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Certamente! Ho visto una parte del ‘Paglio’ (dizione ferrarese) e sono rimasto affascinato dalla corsa delle asine – salvando il genere fluido, in quanto non ho capito se fossero solo femmine o anche maschietti – e sicuramente non otterrò perdono dai fans della manifestazione per il mio totale dissenso all’uso che degli animali viene fatto.

Guardo con curiosità il servizio proposto da Telestense e dal bravo commentatore Nicola Franceschini. Nella corsa delle asine il primo personaggio che si nota è il lunghissimo fantino Tremendo – così si fa chiamare – le cui gambe, a guisa di fenicottero, penzolavano a lato della bestiola che affannata correva, correva, inseguita da altri assatanati in groppa a dolcissimi animali spronati da robuste pacche sul sedere.

Potrei accettare il Palio se fosse danza, corsa, sventolio di drappi e non puntasse principalmente su corse di quel genere. Certo la vista dei nobili cavalli trattenuti e giranti su sé stessi per oltre un’ora di false partenze poteva procurare ansia, ma poi prevaleva la fierezza e la nobiltà dell’animale.

Quindi ricordandomi con un brivido di rifiuto le volte che assieme all’amico Andrea Emiliani [Qui] fummo giudici di un Palio a Siena e ad Assisi, o anche di quello ferrarese ripropongo, sicuramente attirandomi la furia dei contradaioli, che va bene il ‘Paglio’, ma senza queste corse degli animali.

Li si facciano sfilare nella loro bellezza e si applauda a cortei, corse di putti e putte, si introducano canti e danze, ma attenzione a non sfruttare le doti indotte di questi animali.

Questa manifestazione, il Palio, come altre italiane, risale a origini relativamente recenti, che ripropongono il revival dell’antico in gran voga all’inizio del secolo scorso.

Sicuramente il Palio s’innesta nella grande categoria culturale dei ‘falsi’ d’epoca, che vanno dal rinnovamento delle città in stile neorinascimentale o neogotico, nel costume, perfino nel cibo che trova nelle bibbie culinarie del Rinascimento la perfezione.

Allora si sfili solennemente addobbati con improbabili e sontuosi mantelli d’epoca, si danzi, si ricrei un mondo e un tempo, ma gli animali non siano costretti a correre in quel modo. Bum! Così mi mangerò il credito dei miei 25 lettori.

D’altronde il tempo passa e la Ferrara del Palio si adorna di nuove luci e nuovi colori. Mi si racconta – ancora non l’ho vista – della nuova illuminazione del Castello, ottenuta attraverso l’uso di una sofisticata tecnica.

Ovviamente la Ferrara dei social si spacca in pro e in contro e autorevolissime voci si alzano per indignarsi o lodare. Ecco allora che nel film della vita salgono alla memoria ovviamente proustiana, naturalmente involontaria, i momenti scanditi dall’illuminazione del Castello, dal tempo in cui si era appena conclusa la Seconda guerra mondiale e dal buio ad incerte luci si intravvedevano le torri e il rosso del cotto.

Poi i violenti bagliori degli incendi, da me sempre deprecati nella stagione ‘napoletana’ dei botti e dei filamenti di lucei nel livido cielo padano, infine ora, le tecniche gelide del cambio di luce, mentre la costruzione rimane lì, indifferente e bellissima ai trucchi e alle mode.

Non mi si creda un laudator temporis acti e mi scuso di tradurre ‘un lodatore del tempo passato’, ma l’ossessione dei luoghi diventa per deformazione personale quella del tempo. Altre volte rievocando una mia mitologia personale ricordavo quanto alcuni luoghi evocano, termine non più in uso, stati d’animo e anche azioni: perfino l’amore o l’ostilità.

Città o luoghi appena visti o contemplati si rifanno all’unica vera realtà: quella dell’immaginazione e dell’arte.

Per leggere tutti gli altri interventi di Gianni Venturi nella sua rubrica Diario in pubblico clicca  [Qui]

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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