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La guerra ad Hamas. Bambini e terrorismo.

Un mese di bombardamenti incessanti su aree civili densamente popolate ha esacerbato la già critica salute mentale dei bambini di Gaza con terribili conseguenze. Lo afferma Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da oltre cento anni lotta per salvare i bambini e le bambine a rischio di sofferenza e morte e garantire loro un futuro.

Nell’ultimo mese, più di 4.000 bambini sono stati uccisi a Gaza e più di 1.000 risultano dispersi, presumibilmente sepolti sotto le macerie. Altri 43 bambini sono stati uccisi nella Cisgiordania occupata e 31 in Israele, mentre secondo notizie di stampa circa 30 bambini sarebbero tenuti in ostaggio. Una situazione inaccettabile e disperata a cui nessuno sembra porre rimedio.

Di fronte a notizie drammatiche che si susseguono a raffica non si fa altro che appellarsi ai trattati internazionali e ai documenti sui diritti dei bambini che nessuno stato in guerra rispetta. Eppure, il 20 novembre 1989, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, la quale sancisce che tutti i bambini hanno diritto alla sopravvivenza, allo sviluppo, alla protezione e alla partecipazione.

L’accordo formula principi validi in tutto il mondo nell’approccio all’infanzia, indipendentemente dall’estrazione sociale, culturale, etnica o religiosa. Da allora, i bambini sono considerati individui a pieno titolo, con opinioni proprie che possono essere espresse.

La comunità internazionale ha precisato punti importanti della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia con protocolli aggiuntivi, come il Protocollo facoltativo relativo alla partecipazione di fanciulli a conflitti armati, il quale stabilisce che i minori di diciotto anni non possono essere costretti a prestare servizio militare, concretizzando così quanto esplicitato riguardo al limite di età all’articolo 38 della Convenzione. A partire dai sedici anni possono arruolarsi volontariamente, ma prima dei diciotto non è consentito loro partecipare direttamente alle ostilità. Questo Protocollo aggiuntivo è entrato in vigore nel febbraio 2002.

Il secondo Protocollo facoltativo alla Convenzione sui Diritti dell’Infanzia concerne la vendita di fanciulli, la prostituzione infantile e la pedopornografia e vieta espressamente queste forme di sfruttamento esortando gli Stati a punirle. Questo Protocollo aggiuntivo è entrato in vigore nel gennaio 2002.

Eppure, tutti questi documenti ratificati da più di cento stati, non sembrano servire nei momenti di massima criticità. Si continua a rilevare una discrasia esagerata tra ciò che viene affermato e ciò che, di fatto, succede nelle zone di guerra. Bambini uccisi dalle bombe e sepolti sotto le macerie, famiglie distrutte, lacrime ovunque.

Proprio a questo proposito diventa rilevante il tema delle ‘Regole’ che ci diamo, che un gruppo di persone si dà. Ma cosa sono le regole e a cosa servono?  Una regola è il modo ordinato e costante in cui una serie di cose si svolge; si può osservare in alcune situazioni in natura o anche nel comportamento umano.  Di conseguenza, si chiama regola anche l’esposizione chiara e precisa di questo modo di svolgersi, che diventa una norma da seguire, cioè indica ciò che deve essere fatto in determinate situazioni. [Treccani]

Le regole sono gli elementi costitutivi delle istituzioni e queste ultime sono gli strumenti che utilizziamo per organizzare e coordinare i comportamenti sociali, in modo che questi possano concorrere nel modo più efficace al benessere collettivo.

Secondo i teorici dei giochi (si veda ad esempio Jean Tirole) le regole sono situazioni nelle quali, dopo che ognuno ha fatto la sua scelta e dopo aver osservato le scelte di tutti gli altri, decide che la sua scelta è la migliore possibile. Si chiamano ‘equilibri‘ proprio perché in questi casi nessuno ha interesse a cambiare idea, a mettere in discussione il proprio comportamento, dato quello di tutti gli altri.

Un’istituzione efficace non è altro, dunque, che un insieme di regole che le persone sono motivate a seguire. Non ci sono, nelle arene sociali solo questi giochi “puri”, dove gli equilibri sono equivalenti; ci sono anche altri casi che prevedono la possibilità di assetti istituzionali differenti, alcuni migliori e altri peggiori. Questi sono i cosiddetti giochi “impuri”.

