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Siamo sicuri che la generazione di oggi sia peggiore della nostra?

Noi siamo quelli delle grandi compagnie, dei motorini, della socializzazione, dell’ adolescenza infinita e degli ultimi giochi antichi, ma poi siamo diventati grandi. O avremmo dovuto diventarlo. Ora i cinquanta, sessanta e settantenni sono la classe dirigente di questo mondo. Sono quelli che se hanno lottato, lo hanno fatto infinitamente meno delle generazioni precedenti, quelle nate dalla guerra e dalla dittatura, spesso col condimento della fame.

Ora ci rivolgiamo ai ragazzi come ad entità a sé stanti, come fossero esseri catapultati su questo pianeta da Marte. Ma i genitori siamo noi, non gli alieni. Gli adulti o presunti tali sono quelli che decidono, spesso dirigono, altre volte supportano i padroni del vapore. Non raccontiamoci che Gesù Cristo è morto dal freddo, lui che era il padrone della legna.

Sono mille i difetti che noi vediamo nei giovani figli di altri, ovviamente mai nei nostri. Noi babbioni siamo un flusso continuo di lamentele, sono maleducati, sono sdraiati, non hanno voglia di fare un cazzo, fosse mio figlio il cellulare non lo vedrebbe più eccetera, una sequela di masturbazioni mentali sul come era bello il mondo di ieri in confronto al mondo di oggi.

Ricordo agli smemorati che alla fine degli anni settanta e negli anni ottanta le strade traboccavano di eroina, la violenza era ovunque, addirittura intrinseca nelle periferie e nelle borgate. Meglio o peggio di oggi? Non lo so, non ho il calibro per determinarne lo spessore.

Certo in molti avevamo grandi sogni sul futuro del mondo, ma quali di questi abbiamo realizzato? (Forse solo la S.P.A.L. in serie A, ma quella è un’altra storia, grande e piccola)

Siamo quelli che hanno assistito inermi e in silenzio allo smantellamento delle utopie, in cui dicevamo tanto di credere. Abbiamo visto il cadavere delle nostre idee galleggiare nel fiume per poi riemergere sulla spiaggia del cambiamento pimpante, arzillo e in doppio petto. Abbiamo seppellito le idee di rivolta e di ribellione sotto un confortante e inevitabile mucchio di terra chiamato “tengo famiglia”.

Il capitalismo si è mangiato la speranza di un mondo migliore senza che noi ce ne accorgessimo, oppure ce ne siamo accorti ma abbiamo continuato, fischiettando, a innaffiare il nostro orto.

I giovani sono figli nostri, sono una speranza, non sono il problema. Sono quelli a cui noi, che siamo quelli di erano meglio i nostri tempi, abbiamo lasciato un mondo di merda.

Un globo terracqueo (cit.) unipolare, unidirezionale, dove i potenti (spesso nostri coetanei) spingono bottoni, facendo le guerre, per saturare i propri patrimoni e conti in banca, adiacenti tra buoni e cattivi. Dove nel continente più ricco del mondo vivono le persone più povere, dove lo sfruttamento è da secoli sistema e si pretende pure che chi muore di fame lo faccia in silenzio, senza scappare né protestare.

Questo mondo è gestito da gente nata negli anni ’50 e ’60. Con tutto ciò cosa c’entrano i giovani? C’è qualcuno che me lo spiega?

Ultimamente, pur essendo un nostalgico della mia adolescenza, faccio fatica a sopportare i paragoni tra le epoche. In cinquant’ anni il mondo è cambiato talmente in fretta che i film di fantascienza della nostra gioventù sono invecchiati male, salvo poche eccezioni.

In una cosa le generazioni non sono cambiate: le colpe dei padri vengono scaricate sui figli, per pulirsi la coscienza e lasciare loro le scorie puzzolenti di una decadenza causata principalmente da noi.

Ma io ho lottato, ho fatto, ho cercato … .Ognuno parlerà con la propria coscienza. I giovani possono solo fare meglio di noi.

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Cristiano Mazzoni

Cristiano Mazzoni è nato in una borgata di Ferrara, nell’autunno caldo del 1969. Ha scritto qualche libro ma non è scrittore, compone parole in colonna ma non è poeta, collabora con alcune testate ma non è giornalista. E’ impiegato metalmeccanico e tifoso della Spal.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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