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I mesi di reclusione imposti dalla pandemia, hanno cambiato anche la vita quotidiana e l’abbigliamento. Anche il settore della moda ne è stato coinvolto. Non è stata la moda a dettare le pratiche, ma le pratiche ad influenzare la moda.
Il tema della sostenibilità ha acquistato più peso ed è cresciuta la domanda di un mondo ecocompatibile, capace di mantenere nelle città spazi di verde, ancorché verticale. L’orientamento ecologico ha stimolato alcuni marchi di moda a lanciare linee con materiali naturali e a fissare obiettivi etici nelle produzioni.
Dal versante delle vendite, le visualizzazioni in rete indicano una crescita di interesse per il ‘naturale’. Termini come “pelle vegan”, “cotone biologico”, “plastica riciclata” entrano nel vocabolario della moda.
L’esplosione delle tute ha accompagnato il tempo di lavoro a casa durante il lockdown, ma ha sollecitato usi più diffusi, facendo scoprire il valore della comodità, della morbidezza, ma anche del colore. Le scarpe hanno lasciato la scena a imponenti ciabatte pelose, fatte di materiali sintetici più simili a ciabatte che a scarpe, ma da portare anche fuori casa.

Si impongono abiti comodi e morbidi, ma rivisitati con colori decisi. È come se si fosse imposta una moda del lockdown connotata da una diffusa offerta di morbidezza. Lavorare a casa significa poter indossare abiti confortevoli, ma adatti al bisogno di sentirsi “presentabili” nei momenti di lavoro in videoconferenza.
L’abbigliamento della vita quotidiana interpreta bisogno di morbidezza e di praticità di una vita ricondotta alla dimensione essenziale, che non si concede neppure le cene con gli amici. Mentre le sneakers e i jeans rimangono due delle categorie di prodotto più ricercate nell’ambito della moda sostenibile, in crescita rispettivamente del 142% e del 108% su base annua.

Il tempo della pandemia ha cambiato, insieme alle relazioni, anche il modo di vestirsi. Ad esempio è cresciuto del 90% annuo l’interesse per i gioielli rigenerati. Ed è cresciuta anche la domanda di capi di moda di seconda mano e usati. In Italia in particolare è aumentata del 20% la domanda di moda sostenibile, in particolare sono i consumatori della Lombardia quelli che effettuano il maggior numero di ricerche di moda eco-friendly. Il termine “eco-pelliccia” è tra le parole chiave più usate nella moda.
Smart working e distanziamento hanno ridotto drasticamente anche le uscite per lavoro. In un’Italia profondamente cambiata in abitudini, modalità di lavoro e d’incontro, e tempo libero. Le molte declinazioni della tuta e delle ciabatte hanno imposto un abbigliamento nuovo centrato sull’essenziale e sull’eccentricità, ma proponendo un nuovo lusso: la morbidezza.
È come se il Covid ci avesse indotto ad abolire il superfluo, l’eccessivo, l’illusorio, per ricercare senso, profondità, autenticità, ma anche morbidezza e colore. Secondo un’indagine di Confartigianato, da gennaio a luglio 2020, in una situazione di forte riduzione dei consumi, si è registrato un calo del 27,9% nell’abbigliamento e del 17,3% nelle calzature. Una débâcle che ha fatto ridurre della metà la produzione delle imprese artigiane. Intanto le vendite online hanno visto una crescita del 28%. I consumatori si rivolgono a canali d’acquisto che permettono di risparmiare sui costi. In generale cresce la domanda di prodotti di moda riciclata. Gli indumenti usati raccolti da queste grandi aziende sono riutilizzati per il mercato del second-hand, smistati in paesi terzi, o recuperati per essere trasformati in nuove fibre tessili.

Per ottimizzare i percorsi di sostenibilità, salvaguardando l’occupazione nell’intera filiera tessile, è necessario però pensare, già in fase di progettazione, all’intero ciclo di vita di un prodotto, massimizzandone il valore d’uso. Solo con una buona “cultura della circolarità” applicata già in fase progettuale si impiegano meno risorse e materie prime e si riduce lo spreco mantenendo l’occupazione nella manifattura e l’economia della filiera integra.

Siamo di fronte a cambiamenti radicali ai quali la pandemia ha fatto da acceleratore e che impongono una diversa cultura della moda, che impone tra l’altro una formazione di base per i nuovi eco-fashion designe” mirata alla nuova logica del riuso. In sostanza la moda dovrà affrontare un mercato recessivo e in forte trasformazione.
Anche nella moda è il momento di prepararsi ad un mondo post-coronavirus.

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Maura Franchi

È laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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