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Credo si possa dare per assodato che la semplice appartenenza al genere femminile non rappresenti la condizione unica e sufficiente per dare forma e concretezza al cambiamento di prospettiva di genere di cui molte donne sentono il bisogno e l’urgenza, vivendolo come necessario e praticandolo nella loro quotidianità, in attesa che insieme a loro sia la società a evolversi.

Essere donna non è di per sé garanzia né di obiettivi né di metodo. Basti pensare alla reticenza con la quale moltissime donne ammettano di vivere – e spesso partecipare – ad un sistema patriarcale, al punto da giurare di essere più libere ed emancipate di quanto non siano, non siamo, in realtà.
A scrivere è una femminista tardiva (nel senso che sono approdata al femminismo ben più che in età adulta), per la quale è facile riconoscere stereotipi e automatismi di chi pensa che il maschilismo sia l’unica forma possibile, perché in esso è cresciuta e si è formata e di esso ha inconsciamente accettato le regole sul presupposto para-educativo che “è così che si fa”, o, peggio “è naturale che sia così”.

Di naturale c’è ben poco nell’abitudine alla subordinazione, nel coprire una parte che alle donne è stata affidata nel corso dei decenni, nell’accettare regole che cristallizzano una discriminazione. Non c’è nulla di naturale nemmeno nella cosiddetta famiglia naturale, la cui tutela viene spesso richiamata per tranquillizzare i complottisti delle teorie gender. Niente è più culturale e sociale di una costruzione come la famiglia, dove anche nella forma più comune di relazione tra un uomo e una donna i ruoli sono definiti in base ad un mix di tradizioni, usanze, abitudini.

Se per femminismo intendiamo l’insieme dei movimenti volti a emancipare le donne, renderle libere attribuendo loro gli stessi diritti e le stesse opportunità che hanno gli uomini, è un vero mistero come non tutte le donne siano femministe, anzi, alcune di loro rifiutino categoricamente di poterlo essere, accettando al contempo di essere parte del meccanismo ben oliato del patriarcato tradizionale.

Una solidarietà minima, quella sì, naturale, ci spinge a lottare anche per tutte quelle donne nel mondo che non hanno accesso all’istruzione, non possono guidare, non possono lavorare, la cui estrema povertà le espone a violenze e sfruttamento.

Ma c’è di più. Il femminismo contemporaneo non è estraneo alle battaglie analoghe per la trasformazione dei meccanismi che condannano minoranze o gruppi di persone a subire discriminazioni di sorta. Il femminismo non prescinde dalla lotta contro il razzismo, contro l’omotransfobia, contro le diseguaglianze profonde, contro le tradizionali forme di dominazione sociale, contro la manifestazione del potere. Non solo per empatia
(parola politicamente abusata), non solo perché la lettura del reale indica chiaramente che nella stessa persona possono sommarsi più caratteristiche che la rendono esposta a discriminazioni, ma anche perché sta nel concetto di rappresentanza la tensione a farsi carico della possibile soluzione di problemi che non siano solo i nostri, e, infine, perché le uguali opportunità devono essere per tutte, per tutti, per tutt*, o non
sono.
Ecco perché chi persegue un futuro migliore del presente (migliore per tutte e tutti, non solo come conservazione dei propri privilegi) non può che essere femminista. Ed ecco perché non basta essere donne per essere dalla parte delle donne.

Ferrara, 31.08.2022
Ilaria Baraldi
Portavoce Donne Democratiche di Ferrara

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Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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