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Devo ammettere che quest’estate sta davvero picchiando duro sul mio sempre più disarmato cervellino.
Da qualche mese avevo deciso che non avrei più voluto sapere niente a proposito di tutto ciò che diventa virale o – come diceva mia nonna – di moda.
Però in queste ultime settimane mi sono sentito travolto da un’onda di robe virali, un’onda pesa, troppo pesa per uno che non sa nuotare.
Nell’ordine ho:
– scoperto chi è ‘sto Gué Pequeno
– scoperto altri rapper tipo tal Young Signorino
– scoperto che un tipo che doveva venire a suonare a un festival che più o meno organizzavo anch’io adesso si è tuffato pure lui in queste cose più o meno ironiche.
Non arriverò a dire che stavo meglio senza sapere ‘ste robe.
Però devo dire che un po’ mi girano i maroni perché mi sembrano nozioni inutili che una qualche forza sconosciuta mi ha ficcato in testa togliendo spazio ad altre cose che – in questa marea di informazioni – rischiavo anche di dimenticare.
Tipo boh, Mark Twain che scanchera contro Jane Austen.
Oppure boh, il cambio di gestione del mio bar preferito.
Insomma, io avevo fatto una scelta ben precisa.
Avevo deciso di dedicarmi a cose da vecchi tipo organizzare tante belle partite di Machiavelli che non finisco mai, ascoltare cofanetti di Springsteen, vedere quanto resistevo ascoltando in loop la prima sinfonia di Mahler, cucinare per dei giorni interi, vedere quante volte riuscivo a vedere “Quarto Potere” in una settimana, dedicarmi un po’ di più alla chitarra, leggere Mark Twain, scrivere un romanzo rosa a 6 mani e vedere se magari verrà pubblicato, imparare ad andare in bicicletta senza rotelline, imparare tutto il possibile su “Little Boy” e “Fat Man”, scoprire chi era davvero Scaramacai, riguardare Stanlio & Ollio su YouTube, riguardare Tom & Jerry su YouTube.
Avevo proprio deciso, gradualmente, di rifiutare la contemporaneità.
Ma – ATTENZIONE! – mica per snobismo.
È proprio un limite mio.
Non mi interessa sapere quale nuovo sottogenere impazza nel mondo della gente che parla sopra alle basi, non mi interessa quest’ironia e/o semi/pseudo-ironia che attualmente è dappertutto, peggio della rucola nel 1988.
Approfitto quindi di questa sede per porgere i miei più vivi complimenti a chi ci riesce.
Però non mi diverto.
Mi piace ridere ma ho delle esigenze tutte mie.
Preferisco davvero riguardare Tom & Jerry o vecchi spot con Jean Alesi che parla di uno shampoo.
Mi diverto di più così, mentre mangio la mia pasta a pranzo me ne sto lì e ascolto per una mezz’oretta Jean Alesi che parla di questo shampoo straordinario.
Poi dopo magari stacco e suono un po’ il basso oppure bevo un caffè.
Magari poi, qualche ora dopo, mentre preparo la cena, mi fumo una paglia e – mentre tengo d’occhio boh, le melanzane in padella – ne approfitto per informarmi su altre cose inutili ma che ultimamente mi incuriosiscono molto tipo boh, scoprire chi era davvero Ridolini o scoprire che l’ormai proverbiale appellativo Cretinetti viene da un noto personaggio delle comiche di inizio ‘900.
Insomma, non smetto mai di stupirmi, tengo il cervello ben allenato.
Magari è per quello che forse non me ne frega niente di ‘sti rapper, chi lo sa.
Però, già che c’ero, quando ho scoperto di questo Gué Pequeno e degli altri lì ne ho approfittato per cercare di capire se esisteva un qualche rapper che come nome d’arte ha scelto “R4pper/onzo£o”.
E niente, a quanto pare “R4pper/onzo£o” non esiste ancora.
Ma in cuor mio sono sicuro che arriverà.
E quando arriverà io – se sarò ancora al mondo – sarò prontissimo, con in tasca una delle mie copie del “Giovane Holden” così, per sicurezza.
Porgo ora a tutti i miei più cordiali saluti suggerendo l’ascolto di un pezzo a mio parere sempre bellissimo, un pregevole – e lodevole – inno alla libertà di parola a mio avviso mai così attuale.

Free Speech For The Dumb (Discharge, 1982)

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Radio Strike


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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