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Dai cambiamenti culturali e sociali scaturiti dall’effervescenza degli anni sessanta e settanta, dalla fine del socialismo reale, dalla struttura egemone dell’impianto economico e finanziario neoliberista, dall’avvento e dalla diffusione delle nuove tecnologie digitali, non sono scaturiti solo gli sconvolgimenti della globalizzazione, ma è venuto emergendo anche un nuovo modello di uomo radicalmente diverso da quello caro al mondo borghese della società industriale e, lontano da quello tanto quanto quest’ultimo era distante dall’uomo della civiltà contadina rurale. Se in quel passato si parlava di uomo intendendo, di fatto, il maschio occidentale adulto, capofamiglia, oggi, parlando di uomo, s’intende comunemente un astrazione di specie che, nelle sue specifiche connotazioni, sempre più spesso travalica i confini della classica polarizzazione di genere.
L’identità di questo essere umano che oggi popola il mondo digitale e globalizzato, è costruita prioritariamente intorno alla nozione di consumatore; essa non richiede né identità sessuale, né appartenenza religiosa, etnica o razziale, purché appunto, l’essere uomo si traduca in quel consumo che deve crescere, insieme al numero totale di consumatori, per assorbire l’enorme capacità produttiva del sistema industriale globale ed alimentare l’indispensabile aumento del PIL incredibilmente (per chi ha ancora un po’ di senno) assunto come metro e condizione dello sviluppo umano e sociale. Si tratta per certi versi del compimento di un progetto economico ben orchestrato, teso a fare dell’uomo un consumatore perfetto, convinto di poter soddisfare ogni suo bisogno, materiale, sociale, psicologico e spirituale attraverso il consumo di beni e servizi.
All’atto pratico questo modello umano si presenta come individuo perfettamente integrato nel sistema e da questo assolutamente dipendente: non tanto dagli altri consimili, con i quali è in competizione feroce in quanto imprenditore di sé stesso, ma dalle tecnologie, dai servizi, dagli oggetti culturalmente necessari, dalle regole di pensiero dominanti e dalle mode. E’ tipicamente un individuo che esercita la sua libertà e si ritiene libero in quanto può scegliere tra una infinita e crescente varietà di merci e servizi; egli è veloce e volubile per poter soddisfare costantemente i desideri, sempre cangianti, che l’onnipresente industria della persuasione provvede sistematicamente a costruire ed alimentare in forma di bisogni sempre nuovi. Nella versione più audace l’uomo consumatore vuole spingere la sua possibilità di opzione a livelli impensabili per le vecchie generazioni: esattamente come al supermercato egli pretende di poter scegliere, in nome della libertà, il genere, la religione, l’identità sessuale, le modalità di riproduzione, le caratteristiche dei nascituri, le opzioni di fine vita; non si limita però a scegliere privatamente e secondo personale coscienza, ma pretende che tale libertà sia pubblica, legittimata e normata, legale e, non raramente, obbligatoria per tutti. Nella sua versione tecnologica più spinta l’uomo consumatore spinge il suo desiderio fino alla possibilità di poter finalmente scegliere tra le opzioni promesse dalla tecno-scienza futuribile che, attraverso l’integrazione con le macchine e l’intelligenza artificiale, potranno consentire di diventare (cyber-) organismi potenziati, lanciati sulla strada della ricerca dell’immortalità e della fine definitiva della sofferenza.
Egli vive dunque con disagio e con rabbia ogni forma di certezza e di permanenza, ogni tipo di barriera, ogni religione che pretenda di essere vincolante, ogni nazionalismo, ogni regolamento che in qualche modo vincoli il libero mercato e la corsa di quella che ritiene essere la scienza nella quale confida massimamente. Il consumatore perfetto ha le stesse caratteristiche liquide delle merci e del denaro: per non diventare obsoleto deve continuamente cambiare, per cambiare deve continuamente consumare. Privato del consumo, al quale deve ricorrere anche per sanare i propri disagi interiori, privato di quelle occasioni di fruizione a pagamento che associa al godimento e alla “felicità” l’uomo consumatore su rivela per quello che è: un essere spesso spaesato e privo di orientamento, non di rado sofferente ed estremamente egoista.

