minacciando così come non ci minacciavano i Paesi alle cui aggressioni abbiamo partecipato. Proprio oggi, 16 febbraio, all’incontro interministeriale della Nato, il ministro della difesa metterà a disposizione altri 2000 soldati, pronto a mandarvi per l’ennesima volta allo sbaraglio.
Ma voi, soldati e soldatesse, avete giurato fedeltà alla nostra Costituzione non agli interessi dei governi statunitensi o dell’industria bellica nazionale. E proprio perché in due guerre mondiali foste mandati a crepare per soddisfare il delirio di onnipotenza di governi infami e i fatturati di un ristretto gruppo di industriali, i nostri Padri costituenti scrissero nero su bianco, nella Costituzione su cui avete giurato, che “l’Italia ripudia la guerra”.
Il 19, il 20 ed il 26 febbraio saremo nelle piazze italiane per manifestare contro i venti di guerra che vengono fatti soffiare anche dal nostro/vostro governo. Manifesteremo per ribadire che vogliamo un’Italia neutrale e di pace, per chiedere il ritiro dei nostri contingenti già presenti ai confini con la Russia e per impedire che altri di voi vengano ammassati in un’azione provocatoria ed assurda.
Manifesteremo per rappresentare l’interesse concreto della maggioranza degli italiani e quindi manifesteremo anche per voi.
di Gregorio Piccin

Responsabile pace Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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