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Le storie di Costanza. Un capello spaccato in due.

Sei riesci a spaccare un capello in due, ne elimini uno e tieni in mano il secondo, avrai l’impressione di avere in mano il capello originario, semplicemente un po’ più piccolo, più esile. Le cose piccole divise sembrano solo un po’ più piccole mentre le cose grandi divise sembrano decisamente meno grandi.

Provate a dividere a metà una casa, una strada, un fiume, la Terra. Mentre il mondo rimpicciolisce se diviso a metà, dentro i microbi le differenze di lunghezza, altezza, consistenza e spessore prendono una forma e una rilevanza assolutamente diverse.

Una distinzione sancita almeno in parte dal modo in cui lavorano la fisica, la chimica, l’ottica, la medicina e, in altra parte, da quello che noi riusciamo a percepire attraverso l’uso dei sensi. La definizione umana di ciò che è grande e di ciò che è piccolo mi ha sempre incuriosito, è molto relativa, molto soggetta a interpretazione.

Il sole è molto grande rispetto alla terra, molto piccolo rispetto all’intero sistema solare. Trescia è molto grande rispetto a Pontalba e molto piccola rispetto a New York. La mia casa è molto grande rispetto a una roulotte e molto piccola rispetto a un grattacielo. La mia mano è molto piccola rispetto a quella di un giocatore di basket, molto grande rispetto a quella di mio nipote Enrico.

Non c’è niente di più relativo dell’uso che si fa in maniera abituale dei termini grande e piccolo. Grande è un elefante e piccola la formica, grande la giraffa e piccola la talpa. Grande l’anguria e piccola la ciliegia, grande l’ananas e piccola l’albicocca. Ma anche un’ape è grande rispetto a un moscerino e un colibrì è grande rispetto a una farfalla.

Se poi si passa dalla materia ai sentimenti la cosa si complica ulteriormente. Un grande amore è quello di una donna per un uomo, di una madre o di un padre per il proprio figlio. L’amore piccolo sembra non esistere, così come sembra non esistere l’odio piccolo. L’amore e l’odio sono solo grandi.

Però ripensandoci, anche questo ha delle eccezioni. Un piccolo amore può essere quello per il proprio gatto o per il proprio canarino e un piccolo odio può essere quello per il vicino di casa, che canta sempre la stessa canzone nel suo cortile il sabato mattina. I piccoli amori possono però essere considerati da alcune persone grandi e altrettanto vale per i piccoli odi. Sono aggettivi che anche in una sfera dematerializzata, mantengono una dimensione relativa e suggestiva.

È così anche pensando a ciò che dicono le persone a me più prossime. Per Albertino Canali la mia macchina è piccola, per mia madre è grande. Per gli abitanti di Pontalba il mio cortile è grande e per i miei cugini agricoltori, che avevano davanti alla loro cascina una intera aia, piccolo.

Direi che i termini grande e piccolo sono una forte espressione del relativismo nel quale galleggiamo quotidianamente, del fatto che ogni oggetto è definito in maniera relativa rispetto a ciò con cui lo si paragona. Grande e piccolo non sono termini che rappresentano un valore assoluto, ma si confrontano ogni giorno con gli oggetti che ci circondano e con la rappresentazione che attraverso il nostro sistema visivo-cognitivo facciamo.

Mi stupisce sempre quanto una cosa piccola possa fare la differenza, esattamente quanto lo può fare una grande. Uno spillo infilzato in un tallone fa molto male, una zanzara in una tenda da campeggio affollata da persone che vorrebbero dormire, scatena il finimondo. Piccoli e terribili lo spillo e la zanzara, piccolissimi e letali i virus che sanno ammazzare una persona.

Un giorno avevo questi pensieri ricorrenti sul relativismo di alcuni aggettivi molto usati mentre camminavo sullo sterrato dei castagni che costeggia i cancelli di Villa Cenaroli. Nei pressi del primo cancello ho alzato gli occhi verso il curvone che si avvicina all’argine e ho visto Guido camminare in senso contrario preceduto da Reblanco, il suo cane bianco come la neve.  Quando sono arrivata abbastanza vicino, li ho salutati e poi ho chiesto a Guido:

Ma secondo te, Reblanco è grande o piccolo?
– Uff che domanda – mi ha risposto lui
Che differenza fa se è grande o piccolo? sei sempre la solita che cerca di complicarsi la vita
Perché non provi a rispondermi? – gli ho detto io.

Perché non so cosa risponderti. Rispetto ad un topo Reblanco è grande e rispetto ad un elefante è piccolo. Ma che differenza fa che Reblanco sia grande o piccolo? Per me è “grande” quando dorme tranquillo sotto la mia scrivania, quando si accuccia sui miei piedi e, soprattutto, quando non abbaia perché mi vede stanco. Queste sue abilità empatiche lo rendono “grandissimo”.

