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Io davanti al voto. Per una Europa di pace e una Ferrara “femminile, plurale e partecipata”

Siamo vicini a scadenze elettorali importanti e, visto che qualcuno dei miei 25 lettori me l’ha chiesto, sviluppo alcuni ragionamenti in proposito e anche le mie intenzioni di voto.

Una Europa con l’ossessione della guerra

Inizio, ovviamente, dalla scadenza elettorale europea, con la consapevolezza che questa volta il suo esito è ben più importante rispetto agli anni passati.
Intanto, perché il ruolo dell’Europa, nonostante le sue contraddizioni interne, è decisamente cresciuto rispetto alla definizione delle politiche anche dei singoli Stati.
In secondo luogo, perché potrebbe essere in discussione lo stesso asse politico – quello tra Popolari e Socialisti – che ha retto la costruzione europea da un bel po’ di tempo in qua. Infatti, ahinoi, il vento nazionalista e di destra spira forte in tutt’Europa, non risparmiando praticamente nessun Paese, dalla Francia alla Germania, dall’Italia a diversi Paesi dell’Est. Non sto ora ad indagare le ragioni di questa situazione, anche se esse sono sufficientemente precise e stanno in particolare nelle scelte sbagliate e vocate all’austerità che sono state dominanti da Maastricht in avanti.

Quello che è chiaro è che un ulteriore spostamento a destra del quadro politico europeo non potrebbe che determinare una regressione ancora più forte delle scelte improvvide che l’Unione Europea ha compiuto nell’ultimo periodo di tempo, schierandosi dentro un orizzonte di guerra, rafforzando le politiche di respingimento dell’immigrazione, allentando gli interventi che guardano alla conversione ecologica e ambientale.

In ogni caso, già oggi assistiamo ad una situazione in cui, da una parte, i singoli Stati europei procedono in ordine sparso, rendendo più forte l’idea della ”Europa delle nazioni” e, però, dall’altra, sono accomunati da un’impostazione per cui si considera inevitabile il ricorso alla guerra e si accantona ogni idea di svolgere un ruolo attivo di rilancio del dialogo e della diplomazia.
Emblematico è ciò che sta succedendo a proposito dell’ultima scellerata ipotesi avanzata dal segretario della Nato Stoltenberg di utilizzare le armi date all’Ucraina anche per attaccare il territorio russo: da una parte Francia, Germania (che in un primo tempo si era espressa negativamente) e Polonia, assieme agli altri Stati baltici si pronunciano in termini favorevoli, Spagna e, per ora, Italia, si dicono contrari, ma, alla fine, tutti si allineeranno nei fatti alle volontà degli USA ( e della Nato), in un ulteriore rafforzamento della spinta bellica.

Siamo di fronte ad un’involuzione profonda dell’Unione Europea: lo dico con le parole efficaci dell’insigne giurista Ferrajoli che, in un recente articolo apparso su Il Manifesto, ha scritto che “ l’Europa sta negando se stessa. L’Unione Europea è nata su due fondamenti, l’uguaglianza e la pace…Entrambi questi fondamenti stanno venendo meno. E’ questa la prospettiva che dovrebbe essere presente…”.

Anche a me pare che questa sia la bussola con la quale orientarsi nelle prossime elezioni europee. E che richiama la necessità di una svolta profonda, partendo dal fatto che la lotta per la pace e il disarmo dovrebbero essere assunti come valori e proposte vincolanti e non negoziabili.
Per dirla in altri termini, bisogna scegliere la pace “senza se e senza ma”, affermare che “la pace viene prima di tutto” non solo per le tragedie che la guerra comporta, ma perché essa diventa sovrastante su tutto, sulla vita delle persone e sul modello produttivo e sociale che costruisce. Si potrà discutere se è meglio la linea regressiva della von Leyen o quella più innovativa di Draghi e Letta, ma non possiamo non vedere che entrambe muovono dall’assumere la difesa e la persistenza della guerra come i tratti fondamentali del futuro del mondo.

Per questo, il mio pensiero e la mia intenzione va nel sostenere chi, con più coerenza e determinazione, sta nel campo del pacifismo, che non è una “nobile ispirazione”, ma l’indicazione di un modello di società e di convivenza, basato sul multipolarismo, la centralità dell’iniziativa diplomatica e della cooperazione tra gli Stati, l’uguaglianza e la giustizia sociale e ambientale.

In questo senso, lasciando perdere la destra che si è velocemente convertita all’atlantismo e al neoliberismo, non si può non vedere come il PD, assieme a tutta la socialdemocrazia europea, rimane imprigionato in una logica per cui lo scenario di guerra, e l’invio delle armi che ne è il presupposto, è un orizzonte inevitabile.

