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Lo skyline newyorkese illuminato dai colori puri delle luci elettriche potrebbe far pensare all’apologia trionfalistica della contemporaneità dei futuristi o all’esaltazione positivista dei ruggenti anni Venti. Poi si legge il titolo: “Il demone della modernità. Pittori visionari all’alba del secolo breve”. Ed ecco farsi strada quella sensazione di straniamento e di inquietudine che forse vi accompagnerà per tutta la visita alla mostra di Palazzo Roverella di Rovigo, curata da Giandomenico Romanelli – a cui la Fondazione della Cassa di risparmio di Padova e Rovigo aveva già affidato lo scorso anno “L’ossessione nordica” – con Franca Lugato e Alessia Vedova.

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Sascha Schneider, Grido di guerra, 1921

Ad essere esposto è un mondo fra due mondi, a cavallo fra Ottocento e Novecento, con artisti che presagiscono e poi raffigurano l’inutile strage che attende l’umanità appena oltrepassata la soglia del nuovo secolo. Ci si muove in un terreno accidentato, nel tentativo di capire cosa riserva l’insorgere di questa modernità che sembra incombere necessaria. Segni, presagi, indizi, nessuna strada sicura ancora tracciata, mentre dietro ci si lascia i simboli, cristiani e pagani, delle età passate che non sembrano più essere utili per orientarsi in questi nuovi territori.

Sei sezioni tematiche – Sotto il segno di Lucifero, Luoghi dell’illuminazione e Ziggurat dell’anima, Angeli demoni. Sogni incubi visioni, il Trionfo delle tenebre verso l’Olocausto mondiale, Altre metamorfosi e Luci(fero) tra i grattacieli – per esplorare questi nuovi territori della coscienza, tentando di non cadere negli oscuri baratri dell’inconscio. Fin dall’inizio non c’è nulla di definito: le creature fantastiche e oniriche di Odilon Redon e la “Salomè danzante” di Moreau accolgono i visitatori senza svelarsi fino in fondo, in loro c’è qualcosa di seducente quanto di sempre sfuggente.

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Franz von Stuck, ‘Lucifero’, 1889-1890

Così anche le sei incisioni del ciclo “Opus III” di Klinger, che alternano visioni dei progenitori biblici a visioni del futuro la cui interpretazione è lasciata in toto a chi guarda. Sono gli ultimi decadenti e sensuali contorcimenti del vecchio mondo arrivato ormai alla sua fine, osservati e dominati dagli occhi di bragia del “Lucifero” di Franz von Stuck, seduto come il Pensatore di Rodin, quasi sgomento di fronte a ciò di cui l’umanità sembra essere capace.

Le seconda sezione è una galleria di scorci di questo universo conteso, fra la fine delle certezze arcaiche e il precipitoso avvicendarsi della modernità. Si parte dall’osservazione della natura, ma ciò che vediamo non ha nulla del lirismo dei Romantici: il buio dell’inconscio è squarciato da violenti effetti luministici che hanno tutta l’artificiosità della dimensione interiore e l’artificialità delle nuove luci elettriche.

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Gabriel Jurkic, ‘La via verso l’eternità’, 1918

Sulla strada si incontrano angeli della tradizione occidentale e orientale, ma anch’essi sono spaesati e sembrano non essere più capaci di sostenere il ruolo di portatori di speranza: su una scalinata durante un rito di offerta, sulla cima di una montagna o su una spiaggia a scrutare l’orizzonte, oppure sulla soglia della via per l’eternità, ma a capo chino, come a non volersi più assumere questa responsabilità.

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Mikalojus Konstantinas Čiurlionis, Fantasy (The demon), 1909

La denuncia delle storture e delle ipocrisie della società borghese del ciclo “Opus VIII-Una vita” di Klinger è il preludio alle opere della sezione dedicata al presentimento del Primo conflitto mondiale: i lugubri tarocchi di Martini, raffiguranti la macabra danza delle potenze europee, e poi visioni di Apocalissi e angeli giganteschi che suonano le trombe del Giudizio Universale, mentre un barbuto e muscoloso Lucifero dalle possenti e affascinanti ali nere sogghigna trionfante guardando un Cristo, la cui corona di spine sembra poter pungere anche chi la sta guardando.
Ed ecco la fine del cammino: gli anni Venti e Trenta. C’è ancora spazio per l’inquietudine, ma viene letta con ironia e leggerezza o a tratti con malinconia. Ormai la strada è stata tracciata, anche se sopra i cadaveri nelle trincee: è quella del progresso, dell’industria, del futuro luminoso e dinamico. Luminoso e dinamico come le strade e i grattacieli di New York, che ormai ha strappato a Parigi il primato di città della luce.

Una mostra suggestiva e potente questa di Palazzo Roverella, aperta fino al 14 giugno, uno sguardo particolare e per nulla scontato, una rassegna sugli interrogativi sinistri che animavano gli uomini del secolo scorso, trasmessi come per osmosi ai visitatori di oggi. E viene da chiedersi se in realtà non siano gli stessi cupi demoni e inquietudini che animano anche i nostri quotidiani.

Per saperne di più visita il sito della mostra [vedi].

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Federica Pezzoli


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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