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Giuro che quando l’ho appreso ho pensato a uno scherzo. Invece era tutto vero: una settimana di festeggiamenti per celebrare il decennale dell’episcopato di monsignor Luigi Negri. Sette giorni in onore del vescovo come tributo al suo ruolo nella ricorrenza della nomina… Non mi domando se questo sia lecito o se sia prassi: per quel che ho compreso è un’antica usanza che qualcuno rinnova e altri ignorano. A celebrazioni concluse, quindi col senno del poi, mi chiedo il senso di questa cosa e mi interrogo sulla sua opportunità, oltretutto in tempi difficili per tutti… Mi domando perché un vescovo avverta l’esigenza di festeggiare pubblicamente se stesso, con cerimonie ed eventi, come una star o come il sovrano di un’altra epoca. Qual è il significato di questa messa in scena? Francamente mi è parso un ritorno al medioevo, come peraltro filiazione di quel clima mi sono sembrate (e questo è ben più grave) parecchie delle esternazione che questo vescovo ci regala da mesi, circa l’esercizio dei diritti individuali, per esempio, o il significato storico di atti di belligeranza, come le crociate, ricondotti nell’alveo assolutorio degli atti di fede. La questione dei festeggiamenti di se medesimo, poi, mi è parsa ancor più stridente, considerando che mentre con una mano idealmente Negri levava il calice a propria gloria, nelle stesse ore con l’altra ammoniva chi, come il nostro don Domenico Bedin, in spirito evangelico predica l’accoglienza e il rispetto per gli ultimi.
E poco vale, a mio parere, ciò che han riferito i suoi sodali, ossia che il vescovo avrebbe ceduto alle insistenze degli accoliti perché – fosse stato per lui – avrebbe celebrato solo le messe con le suore di clausura. Negri ci pare avere personalità e temperamento tali da non farsi imporre nulla da nessuno, tantomeno dai sottoposti…

A corollario di tutto ciò e ad aumentare lo sconcerto c’è stata l’invereconda faccenda delle assoluzioni: concessione dell’indulgenza plenaria a tutti coloro che hanno preso parte ad almeno un rito celebrato in onore del vescovo. Così, chi ha peccato ha potuto vedersi redento per il sol fatto di avere compiuto atto di contrizione durante questo periodo di osanna per il monsignore. Io, come presumo molti altri, delle indulgenze serbo unicamente memoria scolastica, quando i libri di storia le citavano ad esempio di indegno mercimonio della Chiesa, che in tempi corrotti concedeva l’assoluzione ai ricchi e zelanti peccatori in cambio delle loro generose offerte monetarie. Questioni tutt’altro che trascurabili, che nel 1517 portarono alla nascita della Chiesa protestante.

È blasfemia segnalare queste cose? Finirò all’inferno per questo? Verrò scomunicato? Corro il rischio… Tutt’al più mi appellerò alla prossima indulgenza!
Francamente mi ha disturbato anche l’acquiescenza – vagamente farisaica – che, con sparute eccezioni, ha accompagnato la ‘sette giorni’ di gloria. Ho incrociato in privato qualche sorrisino malcelato e udito in pubblico poche voci fuori dal coro. Le espressioni più autentiche e libere le ho trovate nel blog di Estense.com a commento di un puntuale articolo di Ruggero Veronese. Scrive per esempio il signor Mauro Corradini: “Un Grande Pastore d’Anime. Un uomo che veramente sa sminuire sé stesso e rendere grandi gli altri e che mette in pratica le parole di Gesù: ‘colui che vorrà essere grande si farà servo di tutti. Un vero Principe della Chiesa”.

Aggiunge un altro che si mantiene anonimo (dietro lo pseudonimo ‘Urecia’): “Signor Sindaco, Ferrara è laica e democratica. L’indulgenza del vescovo Negri riguarda le singole persone che decideranno come rapportarsi a questo importante avvenimento. L’istituzione Comune è di tutti anche di coloro che non sono sensibili alle parole del Vescovo di Ferrara… quindi, a parere di un non religioso, se il Sindaco vuole sostenere questa iniziativa lo faccia, ma a titolo personale e non in qualità di Sindaco”.
Come dargli torto? E qui infatti si innesta un altro motivo di sconcerto: il sindaco, con il suo stato maggiore, si è prestato a ospitare in municipio, che è casa di tutti, la conferenza stampa in cui – contumace monsignor Negri – si sono annunciate le mirabolanti iniziative previste per la settimana di celebrazione. Non solo: ancora il sindaco, a nome del Comune, ha ritenuto di dover dedicare un concerto al sollazzo del prelato. Oltretutto Negri non festeggiava dieci anni di presenza a Ferrara, nel qual caso si sarebbe potuto perlomeno cogliere un senso di appartenenza a una città che al contrario in questi 26 mesi ha solo fustigato. Il prelato ha celebrato i ‘suoi’ dieci anni da vescovo. Perché allora (e per compiacere chi) la nostra comunità è stata avviluppata nella manifestazione di questa gioia affettata?
Io, libero cittadino di Ferrara, mi dissocio. E dico che se il vescovo sceglie di fare ostensione di se stesso, si offre ai fedeli e chiede la loro giubilante devozione, colgo in tutto ciò qualcosa di sgradevolmente feudale, impregnato in quel lezzo che si definisce culto della personalità.

 

Il brano intonato: Fo, Gaber, Jannacci – Ho visto un re [ascolta]

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Sergio Gessi

Sergio Gessi (direttore responsabile), tentato dalla carriera in magistratura, ha optato per giornalismo e insegnamento (ora Etica della comunicazione a Unife): spara comunque giudizi, ma non sentenzia… A 7 anni già si industriava con la sua Olivetti, da allora non ha più smesso. Professionista dal ’93, ha scritto e diretto troppo: forse ha stancato, ma non è stanco! Ha fondato Ferraraitalia e Siti, quotidiano online dell’Associazione beni italiani patrimonio mondiale Unesco. Con incipiente senile nostalgia ricorda, fra gli altri, Ferrara & Ferrara, lo Spallino, Cambiare, l’Unità, il manifesto, Avvenimenti, la Nuova Venezia, la Cronaca di Verona, Portici, Econerre, Italia 7, Gambero Rosso, Luci della città e tutti i compagni di strada

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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