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di Jessica Saccone

Quest’anno, per la prima volta, oltre agli eurodeputati si elegge anche il presidente della Commissione europea. Lo slogan della campagna del Parlamento europeo per invitare i cittadini a recarsi alle urne il 25 maggio è stato, infatti, “This time is different”. Perché questa volta è diverso? Qual è la portata del cambiamento? Lo abbiamo chiesto al noto politologo Gianfranco Pasquino, docente dell’ateneo bolognese.
Certamente il fatto che ci siano dei candidati alla presidenza della Commissione europea è un passaggio importante. Da quasi 15 anni molti che hanno un ruolo in Europa ritengono sia giusto che i cittadini eleggano il presidente. Questa non è una situazione di elezione diretta tuttavia, perché bisogna tenere conto dei risultati. Toccherà infatti ai vari capi di governo in sede di Consiglio europeo suggerire chi dovrà essere il presidente, poi il parlamento ratificherà. Certo, sarebbe meglio se il presidente fosse anche il capo di uno schieramento che ha già una maggioranza in Parlamento, però nessuno l’avrà, quindi ci sarà un accordo tra social democratici e democristiani.

In questa interminabile fase di crisi quali provvedimenti potrebbe e dovrebbe adottare l’Unione europea per propiziare un credibile rilancio?
La crisi non è il prodotto delle economie europee, ma solo parzialmente il risultato di errori economici di alcuni Paesi dell’Unione. La crisi, che arriva dagli Stati Uniti, ha certamente una componente economica molto rilevante, legata soprattutto alle leggi, alle direttive europee e a come sono state applicate. Non c’è una politica economica comune, sebbene ci sia l’unità monetaria. Alcune istituzioni europee sono lente nel loro funzionamento e non hanno forse sufficienti poteri nei confronti degli Stati nazionali, che vogliono mantenere una loro sovranità. I passaggi futuri dovranno essere certamente un’omogenizzazione economica e maggior efficienza delle istituzioni.

In questo periodo, in relazione all’Europa, si è dibattuto spesso di politiche di difesa centralizzate a livello comunitario e di coordinamento degli interventi di contrasto alla criminalità organizzata. Qual è il suo pensiero in merito e quali altri temi indicherebbe nell’agenda politica dell’Unione?
Bisogna riuscire ad applicare un principio tanto sbandierato: sussidiarietà. Agli Stati nazionali spetterebbero quelle competenze che sono capaci di esercitare, mentre l’Ue dovrebbe acquisire tutte le altre. Sarebbe auspicabile una concentrazione dei poteri nelle mani dell’Ue e quindi della Commissione, cioè del governo, stimolata dal Parlamento, e una diffusione delle competenze appunto ai vari Stati nazionali. Questa operazione è complessa, ma la strada della sussidiarietà è quella da percorre, in un sistema politico che credo diventerà federale.

Si avverte in giro molto scetticismo. Secondo il sondaggio dell’Istituto Demopolis , 20 milioni di italiani potrebbero restare a casa il 25 maggio: un dato senza precedenti per il nostro Paese. L’astensione dovrebbe restare più contenuta nelle regioni del Centro Nord, grazie al traino delle Amministrative, ma appare in crescita al Sud e soprattutto nelle Isole. Cosa si dovrebbe fare per contrastare questa deriva?
Votare è importante. Il voto conta, l’astensione no. Il livello di partecipazione degli elettori in questo caso è determinato dall’interesse verso l’Ue, che dovrebbe essere alimentato dai partiti. Il problema è che i partiti non sanno condurre campagne elettorali e non sanno scegliere candidati capaci di spiegare che cos’è l’Europa, facendone comprendere non solo la necessità ma soprattutto l’utilità. L’Italia senza l’Europa sarebbe già sprofondata nel Mediterraneo. Auspico nel rinsavimento degli ultimi giorni e che soprattutto gli elettori non scelgano solo se andare a votare o meno, ma anche per chi.

L’elenco dei sei candidati alla presidenza della Commissione è pronto. Non tutti i partiti appoggiano un candidato, dal momento che alcune forze (come il Movimento 5 Stelle in Italia) non hanno stretto alleanze a livello europeo. Mentre altri partiti (in primis l’Efa che fa capo a Marine Le Pen o la Lega Nord) hanno deciso di non candidare nessuno, per non legittimare un’istituzione, l’Unione Europea appunto, che non riconoscono. Come interpreta questo rifiuto?
Se fosse una posizione razionale, risponderei in maniera razionale. Dove saremmo se non ci fosse l’Europa? Chiederei loro quali sarebbero i vantaggi nel ritornare agli Stati nazionali. La sola idea evoca il nazionalismo, che è stata una forza dirompente negativamente nel contesto europeo. Bisogna perciò fare appello a valori che hanno una componente emotiva: l’Europa ha garantito la pace, la prosperità; e anche se gli ultimi 5 anni sono stati difficili, resta un polo di attrazione anche per altre realtà nazionali, è uno spazio di libertà dove non si applica per esempio la pena di morte. Ricordo a costoro che i loro figli avranno un futuro migliore anche grazie all’Europa. Se acquisiscono una istruzione adeguata possono anche sfruttarla in qualsivoglia Paese dell’Unione. Bisognerebbe perciò controbattere con argomentazioni non emotive, perché io credo la politica si faccia con la testa e non con la pancia.

Il Tribunale di Venezia ha rinviato alla Corte Costituzionale la legge elettorale per le europee per soglia di sbarramento del 4%. La ritiene una limitazione?
Penso che se non ci fosse la rappresentanza dei partiti risulterebbe eccessivamente frammentata. Dovrebbe esserci la ricerca di una maggiore coesione tra i partiti. Tutti astrattamente avrebbero diritto di essere rappresentati e di potersi esprimere, ma siamo consapevoli che è necessario ragionare nella logica delle coalizioni per garantire la governabilità. Quindi accetto la soglia come strumento che incoraggia le aggregazioni.

Secondo i sondaggi, il Pd è primo partito, inseguito da M5S e ben distante da Forza Italia, che è sotto la soglia del 20%. Secondo lei, quello per le europee sarà anche un voto sul governo?
Quando vota un elettorato nazionale, esprime anche delle valutazioni su quelle che sono le dinamiche del proprio Paese. Le conseguenze sul quadro politico sono però limitate. Non viene chiesto agli italiani se mandare a casa il presidente della Repubblica o se vogliono un nuovo governo. I partiti tuttavia ricevono dei messaggi importanti. Vedremo se il Pd sarà il primo, se Berlusconi raggiungerà il 20%, se il Movimento 5 stelle è al 25 % o addirittura sopra. Tutte queste variabili dipendono dagli elettori.

Renzi ha detto che è “sconclusionato chi vuole uscire dall’euro”. Cosa ne pensa?
Io credo che abbandonare l’euro sia una stupidaggine. Dal punto di vista politico sarebbe un messaggio pessimo all’Europa, perché diremmo che, a differenza di altri Paesi, noi non siamo in grado di funzionare con l’euro. Tornando alla lira, inoltre, avremmo una moneta esposta a speculazioni internazionali e più debole dell’euro. Perderemmo pure potere d’acquisto. E’ una proposta irrazionale, che non a caso proviene da partiti come quelli di Grillo e di Salvini, che in chiave europea sono certamente i più stravaganti.

[© www.lastefani.it]

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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