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Sole rosso sangue sull’altipiano (seconda parte)
Un racconto di Carlo Tassi

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Dieci minuti buoni è il tempo che Manio e sua sorella Naki ci mettono per raggiungere il villaggio. Manio posa a terra le due taniche e prende per mano la sorellina: il villaggio non esiste più.
Si guardano attorno senza capire. Il cielo è di un nero assoluto e contrasta col bagliore rosso e giallo delle fiamme che si dissolvono nell’oscurità sopra di loro superando in altezza le palme stesse, le uniche cose rimaste intatte.
Tutto il resto è distrutto o sta bruciando.
Le capanne, tutte le capanne, sono state buttate giù e incendiate. Ora ci sono mucchi di cenere, fumo ed enormi falò che rendono l’aria tutt’intorno ardente e irrespirabile.
Manio e la sorellina non parlano, sembrano incantati dal fuoco. Poi vedono passare una capra col vello mezzo bruciacchiato, è malconcia ma viva e sta belando, la guardano allontanarsi dal villaggio e scomparire nel buio.
Manio si riprende dallo stupore quando sente Naki chiamare il nonno. E’ troppo piccola per capire cosa sia realmente successo e tutto quel fuoco le fa paura. La bimba chiama il nonno e la nonna e comincia a singhiozzare. Manio le dice di non piangere e cerca di farle coraggio, ma anche lui ha paura.

In quelle terre, a dieci anni un bambino può già fare tutto quello che fa un adulto. Può lavorare e condurre le pecore. Manio sa che altrove i suoi coetanei imparano a usare le armi e vanno a combattere. Anche Naki tra una manciata d’anni sarà promessa sposa, è sicuro.
La verità è che sono bambini, e fino a quel giorno i nonni li avevano lasciati tali. Liberi di giocare e fare i bambini. Fino a quel giorno.
Manio dice a Naki di non muoversi mentre lui va a cercare i nonni. Naki ubbidisce e resta sul posto ad aspettarlo, è troppo spaventata per allontanarsi da sola.
Manio cammina tra le macerie incenerite delle capanne. E’ difficile orientarsi, niente è più come si ricordava. Poi vede i primi corpi.
Sembrano mozziconi fumanti ma sono persone. Sono stati uccisi a colpi di kalashnikov e bruciati. Alcuni sono stati arsi ancora vivi, altri sono stati finiti coi macete.
Nessuno s’è salvato. Erano vecchi, donne e bambini. I villaggi sono abitati solo da loro ormai.
Gli uomini giovani sono andati lontano, chi a combattere e chi a cercar lavoro o fortuna.

Sono stati i diavoli a cavallo, Manio lo sa perché una volta suo nonno gliene ha parlato. Sono assassini pagati per uccidere, gente feroce che non risparmia nessuno. Come quel giorno.
Manio si blocca, si sente soffocare. Il fumo e le lacrime gl’impediscono di vedere bene ma le due sagome indistinte che giacciono a terra davanti a lui sono Coffie e Keya, i suoi nonni. Anche loro, come tutti gli altri, sono stati bruciati.
Il bambino, guardando quello strazio, capisce cos’è successo: la nonna è stata torturata e squartata probabilmente sotto gli occhi di Coffie, poi entrambi sono stati finiti dai mitra.
Manio sa che sono loro perché ha riconosciuto il volto della nonna, l’unica cosa che il fuoco non è riuscito a consumare.
Manio aveva già visto un morto durante il funerale di un parente, ma non aveva mai visto un morto ammazzato. Il bambino cade in ginocchio e vomita. Si sente bruciare dentro e gli sembra che il cuore si sia fermato.
Trema, fatica a respirare, poi si rimette in piedi e si ricorda di sua sorella. Corre da lei.
Naki è sempre lì, di solito non lo ascolta e gli fa i dispetti, tanto c’è il nonno a proteggerla, ma stavolta ha ubbidito ed è rimasta ad aspettarlo.
Manio si china su di lei e la stringe forte. Naki è ormai tutta la sua famiglia e ora se ne dovrà occupare senza dover ubbidire a nessun altro che a se stesso.
A volte basta solo qualche minuto perché un bambino diventi un uomo.
Manio recupera le due taniche piene d’acqua, se le lega sulle spalle con un laccio e s’incammina prendendo sua sorella per mano.

Così i due bambini s’allontanano da quell’inferno perdendosi nella notte. Non è dato sapere dove stiano andando. A dieci miglia lungo la linea del fiume c’è un altro villaggio che potrà accoglierli.
Sempre che prima non siano già passati i diavoli a cavallo!

Dall’2003 ad oggi il conflitto nel Darfur, un vasto territorio semidesertico ad ovest del Sudan, ha causato centinaia di migliaia di morti, molti dei quali tra le popolazioni dei villaggi dediti all’agricoltura. Si è perpetrato un vero e proprio genocidio a cui nemmeno l’intervento (tardivo) dei caschi blu dell’Onu è riuscito a porre rimedio. Il governo del Sudan, dopo le prime sconfitte ad opera dei ribelli, ha assoldato e armato bande di nomadi di stirpe araba per riprendere il controllo del territorio devastando i villaggi e compiendo una vera e propria pulizia etnica per conto di Khartum.
Queste bande di miliziani sono conosciute col nome di Janjawid, i famigerati demoni a cavallo, criminali sanguinari, responsabili impuniti di molte delle atrocità commesse sulle inermi popolazioni africane di quei territori.

La guerra del Darfur, che dura da vent’anni e ha provocato centinaia di migliaia di vittime, non è che una delle tante, troppe guerre sparse per il mondo che l’Europa e tutto l’Occidente hanno sempre ignorato e continuano tuttora ad ignorare. Probabilmente ci sono guerre di serie A e guerre di serie B, dipende da chi le fa e dove le fa. Forse le seconde non sono degne d’ispirare cortei e manifestazioni per la pace nelle piazze delle nostre città.
L’attuale e sacrosanta mobilitazione pacifista per l’Ucraina, accompagnata dalla totale assenza d’attenzione verso tutte le altre guerre che pure in questi stessi giorni insanguinano il mondo, starebbe a dimostrarlo.

Living Darfur (Mattafix, 2007)

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Carlo Tassi

Ferrarese classe 1964, disegna e scrive per dare un senso alla sua vita. Adora i fumetti, la musica prog e gli animali non necessariamente in quest’ordine. S’iscrive ad Architettura però non si laurea, si laurea invece in Lettere e diventa umanista suo malgrado. Non ama la politica perché detesta le bugie. Autore e vignettista freelance su Ferraraitalia, oggi collabora e si diverte come redattore nel quotidiano online Periscopio. Ha scritto il suo primo libro tardi, ma ha intenzione di scriverne altri. https://www.carlotassiautore.altervista.org/

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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