Meglio fanno il M5S e anche l’Alleanza Verdi e Sinistra, ma non tanto da farci fuoriuscire da questa prospettiva. Non il primo che, da sempre impregnato da una cultura politica fragile, continua ad oscillare tra proclami contro la guerra e scelte concrete che vanno in altra direzione, come nel caso del sostegno al primo invio delle armi all’Ucraina durante il governo Draghi e il voto favorevole alla missione italiana nel Mar Rosso per “difendere il traffico commerciale” ( sic!) in quell’area. Anche l’Alleanza Verdi e Sinistra, per quanto esprimano posizioni più limpide e coerenti sul tema, non sfugge al fatto di considerare intoccabile il rapporto politico con il PD, finendo per risultarne subalterno.
Insomma, per quanto mi riguarda, solo la lista “Pace, terra e dignità” risponde alla caratteristiche di provare a segnare un punto di forte discontinuità con le politiche dominanti in Europa, da cui non penso si possa prescindere, al di là del risultato elettorale che sondaggi, forse non del tutto disinteressati ( e che peraltro si sono spesso dimostrati inattendibili), attribuiscono ad essa.

Le elezioni a Ferrara

Qualche considerazione sintetica la dedico anche alle elezioni comunali di Ferrara. Non perché ci sia un nesso diretto e immediato con la scadenza elettorale europea, se non la coincidenza delle date con cui si va al voto.
Tirando un po’ il ragionamento, si può sostenere che anche per la nostra città è all’ordine del giorno la necessità di una svolta radicale rispetto alle politiche che la destra ha realizzato in questi ultimi 5 anni di governo della città.

Occorre “liberarsi” da un’Amministrazione che, da una parte, ha sostanzialmente galleggiato sull’esistente, senza costruire nessuna prospettiva di futuro per una città che ha molti problemi, dall’invecchiamento e dalla solitudine della popolazione all’inesistenza di una struttura produttiva capace di produrre lavoro di qualità e soluzioni per i giovani – solo per citarne alcuni. In compenso abbiamo assistito a scelte che hanno privilegiato unicamente il bacino elettorale della destra, dal lavoro autonomo alle attività legate al commercio e al turismo, peraltro di poco respiro, condite da una propaganda contemporaneamente sopra le righe sulla “Ferrara che rinasce” e regressiva e ideologica sui diritti delle persone, a partire da quelle immigrate.

Mi pare che bisogna essere avvertiti che, comunque, mettere da parte questa destra è possibile, ma non sarà un’operazione semplice, sia perché pesa il fatto che l’opposizione politica di questi anni non è riuscita a presentare contenuti realmente alternativi e a voltare pagina rispetto ad elementi di continuità con le passate Amministrazioni di centro-sinistra, sia perché la stessa campagna elettorale non si è distanziata troppo da un’impostazione, viziata anche dalla legge elettorale esistente, di contrapposizione personalizzata tra i candidati sulla carta più forti.

Invece, la mia convinzione è che insistere sui contenuti, su un’idea alternativa di città, capace di fare i conti con le problematiche emergenti, è il modo più utile per avvicinare quelle parti di società che hanno deciso di non votare nella tornata scorsa e che hanno fatto buona parte della differenza tra destra e centro-sinistra, determinando la vittoria della prima. Con ciò confermando che essa è stata prima ancora un allontanamento delle politiche del centro-sinistra che un “ merito” della destra e che alcune letture, imperniate sull’utilità di costruire un unico soggetto elettorale anziché una pluralità di liste, non hanno fatto i conti con le tendenze reali del corpo elettorale.

Da questi sommari elementi nasce il mio sostegno alla lista “La Comune di Ferrara”, che, sin dalla sua definizione di essere “femminile, plurale e partecipata”, rende bene l’idea di voler avanzare un nuovo e diverso approccio al governo della città. Che poi si esplicita ancor meglio nel programma definito, nel momento in cui si mettono al centro i temi della democrazia partecipativa, del contrasto al cambiamento climatico e della conversione ecologica, della pubblicizzazione dei beni comuni, della “città per le donne”, insomma di un ruolo più forte e condiviso dell’intervento pubblico, come assi portanti per disegnare il futuro di Ferrara.
Poi, certamente, solo un nuovo intreccio tra iniziativa sociale partecipata e ruolo lungimirante delle istituzioni potrà sul serio far iniziare un nuovo percorso anche per Ferrara. Ma di questo si spera si potrà parlare dopo l’8 e il 9 giugno.

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Corrado Oddi

Attivista sociale. Si occupa in particolare di beni comuni, vocazione maturata anche in una lunga esperienza sindacale a tempo pieno, dal 1982 al 2014, ricoprendo diversi incarichi a Bologna e a livello nazionale nella CGIL. E’ stato tra i fondatori del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua nel 2006 e tra i promotori dei referendum sull’acqua pubblica nel 2011, tema cui rimane particolarmente legato. Che, peraltro, non gli impedisce di interessarsi e scrivere sugli altri beni comuni, dall’ambiente all’energia, dal ciclo dei rifiuti alla conoscenza. E anche di economia politica, suo primo amore e oggetto di studio.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
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(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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