Il processo di costruzione e diffusione di questo modello umano di consumatore perfetto sembra tuttavia avere sbattuto contro i limiti attuali della storia, complice una crisi economica che non accenna a risolversi e che si mostra sempre più con i tratti della crisi antropologica, sociale, culturale e, per chi ci crede, spirituale. Gli ultimi anni hanno fatto cadere, in Italia e in tutto l’Occidente, molte illusioni, hanno messo molte persone di fronte ai limiti del consumo e all’insostenibilità di stili di vita interamente consumisti, hanno riportato urgentemente in agenda problemi che si ritenevano ormai superati da tempo.
Ma non sono cambiate affatto le pressioni che spingono al consumo, diventate con le tecnologie digitali, ancora più pervasive ed accattivanti; si è ancora di più ampliata la ricerca di nuovi mercati e nuovi consumatori da immettere urgentemente nel circuito, proponendo ed imponendo, anche nelle zone più povere del pianeta, l’immagine del paese di bengodi. Si sono rafforzate enormemente le tecniche di marketing che diventano sempre più invasive, potenti, accattivanti e manipolatorie. Si è ancora più diffusa l’idea di diffondere, in ogni modo e a qualunque prezzo, a tutti gli abitanti del mondo il modello del consumo coatto. Ma si è anche enormemente ampliato il divario tra un numero in diminuzione di ricchi sempre più ricchi e la massa crescente di poveri sempre più poveri. Interi strati di popolazione che si credevano in diritto di godere di un certo agio e una certa sicurezza sono precipitati verso il basso vedendo drasticamente compromesse le proprie aspettative e, soprattutto, le proprie possibilità di consumo.
Di fronte a questo ridimensionamento il modello del consumatore perfetto è andato in crisi su vasta scala; ma gli assunti su cui si regge sopravvivono e si rafforzano, soprattutto in quei gruppi sociali protetti (o fortunati) che possono ancora permettersi di guardare con sufficienza alla paura degli impoveriti, che tranquillamente associano all’ondata montante del populismo, del razzismo e della xenofobia, del luddismo, dell’integralismo e del passatismo più volgare. L’uomo consumatore perfetto infatti, nella sua lotta costante per la libertà di scelta e nella sua caccia sistematica all’argomentazione politicamente scorretta, sa essere estremamente intollerante e violento (verbalmente) contro quanti osano mettere in discussione il suo stile di vita.
Intanto, tra le macerie della crisi, molte persone un po’ per scelta un po’ per necessità si organizzano, cercano soluzioni, recuperano vecchi approcci, inventano possibilità mettendo in discussione il paradigma dominante. Queste piccole strategie che assumono a volte la forma di vere innovazioni sociali rappresentano una cifra originale, forse l’avanguardia di un cambio di paradigma, al fondo del quale si intuisce in potenza la presenza di un altro modello possibile di uomo, più adatto a vivere in un futuro sostenibile, meno dissipativo e più collaborativo, Egli sa fare tesoro delle conquiste della tecno-scienza ma guarda la realtà con occhi diversi, libero, per quanto ora possibile, dall’ideologia materialista del consumo, dal dogma della competizione e dell’efficienza, più attento alla semplicità e agli aspetti spirituali. Uscito dai vincoli del pensiero industriale tanto quanto dall’insana passione dell’iper-consumo, egli si muove nella complessità con la leggerezza che deriva dal sentirsi parte responsabile di una realtà universalmente interconnessa, complessa e, per certi versa, sacra.
E’ un uomo più autonomo e libero più forte perché ha meno bisogni, più indipendente poiché fonda la sua vita sulla libertà e la creatività, sull’utilizzo di beni anziché sul loro possesso; più resiliente poiché ha riconosciuto il valore dell’essenzialità e sa affrancarsi dal ciclo di costante produzione e riproduzione del bisogno che caratterizza le attuali società. Forse più saggio, poiché sa riconoscersi come soggetto dotato di valore in sé e coltiva la propria unicità anziché auto-definirsi secondo standard esterni basati sul confronto e la classificazione. Egli ha ripreso a guardare con interesse al mondo delle virtù e dei valori che vanno oltre l’utile, è capace di riconoscere la ricchezza delle diversità culturali, è capace di guardare con consapevolezza ai rischi enormi e alle opportunità straordinarie che si profilano nell’immediato futuro. Quest’uomo più empatico e meno calcolatore, meno dipendente dal sistema e meno eterodiretto poiché sa trovare dentro di se le risorse indispensabili per governare la propria vita, sta costruendo un nuovo linguaggio e nuovi codici di significato straordinariamente lontani dalla neolingua imperante.
L’uomo del futuro intravede tra le nebbie del presente una società emergente, ricca di beni comuni, abitata da nuove persone e nuove istituzioni: per questa si impegna personalmente, positivamente e senza false illusioni.
La via è oscura e imprevedibile ma, ora più che mai, per avere un futuro bisogna dare nuova speranza al presente.

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Bruno Vigilio Turra

È sociologo laureato a Trento. Per lavoro e per passione è consulente strategico e valutatore di piani, programmi e progetti; è stato partner di imprese di ricerca e consulenza e segretario della Associazione italiana di valutazione. A Bolzano ha avuto la fortuna di sviluppare il primo progetto di miglioramento organizzativo di una Procura della Repubblica in Italia. Attualmente libero professionista è particolarmente interessato alle dinamiche di apprendimento, all’innovazione sociale, alle nuove tecnologie e al loro impatto sulla società. Lavora in tutta Italia e per scelta vive tra Ferrara e le Dolomiti trentine.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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