Skip to main content

Ormai abbiamo familiarizzato anche con gli spot televisivi di Save the Children, di ActionAid o di altre organizzazioni non governative che ci invitano, non tanto ad assumerci la nostra responsabilità nel combattere contro le iniquità del mondo, quanto a diventare clienti della solidarietà con versamenti bancari o donazioni al prezzo di un messaggino dal cellulare. È la logica del benestante, per cui è più facile fare la carità o del volontariato che mettere in discussione il sistema del proprio benessere e dei propri privilegi.
E allora affacciarsi alla finestra del mondo aiuta a comprendere cosa continua a non andare in questa campagna di buonismo in pantofole.
Iniziamo con dare dei numeri nel campo dell’istruzione, per restare in argomento con la nostra rubrica. Dieci paesi: India, Cina, Pakistan, Bangladesh, Nigeria, Etiopia, Egitto, Brasile, Indonesia e Repubblica Democratica del Congo detengono i tre quarti dei 770 milioni di adulti analfabeti nel mondo. 175 milioni di giovani non possiedono le competenze base nell’alfabetizzazione e in aritmetica, 250 milioni di bambini non stanno imparando né a leggere né a fare di conto, anche se la metà di loro ha frequentato la scuola per almeno quattro anni.
Questa “crisi dell’apprendimento globale” costa miliardi di dollari all’anno in finanziamenti all’istruzione sprecati, tra i quali i nostri contributi di solidarietà.
A livello mondiale, quasi i due terzi degli adulti analfabeti sono donne, una cifra che è rimasta pressoché invariata dal 1990. Se le tendenze attuali si mantengono, le ragazze più povere nei paesi in via di sviluppo si prevede che non raggiungeranno un livello di alfabetizzazione fino al 2072. Mentre i ragazzi più ricchi dell’Africa subsahariana porteranno a completamento l’istruzione primaria solo nel 2021, le ragazze più povere dovranno aspettare fino al 2086.
Sono i dati del Rapporto “Education for All”, Istruzione per Tutti, che l’Unesco ha pubblicato nel gennaio di quest’anno. Eppure al Forum mondiale dell’istruzione, tenuto a Dakar, in Senegal, nel 2000, si era convenuto di realizzare l’apprendimento per tutti i bambini, i giovani e gli adulti entro il 2015. Secondo il rapporto dell’Unesco questo obiettivo non sarà raggiunto.
È inutile negare che la ragione di un simile fallimento sta nell’assenza di politiche volte alla ridistribuzione della ricchezza sul pianeta, che rendano permanente il diritto dei bambini e delle bambine dei paesi più poveri di studiare nelle stesse condizioni dei loro coetanei che vivono nel benessere.
Ma non è questa la strategia considerata “win win”, vantaggiosa dalla Banca Mondiale che sostiene “Education for All”. Per la World Bank il metro di misura delle persone e dei popoli è solo l’economia. Il capitale è finanziario o umano. Entrambi devono servire il mercato. Neppure il superamento del grande divario economico tra le nazioni ricche e le nazioni povere può sfuggire a questa logica. Tutto ciò è descritto in modo convincente nel documento pubblicato dalla banca a sostegno dell’istruzione per tutti: “Raggiungere l’istruzione primaria universale entro il 2015: una opportunità per ogni bambino”.
Si sostiene che solo sane politiche macroeconomiche, combinate con l’istruzione, producono economie competitive a livello mondiale. L’istruzione è la chiave per la creazione, l’applicazione e la diffusione di nuove idee e tecnologie, che a loro volta sono fondamentali per sostenere la crescita; essa aumenta le capacità cognitive e le altre abilità necessarie ad incrementare la produttività del lavoro.
Ma questa concezione mercantile del sapere, come dimostra il rapporto dell’Unesco, non riesce ad implementare l’istruzione, perché i paesi ricchi continuano ad essere Achille e quelli poveri la tartaruga, per cui ogni cambiamento di stato permane un’illusione come quella di Zenone.
