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Presto di mattina. Ripenso al tuo sorriso quando giunge l’oscurità

Come restare saldi nella fede?

È la domanda che ritorna sempre di nuovo quando sovrasta la bufera. Che interroga i credenti, i poeti anche. Anch’essi domandano come stare saldi nella parola quando questa ammutolisce, affogata dalle grida del silenzio.

Come stare saldi è la domanda portata ancora e ancora dal respiro sospirato di tutti gli uomini e le donne delle beatitudini a qualsiasi fede e popolo appartengano quando li afferra l’oscurità.

L’espressione ricorre più volte anche negli scritti degli Atti degli Apostoli e nelle Lettere non solo in quelle paoline: «Come dunque avete accolto Cristo Gesù, il Signore, in lui camminate, radicati e costruiti su di lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato, sovrabbondando nel rendimento di grazie» (Col 2,6-7).

«State saldi, dunque: attorno ai fianchi, la verità; indosso, la corazza della giustizia; i piedi, calzati e pronti a propagare il vangelo della pace. Afferrate sempre lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutte le frecce infuocate del Maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio» (Ef 6, 14-17; cf anche: Ef 6,13; Col 4,12; 1Cor 16,13; At 14, 22; Tt 2,2; 1Ts 3,8.13; Gal 5,1; Fil 1,27. 4,12; 1Pt 5,9.12).

Nei vangeli è legata all’atto del vegliare e pregare propri di Gesù. Fissando lo sguardo su di lui quando «cominciò a provare tristezza e angoscia. E disse ai discepoli: “La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me” (Mt 26,37-38). Così, rivolto verso il Padre suo, restò saldo nella fede filiale fino alla fine, consegnandogli nelle mani lo spirito e così fece anche verso noi quando, chinato il capo, rese lo spirito.

Come restare saldi nella fede? E tutte le volte che mi sovviene questa domanda non ho altra risposta che questa: fissare lo sguardo su coloro che ci hanno preceduto e sono rimasti saldi nella fede e tra disumani fermi in umanità, facendo rivivere la memoria della loro testimonianza.

Lì attinge un’acqua limpida, direbbe il poeta, anche quella fede che è tentata di lasciarsi andare riarsa dall’arsura dell’oblio. D’altronde non ci conferma forse l’autore della lettera agli Ebrei quando scrive che «Anche noi dunque, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (12,1-2).

Come restare saldi? Ripensando al tuo sorriso

Ripenso al tuo sorriso è una poesia di Eugenio Montale nella raccolta Ossi di Seppia parole dedicate a Boris Kniaseff (a K) ballerino e pedagogo russo; nella lirica si rievoca la memoria di un incontro a casa di amici a Genova; riaffiora un volto e nel volto un sorriso, rivive una figura e postura mite e quieta, che si erge come cima di giovinetta palma dalle ceneri della memoria.

Come uno spiraglio di speranza, lampo che per un istante fa chiaro nel male di vivere vissuto e di continuo raccontato dal poeta nei suoi testi, che lo fa restare saldo, resistente nel credere ancora alla parola, a proferirla ancora al sopravvenire della bufera sentita come fiumara dolorosa di pietre senza nome, crollo di pietrame.

Resta, la parola: «ciotolo róso sul mio cammino/ impietrato soffrire senza nome». Sta la parola: «informe rottame/ che gittò fuor del corso la fiumara/ del vivere in un fitto di ramure e di strame» (Montale, 56).

Così è proprio ripensando al sorriso sempre riaffiorante di padre Silvio Turazzi ferrarese, missionario saveriano in Africa, nel secondo anniversario della sua morte (26 maggio 2022), che cerco anch’io di ridestare il coraggio e la pratica del credere; di credere ancora nella pace e come lui nella rinascita dell’Africa così brutalmente violata e sfrutta anche oggi.

In questo periodo, in cui per le guerre vicine si dimenticano spesso quelle lontane, desidero così ricordare un’altra bufera che da trent’anni incombe violenta sulle popolazioni africane nella Regione dei Grandi Laghi (Ruanda, Burundi, Repubblica democratica del Congo) e nel Nord-Kivu.

