BORDO PAGINA
Nappi: “Migliaia di giovani menti per riscattare Ferrara periferia dell’impero”
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Questa settimana vi proponiamo una conversazione a tutto tondo con il professor Pasquale Nappi, docente alla Facoltà di Giurisprudenza di Unife di cui è stato anche il Preside. Rettore dell’Università di Ferrara dal 2010, ha appena passato il testimone al professor Giorgio Zauli.
Professor Nappi, domanda d’obbligo, ma liberissima: Unife come Rettore, un’esperienza oggettivamente molto brillante, uno zoom retrospettivo?
“L’esperienza compiuta come Rettore è stata molto stimolante e arricchente. Uno sguardo retrospettivo consente di evidenziare che è stata affrontata in una fase non fisiologica per la nostra società: riforme molto complesse da portare ad attuazione, consistenti tagli ai finanziamenti, il sisma del 2012 e i tanti danni subiti.
Nonostante le diverse dichiarazioni udite negli ultimi tempi, la nostra Nazione, tanto sul lato di chi ci governa quanto su quello dell’opinione pubblica, stenta ancora a porre in esponente l’enorme potenziale offerto dal sistema universitario più antico del mondo. Un sistema che meriterebbe di essere valorizzato e che, per poter esprimere pienamente le proprie capacità, avrebbe bisogno di maggiori certezze, costanza di finanziamenti e, soprattutto, dovrebbe potersi aprire alle giovani intelligenze e alla loro forza innovatrice. Purtroppo, invece, il confronto internazionale ci consegna dati molto preoccupanti sulla capacità della nostra Nazione di offrire ai giovani prospettive nel mondo della ricerca e della formazione.
Tuttavia, grazie all’impegno di tanti in questi anni, l’Università di Ferrara ha tenuto e si è sviluppata, si è riformata e continua a produrre. Soprattutto si è aperta ancor di più al confronto con l’esterno, con la volontà di mettersi a disposizione della collettività, finalità che reputo essenziale per una istituzione pubblica.
Più nello specifico, nonostante la crisi epocale, quali i temi secondo lei destinati almeno a un potenziale grande futuro per Ferrara, città d’arte ma anche di scienza?
In alcune città, e credo che Ferrara possieda le caratteristiche per essere tra queste, le comunità di riferimento mostrano di percepire le Università sempre più come un fondamentale punto di riferimento per la ripresa economica, per il trasferimento e la condivisione delle conoscenze, per la crescita della coscienza civile del Paese.
In questa prospettiva, ritengo che Ferrara, città d’arte per eccellenza, sia già una città di scienza, ma che non vi sia ancora una consapevolezza diffusa di questo aspetto e che ciò contribuisca a non consentirne la dovuta valorizzazione. Se con il termine scienza si riferisce alle scienze esatte o ‘dure’, occorre segnalare che nel corso degli ultimi anni la già poderosa attività di ricerca svolta nell’Università si è arricchita di una importante componente applicativa: nell’ambito della rete dell’alta tecnologia dell’Emilia Romagna, a Ferrara è nato un Tecnopolo strutturato in quattro laboratori dove operano complessivamente circa 100 ricercatori che svolgono ricerca applicata, dando risposte e soluzioni a problemi posti dal mondo produttivo nei più diversi settori. E’ stato anche costituito un tavolo permanente di lavoro tra Unife e Unindustria. Sono 14 le società spin-off nate su iniziativa dell’Università e abbiamo uno dei più alti indici di attività brevettuale. Tutto questo si aggiunge alle tante iniziative che i diversi gruppi di ricerca svolgono in piena autonomia per realizzare una sempre più intensa attività di trasferimento tecnologico. Una menzione specifica merita poi l’attività di ricerca traslazionale in ambito medico: la presenza dell’Università all’interno delle strutture che svolgono attività assistenziale consente di riversare nelle cure dei pazienti i risultati di importanti e validate attività di ricerca.
Certo, considerando la caratura prevalentemente agricola del territorio, la gran parte delle attività di ricerca applicata trova maggiore sbocco in collaborazioni con altre province e altre regioni e, spesso, anche con nazioni straniere.
Se, invece, vogliamo considerare il termine scienza nella sua concezione più ampia, e perciò corretta, non è possibile non menzionare tutte quelle discipline che, pur non prestandosi a un trasferimento tecnologico, determinano però un trasferimento socio-culturale: le scienze giuridiche, quelle economico-aziendali, quelle filosofico-letterarie. Sono innumerevoli le iniziative scientifiche proposte dai ricercatori di tali discipline che si svolgono quotidianamente a Ferrara, sempre aperte al pubblico, spesso con la finalità di contribuire alla diffusione del sapere e della conoscenza, indispensabili a una partecipazione attiva e consapevole alla vita sociale.
Parafrasando Eco, paradossalmente, nelle periferie dell’impero è possibile fiutare il futuro con dinamiche atipiche e quasi artistiche?