Hai appena definito la grandezza in senso negativo … quando non abbaia … sei un po’ contorto.
Senta lei, mi stai facendo il terzo grado con questa storia del grande e del piccolo, non capisco nemmeno a che pro. A cosa ti serve? Ad essere più felice?

No – gli ho risposto – Mi serve a comunicare, a usare la parola per stabilire una relazione. I buoni rapporti tra le persone si nutrono del linguaggio, attraverso la parola detta e ascoltata ci proteggiamo dall’odio che invece si nutre di solitudine. Le relazioni senza parole non sono buone, non sono nemmeno relazioni. Nel silenzio si annidano paura e rancore. Gli eccessi di relativismo alimentati spesso dalla solitudine, minano la capacità delle persone di usare la parola, inibiscono la disponibilità all’uso del linguaggio per costruire relazioni. In questo senso gli eccessi di relativismo non mi piacciono, rischiano di annientare l’uso della parola, la sua capacità di diventare la strada dell’amore.

Uff, questo tuo argomentare mi sembra un po’ troppo cervellotico, però un fondo di verità c’è, come in molte delle cose che dici.
– Grazie – gli ho risposto e con quello abbiamo chiuso l’argomento, almeno per quel giorno.

Poi ci siamo messi a camminare nella stessa direzione, risalendo verso il cimitero, Reblanco ci precedeva, annusando il terreno umido e scivoloso, forse era appena passato da là qualche animale selvatico. Ho guardato Guido vestito con i jeans e un giubbotto marrone scuro, le scarpe da trekking e un berretto di lana blu sulla testa.

Non si sarebbe detto in quel momento che è un professore di storia, un intellettuale a cui piace leggere e studiare quasi tutto il giorno. Sembrava perso nella natura che ci circondava, mescolato con essa. Come quei quadri di campagna inglesi pieni di vecchie case, vegetazione e qualche personaggio sullo sfondo che cammina verso casa.

Torniamo indietro – mi ha detto Guido all’improvviso – torniamo verso casa mia.

Ci siamo girati, Reblanco si è fermato e ci ha guardato come se per un attimo fosse indeciso se seguirci o meno, la traccia odorosa che stava seguendo doveva essere accattivante per le sue narici. Poi ha deciso, si è girato e ha cominciato a venire dalla nostra parte con passo deciso. Il momento di incertezza gli è passato.

Sempre bellissimo quel cane, un amico per Guido che lavora nel silenzio, avvolto dalle sue carte e dai suoi pensieri (grandi? piccoli?). Abbiamo camminato guardando nella stessa direzione, la strada la conosciamo molto bene, la direzione anche.

Siamo arrivati davanti a casa di Guido nella via piccola che parte dalla foresteria di Villa Cenaroli. Il portone di casa sua è di legno pesante, la parte sopra tondeggiante. Bello e vecchio, sa di storia anche lui.

Come ti sembra questo portone? – mi ha chiesto Guido
Bello – gli ho risposto
Grande o piccolo? – mi ha chiesto lui
Non lo so, dipende – gli ho detto – rispetto a quello di casa mia è piccolo, rispetto a quello della foresteria della villa è grande.

E che differenza fa?
– La fa – gli ho risposto io.
Un elefante da qui non passa mentre dal portone della villa potrebbe entrare – ho detto.

Inaspettatamente Guido si è messo a ridere.

Ecco il perché di tutto questo disquisire sul grande e il piccolo, vorresti che a casa tua entrasse un elefante!
Macché – gli ho risposto io – è tutt’altro.
Entriamo – ha detto lui
Ok – gli ho risposto.

Ci stavano aspettando vicende storiche di varia natura, ammucchiate sulla scrivania di Guido. In quella casa c’è un’atmosfere curiosa. Il grande e il piccolo mi sono passati temporaneamente dalla testa, l’idea che attraverso le parole si mantengono buone relazioni, no. Non ci sono rapporti tra le persone che non si nutrano del linguaggio.

Costanza e il suo mondo sono solo apparentemente diversi e distanti dal mondo che usiamo definire “reale”, e quasi sovrapponibili ad ogni mondo interiore.
Chi fosse interessata/o a visitare gli articoli-racconti di
 Costanza Del Re, può farlo cliccando [Qui]

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Costanza Del Re

E’ una scrittrice lombarda che racconta della vita della sua famiglia e della gente del suo paese, facendo viaggi avanti e indietro nel tempo. Con la Costanza piccola e lei stessa novantenne, si vive la storia di un’epoca con le sue infinite contraddizioni, i suoi drammi ma anche con le sue gioie e straordinarie scoperte.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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