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‘Paraculo’, ovvero “chi sa abilmente e con disinvoltura volgere a proprio favore una situazione, o fare comunque il proprio interesse”.
La definizione della Treccani è fin troppo benevola, e si attaglia come un abito di sartoria alla catena del denaro. Come da Decreto liquidità, come da Cura Italia, la catena del denaro dovrebbe farlo arrivare presto e senza inutili complicazioni. La catena del denaro invece lo fa arrivare tardi, male e con (a volte) inutili complicazioni. Governo, banchieri, bancari, clienti. Ma a che altezza della catena possiamo localizzare i ‘paraculo’?

Iniziamo con il Governo. Lì la paraculaggine è istituzionale. “Diamo milioni di euro ai cittadini bisognosi di un sostegno economico in questa fase drammatica nessuno verrà lasciato solo eccetera”. E’ talmente smaccato che uno non può credere che sarà esattamente così. Tuttavia, tradizionalmente l’italiano tende a credere alle promesse impossibili da mantenere, per cui il governo di turno adatta la comunicazione. Nel cosiddetto Decreto liquidità, ad ogni modo, di denaro fresco erogato dallo Stato non ce n’è. Di erogazioni a fondo perduto poi nemmeno l’ombra. C’è una importante (e non totalitaria, salvo pochi casi) copertura dello Stato a garanzia di denaro, che deve comunque essere erogato dalle banche.

Passiamo ai banchieri. Lì la paraculaggine è ontologica. Il presidente dei banchieri dichiara: “abbiamo passato la notte in ABI per emanare la circolare applicativa”, “Il Paese ha bisogno di un sostegno rapido”, il rilascio della garanzia “è automatico e gratuito”. Qui il concetto assume una maggiore raffinatezza: “l’erogazione dei 25.000 euro avverrà in 24 ore se i documenti saranno completi”, afferma ineffabile. Il presidente dei banchieri fa il fenomeno, ma presiede dei banchieri, appunto. La circolare dell’ABI, come tutte le circolari a destinatario collettivo, lascia margini interpretativi (In Italia poi). Il banchiere allora parte con il gioco dell’oca. Se salti un documento, riparti dal via. La casella ‘imprevisti’ è prevista con regolarità, come una mina ogni mille metri in un ettaro di terreno. Qualcuno ti chiede la dichiarazione dei redditi del 2020 su 2019, o il bilancio definitivo 2019: impossibile in tempi normali visto che siamo ad aprile, figuriamoci sotto Covid. Qualcun altro cambia le istruzioni tre volte in tre giorni, anche perché l’ABI del presidente fenomeno ci mette del suo, cambiando un modulo in corso d’opera. Qualcuno chiede dieci moduli di cui sette inutili, salvo dimenticarsi di scrivere nelle istruzioni ai suoi impiegati di consultare la Centrale Rischi; con il risultato che c’è qualcuno che riceve i soldi perché ha diligentemente firmato e depositato tutti i moduli, ma è a sofferenza e nessuno se n’è accorto. Peccato che una delle poche cose chiare del decreto è: chi è a sofferenza non può avere credito.

Il bancario. Arriva dopo un Governo che racconta le cose col dolo dell’imbonitore, dopo un presidente dei banchieri che fa il fenomeno col suo sedere, dopo un banchiere che pretende di farsi firmare il superfluo, ma non l’essenziale. Ma il cliente se la prende con lui. E del resto con chi può prendersela? Prendersela con il Governo e i banchieri è astratto, pigliarsela con chi è costretto a farti tornare tre volte, o a comunicarti che la tua garanzia non è stata accettata, o che non avrai il denaro “rapido e certo”, è concreto. Almeno ha una faccia da insultare, e lo fa per tutti gli altri, e a nome di tutti.

Ai bancari resta l’aneddotica autoreferenziale sui clienti ignoranti che storpiano i termini della finanza, misera vendetta paraintellettuale, oppure la rabbia contro gente disperata che sta peggio di loro, e che assume quindi un sapore meschino. E gli psicofarmaci. Perché nessuno, nemmeno il Papa, si ricorda di loro, tranne quando una banca fallisce o truffa i suoi clienti, dopo aver drenato il carattere dei propri dipendenti con pressioni a vendere quotidiane, la nuova frontiera dello stress correlato al  lavoro. O magari quando qualche ex dirigente trombato – la razza peggiore – dopo essersi fatto le budella d’oro in premi, vessando i suoi, si vendica dalle pagine di un giornale contro le banche cattive.

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Nicola Cavallini

E’ avvocato, ma ha fatto il bancario per avere uno stipendio. Fa il sindacalista per colpa di Lama, Trentin e Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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