Secondo i teorici dei giochi:

sottolineare l’onestà dei tanti piuttosto che la disonestà dei pochi rende le regole ancora più normative, ne aumenta l’efficacia prescrittiva e, infine, la capacità di persuasione.

– Un ulteriore passo è quello di rendere le sanzioni certe, perché automatiche. Per esempio, facendole auto-imporre direttamente dal trasgressore. Fare in modo che si passi da un senso di auto-giustificazione al senso di colpa, dopo aver trasgredito la norma, è un modo perché la sanzione diventi automatica e certa.

– Altro passaggio è l’eliminazione del confine mio-nostro. Nel momento in cui la sfera pubblica viene percepita come costitutivamente separata da quella individuale – ciò che è comune non è di nessuno – allora la molla dell’interesse individuale non si applica e con essa si perde una sorgente motivazionale potente.

Tutto questo è fallito, nelle zone di guerra, dove si ammazzano bambini senza pietà non esiste nessuna norma che garantisca l’equilibrio. L’idea di un equilibrio “puro” o “impuro” ma comunque equilibrio, è miseramente naufragata e nessuno, aldilà delle dichiarazioni ufficiali, persegue più alcun bene. Non esiste sul campo alcun tentativo etico di trovare una via d’uscita, non esiste più per molti motivi:

  • Chi ammazza ha ricevuto l’ordine di ammazzare. Se non lo fa, viene ammazzato lui.
  • I centri decisionali sono gerarchici e l’inizio della gerarchia ha una forte componente politica. Se il vertice politico ha delle ambizioni espansionistiche la situazione diventa drammatica.
  • Una componente che acuisce la follia di chi è disposto ad uccidere è quella religiosa. Se si crede che morire combattendo in guerra apra le porte del paradiso e della gioia eterna, si muore diversamente.
  • Una ulteriore componente che aumenta l’aggressività e la tendenza a uccidere è la vendetta personale. “Non vi uccido perché mi è stato ordinato, ma perché voi (identificati come nemici) avete sterminato la mia famiglia”.
  • Il passaggio dall’uccisione come rispetto di un ordine, all’uccisione come vendetta personale sancisce un ingaggio che diventa la molla per trasgredire a qualsiasi trattato sulla guerra e convenzione internazionale. L’uccisione è all’apice di tutti gli scopi che restano a una persona.
  • Quando la vendetta personale riguarda molti uomini non si può più parlare di guerra ma di terrorismo.

Terrorismo è uno di quei termini che tutti sembrano pronti ad utilizzare, senza riuscire a trovarne una definizione esatta. Esistono molte definizioni di terrorismo, nessuna accettata ufficialmente. La mancanza di accordo sul significato del termine ha conseguenze importanti.

Le Nazioni Unite non sono state in grado di adottare una convenzione contro il terrorismo, nonostante aver cercato per sessant’anni di farlo, questo perché gli Stati membri non riescono a trovare un accordo su come definire il termine. Detto ciò, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite tende ad utilizzare La seguente definizione:

Il terrorismo è un insieme di atti criminali che hanno l’intenzione o sono progettati per provocare uno stato di terrore nel pubblico generale, in un gruppo di persone o in alcuni individui in particolare, per scopi politici che sono ingiustificabili in qualsiasi circostanza, a prescindere da qualsiasi considerazione possa essere invocata per giustificarli, sia di natura politica, filosofica, ideologica, razziale, etnica, religiosa o di qualunque altra natura” (si veda: https://www.coe.int/it/web/compass/war-and-terrorism)

Ad Hamas le regole della guerra non c’entrano più, i trattati internazionali sono carta per il macero, vige un odio imperante, dove si uccide per vendetta e per salvare sé stessi e la propria famiglia. In una situazione così i bambini, le donne e gli anziani sono le prime vittime di questo orrore senza fine, che si fermerà quando nessuno avrà più nessuno da difendere.

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Catina Balotta

Sociologa e valutatrice indipendente. Si occupa di politiche di welfare con una particolare attenzione al tema delle Pari Opportunità. Ha lavorato per alcuni dei più importanti enti pubblici italiani.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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