Ricordando soprattutto la città di Goma, la città di padre Silvio e della sua fraternità nonostante tutto. Notizie mi giungono anche dalle lettere dell’associazione Solidarietà Muungano, da lui fondata per promuovere la solidarietà internazionale in RdCongo e l’accoglienza stranieri a Parma.

Sì, per stare saldo rivedo il tuo sorriso, caro Silvio

E così, tenendo fisso nel tuo volto lo sguardo, vado sillabando a fior di labbra, lentamente, le parole del poeta.

Inflorescenza d’edera tra pietraie d’un greto screpolato vedono i tuoi occhi come quelli del poeta. Nell’immane sofferenza di un popolo abbracciato al cielo e sprofondato in un inferno di dolore, i tuoi occhi fissano quell’esiguo specchio limpido, volti di gente che «recano il loro soffrire con sé come un talismano». Talismano, promessa di riscatto, presenza condivisa di un soffrire abitato, dopo il Golgota, da un Dio di uomini, fatto pure lui uomo di croce.

Ripenso il tuo sorriso, ed è per me un’acqua limpida
scorta per avventura tra le petraie d’un greto,
esiguo specchio in cui guardi un’ellera i suoi corimbi;
e su tutto l’abbraccio d’un bianco cielo quieto.
Codesto è il mio ricordo; non saprei dire, o lontano,
se dal tuo volto s’esprime libera un’anima ingenua,
o vero tu sei dei raminghi che il male del mondo
[estenua
e recano il loro soffrire con sé come un talismano.
Ma questo posso dirti, che la tua pensata effigie
sommerge i crucci estrosi in un’ondata di calma,
e che il tuo aspetto s’insinua nella mia memoria grigia
schietto come la cima d’una giovinetta palma …
(Montale, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1996, 32.)

Idolatria: Non hanno occhi per vedere

«I principi non hanno occhi per vedere queste grandi meraviglie, le loro mani servono solo a perseguitarci». È la citazione che troviamo come incipit della poesia La Bufera di Montale, chiaro riferimento al contesto storico di guerra in cui il testo viene pubblicato in Svizzera nel 1943, a causa della censura fascista e suona come una condanna di ogni dittatura e contro i signori della guerra.

Secondo un elenco delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo (Rdc), perdura la crisi umanitaria più vecchia al mondo, che dura da più di 30 anni. Le violenze dei gruppi armati, nella parte orientale del paese, sono in continua crescita, così come aumentano la fame e gli sfollamenti tra i civili. Più di 25 milioni di persone, un quarto della popolazione, continuano a fronteggiare una grave insicurezza alimentare. Solo negli ultimi mesi, più di 700.000 persone sono state costrette a fuggire dalle proprie case, portando il numero totale degli sfollati al livello record di 7,2 milioni.

I responsabili dell’Unicef, Oms, Unhcr, Wfp sollecitano una mobilitazione internazionale perché “Il Congo è sull’orlo della catastrofe”. I servizi sanitari continuano a deteriorarsi, come nel 1994 il colera e il morbillo hanno ripreso a diffondersi rapidamente e gli aiuti umanitari da soli non possono risollevare un paese sull’orlo del baratro.

Il coordinatore umanitario delle Nazioni Unite per la Rdc, Bruno Lemarquis, ricorda che «La guerra, è da imputarsi prevalentemente agli ingenti giacimenti minerari di cui la regione è ricca. Si tratta non solo di uranio, oro e diamanti ma, anche di coltan (columbite e tantalite), indispensabile per il funzionamento di telefonini gsm, computer e per la componentistica aeronautica.

Negli ultimi tempi, inoltre, i profitti più importanti arrivano dall’estrazione della cassiterite (biossido di stagno), di cui il Congo detiene un terzo delle riserve mondiali, anch’essa impiegata nella costruzione di apparecchiature elettroniche. Tali ricchezze sono oggetto di saccheggio e di commercio illegale da parte di diversi gruppi di ribelli che, finanziati e sostenuti dagli stati vicini come Rwanda, Uganda e Burundi, trasportano i minerali in questi paesi che, a loro volta, li esportano verso il mondo occidentale, creando un giro di affari di milioni di dollari.