Per sua natura il mondo della ricerca, pur utilizzando una metodologia rigorosa, deve necessariamente aprirsi alle atipicità, perché il prodotto della ricerca in quanto tale è inconoscibile a priori. Se a ciò aggiungiamo l’enorme risorsa rappresentata dalla presenza di migliaia di giovani menti, credo che ci siano tutti i presupposti affinché a Ferrara – periferia dell’impero – nascano dinamiche atipiche. Già adesso, avendo la possibilità di ascoltare le idee dei nostri giovani ricercatori (anche laureandi o dottorandi), è come aprire una finestra sul futuro, assistere alla nascita di proposte intelligenti e innovative. Anche il solo fatto di potersi confrontare con i nativi digitali, mostra a chi come me è un ‘immigrato digitale’ quanto di ‘atipico’ possa essere reso disponibile se solo si forniscono le opportunità di espressione. Se poi la dinamica atipica possiede anche una connotazione artistica, credo dipenda dalla esperienza specifica.
Quale che sia la dinamica che si prospetta, ritengo che un elemento di grande rilievo debba essere comunque costituito dalla capacità di tale dinamica di operare anche in realtà diverse da quella esclusivamente interna. Quella dell’internazionalizzazione è ormai un’ottica imprescindibile, un prisma attraverso il quale è spesso possibile individuare e proporre prospettive innovative e condivise.
La conoscenza e la scienza come priorità anche produttiva possibile, le istituzioni attuali in generale hanno la giusta sensibilità?
Credo che una delle azioni di maggiore prospettiva compiuta in questi anni sia stata la nascita dell’idea di Ferrara come città universitaria. Solo in anni recenti, con il crescere nelle società postindustriali del ruolo determinante della cultura, della scienza, della ricerca e dell’informazione, il rapporto dell’università con il contesto locale e con i territori ha cominciato a modificarsi. Questo perché è finalmente maturata la percezione che la città universitaria non può essere ridotta alla mera sommatoria di realtà più o meno dialoganti: la percezione che essa sia una nuova realtà in continua evoluzione, definita attraverso l’interazione tra comunità accademica e comunità cittadina, a partire dallo sviluppo di buone pratiche concernenti la soluzione di problemi e la valorizzazione di potenzialità. A Ferrara questi valori sono stati implementati attraverso la costituzione di Unitown, fondata da Comune e Università di Ferrara e che ormai vanta oltre trenta associati tra città e università italiane e straniere, con lo scopo di promuovere lo sviluppo e la circolazione di buone pratiche nel rapporto tra università e attori politici, sociali ed economici delle città, al fine di contribuire allo sviluppo sostenibile dei tessuti urbani e all’inclusione sociale.
La costruzione di una rete, quindi, è iniziata, ma si trova ancora in una delicata fase di consolidamento. Il processo di elevazione a sistema dei rapporti tra una pluralità di soggetti è complesso e richiede una forte volontà istituzionale. Volontà che nasce dalla convinzione, dalla consapevolezza di tutti i soggetti coinvolti circa l’indispensabilità di attività sinergiche.
Ferrara ha lanciato un manifesto per la città della conoscenza. Morte le ideologie, questi gli orizzonti propulsivi ormai ovunque urgenti?
Condivido i contenuti del Manifesto per la Città della conoscenza e ho ritenuto di dare la mia adesione. Anche alla luce di quanto ho affermato in precedenza, credo che Ferrara debba far parte della rete mondiale delle città che apprendono, città che producono e scambiano conoscenze, luoghi dove l’apprendimento è al servizio di tutta la comunità. In tale dinamica il ruolo dell’Università può essere rilevante e negli anni del mio rettorato ho cercato gli strumenti per promuovere un radicamento sempre più forte tra comunità universitaria e comunità cittadina. Oltre alla già menzionata nascita di Unitown, un momento di particolare rilevanza è stato Unifestival, che tra il 25 e il 27 settembre ha fatto registrare oltre 15.000 presenze negli stand collocati in Piazza Trento e Trieste e in alcune aule universitarie. Ideato con l’intenzione di celebrare i 625 anni di vita dell’Università di Ferrara, Unifestival ha compreso un ricchissimo cartellone di dibattiti, convegni, conferenze, esperimenti, incontri con l’autore, workshop, sondaggi, proiezioni, dimostrazioni, descrizione di esperienze, spettacoli, percorsi culturali e attività sportive. Un vero e proprio festival universitario, aperto alla città per coinvolgere un largo pubblico, costituito non solo da universitari e da addetti ai lavori, ma da cittadine e cittadini, famiglie, giovani, in ottica multidisciplinare e multiculturale. Un’iniziativa promossa esclusivamente da Unife con propri fondi e resa possibile dalla disponibilità del Comune, anche perché le decine di richieste di sponsorizzazione inviate ai più diversi soggetti non hanno trovato alcuna risposta. Quest’ultimo aspetto, costante durante tutta la durata del mio mandato, mi induce ad auspicare per il futuro una maggiore interazione anche su versanti più concreti.
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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it