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L’appuntamento è al caffè Tiffany, nella sala superiore appese ai muri le foto in bianco e nero dei più grandi musicisti della storia, direi che è il posto giusto per ciò che mi aspetta. Incontro Sara per saperne qualcosa di più sul progetto Dagger Moth, un disco autoprodotto che dalla sua Ferrara la porta in giro per l’Italia a suonare in solitaria: chitarra, voce, e una serie di pedali, loop station, che fanno il resto sotto la sua sempre attenta regia.

Vorrei sapere da dove deriva la sua forza, la sua musica, qual è la sua storia, e le sue parole schiette producono questa prima immagine: una bambina disegna sul tavolo della cucina, ritrae delle bambole, oppure un gatto, o ancora la propria mamma. Dalla finestra filtra la luce gialla dell’estate inoltrata. Fra un po’ è il suo compleanno. E’ una bambina magra, timida e un po’ solitaria, che col tempo ha imparato a riempire i suoi pomeriggi con l’immaginazione. Non ci sono fratelli e non ci sono molti coetanei nel suo quartiere, per cui la piccola inventa, apprende come fare da sé.

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Sara Ardizzoni da bambina, foto di Giorgio Ardizzoni

Accanto alla presenza scenica, a una produzione musicale originale e inconsueta per il panorama italiano, trovo un fare semplice, disponibile, il bell’accento della sua terra, e tanta autoironia.
La seconda immagine porta ancora nel passato: è quella di una liceale ancora introversa, che grazie alla passione paterna cresce con il blues di B.B. King, Roy Buchanan, Steve Ray Vaughan, col jazz di Django Rienhardt, le note di Coltrane, e gli immancabili Pink Floyd. Cresce e osserva quella chitarra elettrica nel salotto, finché un giorno per caso la imbraccia, e non la molla più. Quindi la scuola di musica moderna dove incontra i primi amici veri, insieme alla passione.

Ma se l’immagine è ancora quella di una ragazza, il quadro non è del tutto completo. Manca il lato perfezionista e meticoloso di questa liceale, l’impegno scolastico che la porterà dritta alla laurea in Architettura. Non sembra una che lasci qualcosa di incompiuto, anche se sorridendo confessa che, da quando lavora e suona, i libri li lascia sempre a metà, la stanchezza finisce per sfinire pure la curiosità. Nel frattempo il tempo passa e lei ha seguito la scena grunge nata a Seattle negli anni ’90, si è nutrita di punk e hardcore, ha scoperto la diabolica chitarra di Marc Ribot, ascolta i Portishead e P. J. Harvey, si innamora dei Fugazi: una delle band culto della scena alternativa americana.

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Foto di Davide Pedriali

Poi c’è questo pomeriggio e la terza immagine: una donna magra che porta lunghi capelli neri e un lieve filo di trucco. Ha una certa dose di sensualità, ma la indossa quasi involontariamente. E’ appena uscita dall’ufficio dove si guadagna da vivere: l’architettura le ha fornito un lavoro e rappresenta il dovere, la musica uno scopo, e incarna la vita.
Mentre conferma di non aver mai vinto la ritrosia, di portarsi appresso l’antica timidezza, e farsi continua violenza per salire su un palcoscenico davanti al pubblico, Sara sembra essere una donna forte. Conosce i suoi difetti, le paure, e non si sottrae alla sfida continua per superarle. Lo fa col sorriso. Per questo ci vuole coraggio.“Qualcosa di estremamente doloroso mi ha insegnato che non c’è un attimo da perdere, e da allora ho iniziato a correre. Ho deciso che non mi sarei più fermata, non avrei rimandato ciò che desideravo fare, e i miei mi hanno trasmesso che la vita coincide col fare, non con l’attendere”.

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Foto di Emanuela de Toffani con Giorgio Canali

Molte persone credono nella musica di Sara, e il progetto Dagger Moth nel suo piccolo ha realizzato aspirazioni e abbattuto muri. Caparbia, non ha avuto più voglia di aspettare che arrivassero risposte o conferme, e direi che col proprio talento si è appropriata di ciò che le spetta.
Mi descrive ancora incredula quella volta che si ritrovò nella mail la richiesta di una collaborazione da parte di quel Joe Lally che suonava il basso proprio con i suoi amati Fugazi. Oppure l’album prodotto con l’aiuto della Psicolabel di Giorgio Canali, ex CSI e PGR, che ha cantato in Mind the gap insieme a lei.

Questa è Sara Ardizzoni ai miei occhi, anche se per capire il ritratto e dare essenza alle parole occorre ascoltare Dagger Moth, la sua cullante psichedelia, le parole dal ritmo lirico, e il canto mai urlato, accompagnato da un tappeto di arpeggi intensi, in cui a volte irrompe il suono cattivo e saturo della sua chitarra elettrica. Ascolto Ghost, un’onda che ripetutamente si espande e si ritrae, il cui testo ha un sapore poetico ed essenziale che cerco di tradurre: “Non posso cancellare/ una luce così forte/ Non un movimento/ Non un’ombra/ Ho migliaia di parole da pronunciare/ che ho fatto sprofondare”. O ancora Out of shot, scritto a quattro mani con Lally, in cui dichiara che nella vita non si accontenterà di imbrigliare i sogni di qualcun altro, e so che andrà come scrive. “All that I’ve ever learnt/ all that I’ve ever seen/ is not enough for me/ tame your dreams”. Crushed velvet tra le altre cose è rivendicazione delle proprie scelte, il diritto di scegliersi la propria strada e il modo di amare, inevitabilmente costellato di errori “So I don’t want a ruler to gauge a wrong side of life/ (…) to gauge a wrong side of love”.

E’ un modo di stare al mondo, quello di Dagger Moth. C’è grazia in Sara Ardizzoni e nel suo viaggio. E’ ciò che cerco in questo innocuo e forse inutile vagare verso gli altri! Non mi interessa altro che il moto di chi mi sta davanti e cosa lo genera. E’ un modo come un altro per sentire tra le mani un flusso che scorre inesorabile.E allora imbraccia la tua chitarra e metti più aria che puoi nei polmoni, così da riuscire ad andare lontano come desideri. Non fermarti Sara… continua a correre!

Dagger Moth (Sara Ardizzoni)
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La sua musica

Il blog di Sandro Abruzzese

La foto in evidenza è di Luca Cameli

 

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Sandro Abruzzese

Nato in Irpinia, vive a Ferrara dove insegna materie letterarie in un istituto d’istruzione superiore. Per Manifestolibri ha pubblicato Mezzogiorno padano (2015). Con Rubettino ha pubblicato CasaperCasa (2018) e Niente da vedere (2022). Sul suo blog, raccontiviandanti, si occupa di viaggio e sradicamento

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it