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Di fronte ai terribili recenti saccheggi e distruzioni delle antichità conservate nel Museo di Mosul (statue, fregi e altri oggetti d’arte pre-islamici qui esposti, ma in parte, per fortuna, copie in gesso), una buona notizia: il 28 Febbraio il Museo nazionale di Baghdad ha riaperto i battenti. A fondare quello che è considerato uno dei più importanti musei del mondo fu, nel 1923, re Feisal I, in una sede provvisoria nell’antico serraglio. Tre anni dopo Gertrude Bell, direttore onorario delle antichità, ottenne il trasferimento del primo nucleo della collezione in una sede più ampia, in Ma’mun Street, ma col tempo l’edificio si rivelò angusto e, nel 1957, iniziò la costruzione dell’Iraq Museum, inaugurato dieci anni dopo, nel 1967.

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Ali Al-Saadi/AFP/Getty Images

Nella collezione vengono documentate, in ordine cronologico, tutte le epoche della Mesopotamia, dalla preistoria alla dominazione islamica. Ben 12 anni di lavori, restauri, difficoltà e traversie burocratiche e economiche (fra le quali anche una riapertura parziale e provvisoria grazie a contributi dello Stato italiano, nel 2009), le preziose testimonianze della storia mesopotamica, a cominciare dai monumentali tori alati, sono oggi ancora visibili. All’epoca di Saddam Hussein, qualcuno l’aveva battezzato come il “negozio” del dittatore, perché inaccessibile ai cittadini comuni, elitario. Chiuso allo scoppio della seconda guerra del Golfo (2003), con l’arrivo delle truppe americane, nel pieno caos furono i saccheggiatori e i ricettatori di tutto il mondo ad avere la meglio. Si stimavano in circa 15.000 i reperti trafugati, un terzo dei quali è, però, stato recuperato durante questi anni di chiusura, grazie anche a collaborazioni internazionali. Il premier iracheno in persona, Haider al-Abadi, è intervenuto all’inaugurazione del 28 febbraio, quella di una collezione che copre almeno 7.000 anni di storia, nei quali la Mesopotamia viene considerata “la culla” della civiltà.

riapertura-museo-baghdadDopo il tradizionale taglio del nastro rosso, il premier iracheno ha dichiarato: “Oggi il messaggio che arriva da Baghdad, dalla terra di Mesopotamia, è chiaro: tuteleremo la civiltà e daremo la caccia a quanti vogliono distruggerla’. Il museo ha riaperto al pubblico il 1° marzo, il biglietto costerà 1.500 dinari iracheni (poco più di un dollaro), 10 dollari per i visitatori arabi e 20 dollari per gli altri stranieri. Al momento della riapertura, ha scritto la Reuters, il museo era “pieno di visitatori che volevano vedere un passato che appartiene a momenti migliori”. Ma cosa si può vedere nel museo? Reperti di una fase del periodo ellenistico (dal 312 al 139 a.C.), tra cui una statua di Eracle con in mano una clava e una pelle di leone, ritrovata a Hatra, un sito Unesco oggi nelle mani dell’Isis. Un altro manufatto di un certo interesse è una statua di Re Sanatruq I, che regnò sempre a Hatra dal 140 al 180 d.C. La simbologia è quella regale, con un’aquila sul capo ad ali aperte. Si può vedere ancora poco, si dice, e i timori per la riapertura restano. Ma la miglior risposta agli attacchi alla cultura resta la cultura stessa.

Sono stati molti i progetti di cooperazione italiana mirati al recupero e al restauro dei numerosissimi reperti archeologici dispersi dopo le guerre. Il Ministero italiano degli affari esteri ha in larga misura contribuito alla riapertura del Museo nazionale di Baghdad, ma ha anche dato vita al museo virtuale, nelle cui numerose sale sono stati anche ricostruiti “pezzi” imperdibili della ricca civiltà mesopotamica [vedi].

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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