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Emergenza demografica: sempre di più e sempre più vecchi, si staglia lo spettro della miseria di massa

di Franco di Giangirolamo*

Una delle sfide globali del XXI secolo, di dimensione analoga a quella “ambientale”, è rappresentata dall’invecchiamento della popolazione, fenomeno che interessa sia le regioni del mondo ‘sviluppato’ che i paesi emergenti (economie in transizione) e i cosiddetti Paesi in via di sviluppo.

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Tabella 1 – Durata media della vita in alcune regioni del mondo

I determinanti fondamentali di questo fenomeno demografico globale, storicamente inedito e irreversibile, sono la riduzione della povertà, seppure accompagnata da aumento delle disuguaglianze (il trionfo dello sviluppo, secondo l’Onu), la diffusione delle cure sanitarie (effetto combinato vaccinazioni, pillola contraccettiva) e di una cultura tesa al miglioramento della qualità della vita che ha interessato prevalentemente il genere femminile [vedi tabella 1 – vedi tabella 2 e 3].

Questi fattori hanno innescato il processo di transizione demografica (bassa natalità e mortalità) che si è quasi conclusa nei paesi sviluppati e che si è avviata recentemente nei paesi emergenti con rapidissimo declino della mortalità e un calo dolce della natalità.
Dai 2,5 miliardi di abitanti che popolavano il globo nel 1950, si è passati a 5,3 miliardi nel 1990 e si prevede di raggiungere quota 8,5 miliardi nel 2025 fino a stabilizzarsi sui 10 miliardi tra mezzo secolo.

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Tabella 2 – Numero medio di figli per donna in alcune regioni del mondo

Le modifiche demografiche quantitative non sono state uniformi: si stima che nei paesi meno sviluppati l’aumento della popolazione sia cresciuto di 3 volte tra gli anni ’50 e gli anni ’90 del secolo scorso, determinando un aumento del peso relativo sulla popolazione mondiale che passa dai 2/3 degli anni ’50 ai 3/4 degli anni ’90, ai 4/5 previsti per il 2025 (al netto di improbabili migrazioni bibliche a breve, 4 persone su 5 vivranno nei paesi “poveri”).
La transizione demografica produce anche una nuova e asimmetrica (o squilibrata) distribuzione geografica della popolazione e una notevole diversificazione delle piramidi per classi di età, che permette fin d’ora di osservare una forbice tra paesi con “troppi anziani” sempre più vecchi e paesi con “troppi giovani”, con indici di dipendenza demografici di dimensione quasi doppia (Golini la definisce “devastante mutamento nella struttura per età”).
Se si combinano questi fattori con la distribuzione globale inversamente proporzionale delle risorse economiche, con i fenomeni di inurbamento che caratterizzano i paesi emergenti e il processo di femminilizzazione della popolazione anziana, si delinea un quadro abbastanza evidente delle questioni che potranno e dovranno costituire le priorità politiche dei governi nell’immediato futuro.
Oggi solo il Giappone ha il 30% di popolazione anziana, ma entro il 2050 almeno 64 Paesi, tra i quali alcuni molto popolati, saranno nelle stesse condizioni, mentre solo 1/3 dei paesi del mondo dispone di un sistema di protezione sociale che, peraltro, copre in prevalenza i rischi della popolazione attiva (che è solo la metà della popolazione mondiale).

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Tabella 3 – Numero medio di figli per donna

Se si aggiunge a questo panorama il fatto che gli ultraottantenni sono attualmente il 12% della popolazione anziana e che nel 2050 raggiungeranno il 20%, che l’età media mondiale è oggi di circa 30 anni e che nel 2050 si prevede possa arrivare a 40, si comprendono meglio gli impatti sulle politiche economiche e sociali, che non potranno essere settoriali ma globali. Garanzia di reddito, promozione della salute, diritto all’alloggio e alla mobilità, sono le questioni prioritarie che diventano vere e proprie emergenze sociali se si tiene conto che già oggi metà della popolazione mondiale non può pagare i servizi di base e che la classe media (che può pagare tasse e permettere la redistribuzione della ricchezza) esiste solo nel paesi più ricchi e anche lì si sta impoverendo piuttosto rapidamente.
Le disuguaglianze che crescono sia all’interno di ogni singolo Paese che tra i vari Paesi e l’iniqua distribuzione di risorse, non possono che aumentare gli squilibri e l’insicurezza su scala globale che produrranno anche flussi migratori sempre più complessi sia a livello continentale che locale. Inoltre, la “velocità” delle transizioni demografiche non sono accompagnate da politiche economiche e sociali di dimensione globale in grado di mitigarne gli impatti.

Invecchiamento della popolazione e nuove distribuzioni geografiche della popolazione, urbanizzazione accelerata e modifica della struttura familiare, sono il panorama del XXI secolo che fa emergere come prioritarie le seguenti politiche:

  • politiche del lavoro per la produzione egualitaria di risorse (almeno 1 miliardo di posti di lavoro “decenti” con paghe al di sopra dei 2 euro al giorno);
  • politiche di “redistribuzione solidale” della ricchezza prodotta in termini di costruzione di sistemi minimi di sicurezza sociale che permettano di affrontare la diffusione di sacche enormi di povertà;
  • politiche di redistribuzione egualitaria di risorse naturali (acqua ed energia) che riducano i conflitti politici e armati, potenziali e prevedibili, per la sopravvivenza e per prevenire disastri ambientali;
  • politiche che contrastino la diffusione di vecchie e nuove malattie infettive consentendo l’accesso ai farmaci.

Politiche che parlano di noi, anche se le problematiche sono di spessore, gravità e urgenza relativamente diverse.
È chiaro che nei Paesi poveri il problema non si pone allo stesso modo che nel nord del mondo, perché, in assenza di sistemi di sicurezza sociale, gli anziani sono già troppo “occupati” per sopravvivere. Basti pensare che il 47% degli anziani nel mondo fanno parte della forza lavoro. Il tema della più lunga permanenza al lavoro non si pone.
Diverso ma simile il tema del welfare. Già 250 milioni di anziani nel mondo hanno una qualche forma di inabilità e 35 milioni soffrono di demenze senili, cifre suscettibili di aumenti su scala logaritmica.
Lo spettro della miseria e del malessere non è così improbabile che si stagli all’orizzonte di masse sempre più imponenti di anziani, soprattutto donne, soprattutto nei paesi più poveri.
E neppure si può considerare probabile nel medio periodo l’estensione di istituzioni di welfare sul modello europeo, visto che anch’esso è stato sottoposto ad un processo di smantellamento prima ancora che diventasse (almeno in Italia) maturo rispetto agli obiettivi di universalità ed eguaglianza.
L’innovazione scientifica e tecnologica potrebbe dare un contributo notevole a mitigare gli impatti negativi sulla qualità della vita della popolazione mondiale, sempre che si riducano fino all’eliminazione le barriere alla circolazione e disponibilità della conoscenza e dello sfruttamento criminale della proprietà intellettuale.
Anche se le diversità territoriali sono grandi e spesso enormi, le strategie locali non possono che basarsi su scelte al massimo egualitarie, solidali, partecipate e sull’uso di tutte le risorse umane, culturali e materiali per fronteggiare problematiche di spessore epocale che richiedono una rimessa in discussione della vita di intere comunità e nuovi approcci culturali: nel nostro piccolo siamo anche noi chiamati a fare la nostra parte per costruire un nuovo “umanesimo globale”, attraverso il rafforzamento e la reinvenzione nella dimensione locale di modelli di vita e di società partecipati e solidali.

*(presidente Auser Emilia Romagna)

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Redazione di Periscopio