La Banca Mondiale è pienamente consapevole che l’unica strategia “win-win” per se stessa è soprattutto quella di operare in tutti i modi per evitare di affrontare la questione di fondo che è, e resta, la ridistribuzione di risorse e di beni a livello mondiale.
I dati pubblicati dall’Unesco dimostrano indiscutibilmente che maggiori “opportunità educative” in questo contesto non sono affatto oggi la “strategy win win” per i poveri della Terra. Così potremmo dire della solidarietà che, come i numeri segnalano, non rappresenta l’intervento vincente, anzi, rischia di prestarsi ad un uso strumentale, per sviare l’attenzione e la consapevolezza delle persone dalle questioni più vere. Con questo non voglio mettere in discussione il carattere indispensabile del nostro aiuto. Ciò che critico è la solidarietà da poltrona, la solidarietà digitale del telefonino o del bybank.
Non si può negare che “Education for All” rappresenta il più importante sforzo mondiale per ridurre le diseguaglianze nell’istruzione tra le nazioni. Ma il rapporto dell’Unesco e il mancato raggiungimento degli obiettivi programmati per il 2015, ripropongono con forza il tema centrale della povertà e della sua sconfitta, senza la quale non sarà mai possibile ridurre le iniquità sociali e culturali, consentire alle persone di massimizzare le loro capacità per raggiungere un’esistenza lunga e felice.
Inoltre una delle principali fonti di disuguaglianza sociale tra le nazioni è il massiccio consumo di risorse naturali da parte delle nazioni ricche e l’inquinamento delle nazioni più povere. Nei paesi in via di sviluppo, quindi, l’istruzione per tutti e l’educazione ambientale non possono che essere strettamente connesse, perché sono gli strumenti indispensabili a combattere la miseria, difendendo la salute propria e del proprio ambiente. Ma neppure questo avviene.
Mentre tutti i documenti internazionali a parole pongono in rilievo l’importanza dello sviluppo sostenibile, nessuno dei programmi di “Education for All” prevede o menziona alcuna forma di educazione ambientale e neppure sfiora lontanamente la questione dell’uso diseguale tra le nazioni delle risorse naturali.
Per il premio Nobel Amartya Sen compito dell’istruzione è quello di fornire alle persone le capacità, le possibilità fondamentali e individuali di riflettere, di compiere scelte critiche, di avere voce nella società e di godere di una vita sempre migliore.
Allora dobbiamo concludere che il fallimento di “Education for All”, declinato dall’asetticità dei numeri del rapporto dell’Unesco, è destinato a ripetersi fino a quando le persone non saranno il vero cuore dei suoi programmi. Fino a quando ogni bambino e ogni bambina, ragazza e ragazzo, ogni adulto e il loro ambiente di vita saranno annullati, nell’interesse dei paesi più ricchi, nella massa indistinta del capitale umano, che la World Bank pensa di formare al servizio della crescita economica e del suo paradigma industria-consumo. È così che anche la nostra solidarietà finisce per andare al mercato.

tag:

Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

PAESE REALE

di Piermaria Romani

PROVE TECNICHE DI IMPAGINAZIONE

Top Five del mese
I 5 articoli di Periscopio più letti negli ultimi 30 giorni

05.12.2023 – La manovra del governo Meloni toglie un altro pezzo a una Sanità Pubblica già in emergenza, ma lo sciopero di medici e infermieri non basterà a salvare il SSN

16.11.2023 – Lettera aperta: “L’invito a tacere del Sindaco di Ferrara al Vescovo sui Cpr è un atto grossolano e intollerabile”

04.12.2023 – Alla canna del gas: l’inganno mortale del “mercato libero”

14.11.2023 – Ferrara, la città dei fantasmi

07.12.2023 – Un altro miracolo italiano: San Giuliano ha salvato Venezia

La nostra Top five
I
 5 articoli degli ultimi 30 giorni consigliati dalla redazione

1
2
3
4
5

Pescando un pesce d’oro
5 titoli evergreen dall’archivio di 50.000 titoli  di Periscopio

1
2
3
4
5

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it