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Il futuro oggi è in crisi. E, di conseguenza, l’idea di progresso che ha accompagnato la modernità è screditata, o non credibile. Raymond Aron definiva il progresso la religione secolare della modernità. Senz’altro è stata la più grande narrazione che l’Occidente ha fatto di se stesso e della sua egemonia nel mondo per molti secoli. Il progresso si può contestare come fece aspramente la generazione del ’68, e nello stesso tempo crederci. Sì, perché quella generazione credeva in un futuro migliore! Per il giovane di oggi il futuro è un deserto, o un incubo.

Sappiamo attraverso studi di importanti sociologi e antropologi che le rappresentazioni del futuro sono oggetto di costruzione sociale. Ma ciò non significa che siano frutto di immaginazione o di semplice volontà. Sono sempre espressione di processi materiali e della loro interpretazione. Non c’è alcun dubbio che la questione strutturale che provoca la crisi del progresso e della fiducia nel futuro è la mancanza di lavoro. Non ho memoria di questa angoscia per ciò che riguarda la mia generazione sessantottina. Cercavamo un lavoro, ma eravamo sicuri di trovarlo. Criticavamo le forme e i modi dei lavori a disposizione, ma non avevamo dubbi sulla loro esistenza. E’ questa ovvietà che oggi è in crisi.

La domanda che dobbiamo porci è di quelle fondamentali: come fa un giovane a diventare adulto se viene meno il principale rito di passaggio rappresentato dal lavoro che dà autonomia e identità? Per descrivere questa cruciale esperienza esistenziale facciamoci aiutare da un classico della letteratura del novecento: “La linea d’ombra” di J. Conrad. “Uno chiude dietro a sé il piccolo cancello della mera fanciullezza, ed entra in un giardino incantato. Là perfino le ombre splendono di promesse. Ma uno va avanti. E il tempo pure va avanti, finchè si scorge di fronte una linea d’ombra che ci avverte di dover lasciare alle spalle anche la regione della prima gioventù”. In senso metaforico, la linea d’ombra è quella che separa la giovinezza dalla vita adulta. Alla fine del romanzo il protagonista, infatti, dirà: “Non sono più un giovane”. E il suo interlocutore anziano farà un cenno di assenso. Ecco ciò che manca oggi. Un passaggio che sigli l’entrata nella adultità, facendo cadere la pelle della vita precedente di formazione.

Se si comprendesse fino in fondo questa condizione attuale del giovane, la si smetterebbe di fare dello stucchevole sarcasmo sui bamboccioni o sulla mancanza di voglia di diventare adulti! Proviamo ad immaginare lo stato d’animo di un giovane di oggi. Quali sono le prove a cui deve sottomettersi affinchè la sua maturità venga riconosciuta da parte di adulti autorevoli? Studia, si laurea, accumula master, si iscrive a corsi di specializzazione senza mai passare a uno stadio successivo. Insomma, vive una condizione di passaggio senza fine. La sensazione, per usare le metafore di Conrad, è di vivere non sulla linea d’ombra, ma in un cono d’ombra.

Le esperienze prive di tappe e di mete perdono di significato, perché salta il legame con il passato e con un possibile io futuro. Questa condizione che Benjamin chiamerebbe di fine dell’esperienza e di eternizzazione di un presente precario, procura una inesorabile perdita di energia e fiducia nella società e nel futuro. La mancanza di scadenze e la uguale ripetizione di esperienze è destinata a devitalizzare anche il naturale entusiasmo che è proprio dell’età giovanile. Infine ricordiamo che fra le promesse del progresso c’era una diffusa convinzione che le chances fossero equamente distribuite. Oggi, chi resiste a credere nel progresso, è convinto che se questo è possibile, non lo sarà per tutti. Questo diffuso sospetto di disuguaglianza non è fra le cause secondarie nella creazione di stati d’animo risentiti e frustrati. E in questo humus possono crescere piante velenose: estremismi, populismi, violenze…

Fiorenzo Baratelli è direttore dell’Istituto Gramsci di Ferrara

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Fiorenzo Baratelli

È direttore dell’Istituto Gramsci di Ferrara. Passioni: filosofia, letteratura, storia e… la ‘bella politica’!

PAESE REALE

di Piermaria Romani

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Pescando un pesce d’oro
5 titoli evergreen dall’archivio di 50.000 titoli  di Periscopio

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
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