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L’OPINIONE
Se l’anagramma di ministro Poletti è “prometto listini”

Articolo pubblicato il 1 Aprile 2015, Scritto da Mauro Presini

Tempo di lettura: 4 minuti


In coerenza con lo stile dell’ex ministro Brunetta che (grazie ad informazioni false) ha inventato l’equazione “insegnanti = fannulloni” al fine di tagliare sul personale, l’attuale ministro del Lavoro Poletti, al fine di educare gli studenti a diventare manodopera sfruttata, ha recentemente dichiarato: “Un mese di vacanze va bene. Ma non c’è obbligo di farne tre.“
Osservando certe strategie dei politici che si “larghintendono“, mi sembra di aver imparato che, quando vogliono sottrarre altri diritti ai cittadini, fanno così:
1) “sdoganano politicamente” uno stereotipo collaudato,
2) alzano il volume delle polemiche,
3) abbassano il volume delle informazioni,
4) in tal modo allargano facilmente il consenso,
5) quindi impongono la propria proposta indecente come fosse risolutiva (di un problema che non c’è).
È necessario quindi sfatare lo “stereotipo collaudato” per contrastare il retropensiero che si porta dietro. Basta leggere qualche tabella di una pubblicazione Eurydice del 2012, dal titolo “Le cifre chiave dell’istruzione in Europa” per conoscere nel dettaglio i tempi scuola nei diversi Paesi europei.
La media europea dei giorni di scuola è di 185 giorni; in Italia l’anno scolastico è di 200 giorni di lezione: quindi 15 giorni al di sopra della media europea (insieme a Danimarca, Liechtenstein, Paesi Bassi).
Considerando poi che, in Italia, le ore di lezione sono di 60 minuti mentre in altri paesi di 50 e anche di 40 minuti, il tempo scuola risulta essere nettamente superiore alla media europea. È vero che le vacanze estive sono più corpose in Italia, come pure in altri Stati. Occorre però osservare che, a seconda dei Paesi, c’è una diversa collocazione delle vacanze intercalate durante l’anno.
In Francia, ad esempio, le scuole fanno vacanze di 15 giorni ogni sei, sette settimane.
Nel Regno unito le vacanze di Pasqua sono di due settimane e non di una come in Italia.
Tenendo conto poi delle feste religiose o nazionali decise dagli stati, dai comuni o dalle singole scuole, si può notare che la somma complessiva di giorni di vacanza nell’anno, in Europa, è di circa 120 giorni e quindi sono circa 185 i giorni di scuola.
In conclusione hanno ragione sia Massimo Cacciari quando definisce l’idea del ministro Poletti “troglodita” e anche il collega Matteo Saudino, docente di Storia e filosofia a Torino, nei contenuti della sua bella lettera al ministro.

Egregio Ministro Poletti,
ebbene sì lo devo e lo voglio ammettere. Mi sono laureato, ho preso due abilitazioni a numero chiuso, ho fatto un concorso nazionale e sono precario da 13 anni (assunto il primo di settembre e licenziato il 30 giugno) non tanto perché volevo far l’insegnante, ma per godermi tre mesi di vacanze estive, oltre ovviamente a quelle natalizie, pasquali, di carnevale e ai ponti dei santi, dell’immacolata, del 25 aprile, del primo maggio e del 2 giugno. Peccato non si stia a casa anche il giorno della festa della mamma, del papà, della donna e magari dei nonni.

Egregio Ministro Poletti,
ebbene sì lo devo e lo voglio ammettere, la volgarità e la disonestà intellettuale che caratterizza lei e tutto il governo Renzi è squallida e imbarazzante, sintomo di un paese sempre più allo sbando, retto da personaggi di piccolo cabotaggio, corrotti, prepotenti e mediocri.
Probabilmente signor Ministro lei è troppo impegnato in cene e feste con importanti esponenti di Mafia Capitale per conoscere la professione dei docenti e la realtà in cui vivono gli studenti italiani; altrimenti saprebbe che il numero di giorni di scuola in Italia è pari a quello dei principali stati europei (Germania, Francia, Spagna. ..). Le vacanze sono solo distribuite in modo diverso.
Se conoscesse le condizioni in cui versano gli edifici scolastici italiani e l’ubicazione geografica del Paese che governa, saprebbe, inoltre, che andare a scuola a luglio e agosto nella maggior parte delle città (Napoli, Bari, Palermo, Roma, Sassari, Milano) sarebbe impossibile.
Infine, signor Ministro, le ricordo che ormai anche il mio macellaio di fiducia (purtroppo sono carnivoro) non pensa che un insegnante faccia tre mesi di vacanza.
Tra esami di stato, esami di riparazione, riunioni e programmazione, le ferie dei docenti (trenta giorni più le domeniche) si concentrano per lo più da metà luglio al 31 agosto.
Comunque, Egregio Ministro e Esimio Premier, fate bene ad umiliare costantemente noi insegnanti.
Ce lo meritiamo.
Negli ultimi decenni abbiamo accettato tutto supinamente: blocco salariale, classi pollaio, precarietà, aumento dell’orario di lavoro, edifici insicuri, finanziamento alle scuole private, cattedre spezzatino e concorsi truffa.
Ed ora, sprezzanti ma con il sorriso sulle labbra, state realizzando la privatizzazione della scuola e la sua trasformazione in un’azienda senza che il corpo docente italiano dia un sussulto di vitalità. Tra chi aspetta la pensione e chi pensa che un salario fisso anche se basso è meglio che niente, tra chi è stanco di lottare e chi si considera intellettuale, tra chi “tanto mio marito è un dirigente o libero professionista” e chi è solo e disperato, tra chi “o si blocca il paese per settimane o uno sciopero non serve a nulla” e chi “ora servirebbe la rivoluzione”, gli insegnanti stanno assistendo inerti e rassegnati alla lenta morte della scuola pubblica, democratica e costituzionale.
Il nostro silenzio è complice.
E non basta più (se mai è servito a qualcosa) sfogarsi solo sui social network.
Per chi non si vuole arrendere non vi è altra strada che la lotta, per la nostra dignità e per il futuro dei nostri figli e dei nostri studenti.
Una terza via non ci è data.

Comunque vi informiate indignandovi, buona partecipazione.

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Mauro Presini

È maestro elementare; dalla metà degli anni settanta si occupa di integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Dal 1992 coordina il giornalino dei bambini “La Gazzetta del Cocomero“. È impegnato nella difesa della scuola pubblica. Dal 2016 cura “Astrolabio”, il giornale del carcere di Ferrara.


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani