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Solitamente quando si pensa ai fondi europei per il settore culturale, la prima linea di finanziamento che viene in mente è Europa Creativa, in particolare il sottoprogramma Cultura. Meno immediato è, probabilmente, il collegamento con Horizon 2020, il programma quadro europeo per la ricerca e l’innovazione.
Se Europa Creativa ha lo scopo di rafforzare la competitività del settore culturale e creativo per promuovere una crescita economica intelligente, sostenibile e inclusiva, l’obiettivo di Horizon 2020 è assicurare che l’Europa produca scienza e tecnologia di livello mondiale in grado di stimolare la crescita economica e affrontare le sfide sociali che si stanno presentando e si presenteranno. Proprio qui si aprono grandi potenzialità per il nostro patrimonio culturale, con il sottoprogramma delle “societal challenge”, le sfide prioritarie per la società (finanziato con 1,309 miliardi di euro in sette anni, dal 2014 al 2020). La sfida in particolare è quella dell’Europa “in un mondo che cambia – società inclusive, innovative e riflessive”, intendendo con quest’ultimo termine società “che costruiscono il proprio futuro a partire da una riflessione sul proprio passato, sui valori espressi dal proprio patrimonio culturale”, come ci ha spiegato Fabio Donato, docente di economia delle aziende culturali all’Università di Ferrara e rappresentante italiano a Bruxelles nel Comitato di Programma di Horizon 2020, che abbiamo incontrato in occasione del Salone del Restauro di Ferrara.

Fabio Donato

Secondo Donato l’Italia sta ottenendo grandi risultati su questo versante. Nel 2013 l’Italia si è battuta ed è riuscita a ottenere una grande vittoria mantenendo gli aspetti dell’inclusività e dell’identità culturale all’interno delle linee di finanziamento. E la linea italiana è passata nuovamente con “Understanding Europe”, uno delle quattro macro-aree delle calls per i finanziamenti 2016-17, che supporta progetti volti alla costruzione di una società europea che sia basata sul dialogo e sulle persone. Non solo, secondo i dati forniti da Fabio Donato, il nostro paese sta avendo successo anche sul piano dei progetti: “nel 2014 l’Italia è stato il primo paese come coordinatore dei progetti vincitori” e “nel 2015 i dati, seppur ancora provvisori, ci dicono che il contributo finanziario ottenuto è pari all’11,40%”. La vera novità è però il riconoscimento dell’Italia “fra i tre paesi punti di riferimento, insieme a Uk e Germania”, sottolinea il professore.

C’è però anche il rovescio della medaglia: “il tasso di successo dei progetti è molto basso”. “Potrebbe sembrare un paradosso”, ma la causa va ricercata “nell’alto numero di progetti presentati”: più è ampio il numero di partenza delle candidature, più diminuisce il rapporto fra quelli finanziati e quelli che non hanno successo. Questa grande partecipazione può essere letta positivamente, come segno che “sui temi della cultura il paese c’è e investe grande energia”; purtroppo però “a volte arrivano progetti non adatti dal punto di vista non contenutistico, ma tecnico e finanziario” e questo “mette a rischio il capitale reputazionale del paese”.
Le parole chiave che il mondo della cultura italiano dovrebbe giocare in Europa dunque sono: inclusività e valori culturali condivisi. Il nostro patrimonio culturale e ambientale è una grandissima risorsa sia dal punto di vista economico sia, anzi soprattutto, come fattore identitario e veicolo di inclusione e coesione sociale. Ecco perché deve diventare sempre più accessibile, comprensibile, fruibile per essere conosciuto e condiviso in misura sempre maggiore. Dovremmo cominciare a considerare i beni culturali un ecosistema all’interno del quale convivono e devono collaborare diverse realtà sociali, istituzionali, economiche, e dovremmo pensare alla conservazione e valorizzazione del nostro patrimonio non come alla conservazione e tutela di pietre, ma di valori culturali significativi per diversi gruppi di persone, comprese le generazioni future. Contrariamente a quanto spesso pensiamo, quando si tratta di ‘heritage’, l’Italia c’è ed è un punto di riferimento, ma si può e si deve fare ancora di più.

Guarda l’intervista a Fabio Donato

 

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Federica Pezzoli


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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