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Frontiere aperte per i disertori

di L’ideota (da pressenza del 09,02.2023)

Una delle cose più abominevoli della guerra è costringere qualcuno a uccidere o farsi uccidere.

Tempo fa leggevo un articolo sullo stress post-traumatico di tanti reduci del Vietnam ricoverati in reparti psichiatrici. Una generazione è stata annichilita.

Dopo l’esplosione di una violenza istituzionalizzata e considerata presentabile nella buona società americana, molti reduci sono implosi, schiacciati dal peso dei loro incubi.

Il trauma dei soldati è analizzato nel film Full Metal Jacket. Parla di Vietnam, ma è una finestra su tutte le guerre. È un racconto feroce di quello che ti aspetta durante l’addestramento e mentre infuria la battaglia. In quei contesti rimane a galla chi si rifugia nell’annullamento di sé per trasformarsi in una macchina. Chi non ci riesce sprofonda nel delirio. Ma anche i soldati che mantengono un precario e contraddittorio equilibrio perdono qualcosa per sempre, persino quando sopravvivono, persino quando riescono a immergersi in una disperata apatia. Magari tornano a casa, ma sono rassegnati alla brutalità del mondo.

Non entro nei dettagli per non rovinarvi il film. Va guardato. Io l’ho visto tutto d’un fiato, malgrado qualche cedimento emotivo di fronte alle sequenze più crude.ucciderearmi

La verità è che non sopporto l’idea di un’arma da fuoco nelle mie mani, neanche come astrazione confinata nell’iperuranio, nemmeno come riflessione filosofica durante un cineforum o come ipotesi enigmistica in un gioco di società.

Non reggo l’idea di toccare fucili o pistole in nessuna situazione, anche se sto affrontando l’argomento proprio ora, in preda a un attacco di autolesionismo. Mentre scrivo, tento di sopprimere l’immagine dell’arma nel mio pugno, ma il mio flusso di coscienza è indisciplinato. Ricado nella condizione paradossale di chi cerca di non pensare al porpora e quel colore, come per dispetto, diventa un chiodo fisso.

Vista la mia curiosa idiosincrasia per stragi e cose simili, posso vagamente intuire l’abissale sconforto dei giovani russi e ucraini mandati a combattere contro la loro volontà. Al loro posto mi ubriacherei a morte durante il viaggio verso la prima linea.

Le alternative esistono: scappare chissà dove, oppure ribellarsi a viso aperto, subire un arresto e finire in carcere, per poi subire i soprusi di guardie poco compassionevoli in celle sovraffollate. Sono da mettere in conto anche le torture.

Durante la guerra, la retorica patriottarda scorre a fiumi e la diserzione diventa il tradimento supremo. Non puoi aspettarti di essere trattato con i guanti, se getti il fucile in un fosso di fronte al generale.

Avrei il coraggio di essere un oppositore che sfida il sistema a viso aperto e si prepara ad affrontare terribili conseguenze?
Difficile rispondere. Non voglio conferire a me stesso premi e attestati di merito psichici per atti eroici che non ho commesso. Forse, semplicemente, tenterei la fuga insieme a una moltitudine.

So solo che non potrei combattere. So solo che tante persone si oppongono, si sottraggono alle armi, disertano, ma al loro posto non saprei dove scappare, perché qualsiasi cartina geografica mostra con implacabile chiarezza che esistono Stati e confini.

Dobbiamo offrire un rifugio a chi brucia la divisa, invece di raggiungere nuove vette di perfezione nel voltare la testa dall’altra parte. Apriamo le nostre deplorevoli frontiere per proteggere i disertori russi e ucraini.

Facciamo risuonare il nostro barbarico yawp sui tetti del mondo per chiedere che ottengano lo status di rifugiati.

La scelta di non combattere deve diventare un diritto umano.

Finora questo tema è rimasto troppo ai margini del dibattito pubblico.

Portiamola avanti come si deve, senza dimenticare le basi, questa lotta antimilitarista.

L’Ideota
Classe 1973. Sono uno scrivente che ha fatto di tutto: articolista per giornali e riviste (Left per esempio), editor, ghost writer, autore di quarte di copertina per manuali universitari, compilatore di schede per saggi sull’arte e persino scrittore di racconti posizionati sulle etichette di bottiglie di vino. Da diversi anni sono volontario di Emergency. Antifascista da sempre, anarchico dal 2020. Odio i CPR e sogno l’abolizione del carcere. Nel mondo reale sono moderatamente noto come Danilo Zanelli, ma sul web sono L’Ideota, un autore satirico cupo, malinconico e malmostoso.

Appendice

Guarda L’articolo e ascolta il podcast:
Intervista di Radio Capital a Valerio Nicolosi sulla situazione dei disertori in Ucraina

 

 

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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