A contendersi questo territorio, da sempre complicato e instabile, sono oltre cento gruppi armati, tra cui le Forze Democratiche Alleate (Adf), affiliate all’Isis. Ma i combattimenti, che si sono intensificati nelle ultime settimane, sono dovuti ai ribelli del movimento M23.

Il gruppo, sostenuto dal vicino Ruanda, secondo il governo congolese e diversi esperti delle Nazioni Unite, cerca di controllare le risorse minerarie compiendo omicidi di massa. In risposta all’attivismo di questo gruppo il governo congolese ha avviato un grande movimento di truppe nella regione, con relativo impegno di risorse. La spesa militare della Rdc è raddoppiata nel 2023 rispetto al 2022. Risorse inesorabilmente sottratte allo sviluppo sociale» (Fonte: L’Osservatore Romano, 11/05/2024).

E Jean Baptiste Salumu, direttore di Muungano Goma, ci scrive in una lettera: «Oggi si stima quasi centomila la popolazione sfollata che si è riversata nella nostra città in una miseria indescrivibile e una promiscuità che non ha nome! In una casetta di tenda, trovate il papà, la mamma e i figli dove passano la notte e il giorno senza nulla fare senza cibo, mentre hanno dovuto abbandonare i loro campi dove coltivavano e vivevano bene.

Quando visitiamo questi campi di sfollati si sente “la miseria”, ci sono già malattie per mancanza d’acqua (colera); infine, non solamente per gli abitanti della città l’aumento enorme dei prezzi delle derrate alimentari, peggio ancora per gli sfollati che sono senza niente e manchiamo di rifornimenti perché tutte le strade verso l’interno sono bloccate dai gruppi armati dell’M23».

Bufera

Les princes n’ont point d’yeux pour voir ces grand’s merveilles,
Leurs mains ne servent plus qu’à nous persécuter …
La bufera che sgronda sulle foglie
dure della magnolia i lunghi tuoni
marzolini e la grandine,
(i suoni di cristallo nel tuo nido
notturno ti sorprendono, dell’oro
che s’è spento sui mogani, sul taglio
dei libri rilegati, brucia ancora
una grana di zucchero nel guscio
delle tue palpebre)
il lampo che candisce
alberi e muri e li sorprende in quella
eternità d’istante – marmo manna
e distruzione – ch’entro te scolpita
porti per tua condanna e che ti lega
più che l’amore a me, strana sorella, –
e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere
dei tamburelli sulla fossa fuia,
lo scalpicciare del fandango, e sopra
qualche gesto che annaspa …
Come quando
ti rivolgesti e con la mano. sgombra
la fronte dalla nube dei capelli,
mi salutasti – per entrar nel buio
(ivi, 197).

La vita è a misura dell’amore

Dal diario di padre Silvio del 25 luglio 1994: «Ricomincia la settimana. Come una notte interminabile, il tempo sembra fermarsi. [Epidemia di colera]. Vedo il camion, il carico dei corpi, i vuoti da riempire in modo da risparmiare tutti gli spazi con i corpi dei più piccoli … è terribile, non riesco più a piangere, la scena si ripete due volte al giorno. Prego: “prendi anche me Signore, non sono certo migliore dei miei fratelli”.

Continuo a vagare visitando gli ammalati, i bambini. Trovo strano di non essere ancora del gruppo di coloro che hanno lasciato questa terra. Ho voglia di cielo “a chi mi ama mi manifesterò”. So che qui o là la vita è a misura dell’amore che si ha: nella gratuità semplice e aperta. Lo chiedo al Signore come un dono: sapere amare cercando di capire, consolare: come sanno fare tante persone semplici.

Nel “cerchio” del mattino ascolto episodi che suscitano pietà: il neonato raccolto da mons. Charles sul petto della madre agonizzante; due fratelli stesi per terra si tengono stretti per mano, in attesa di morire; la madre che arriva stringendo al petto la sua creatura: piange, chiede la dawa (medicina), l’infermiere risponde che non c’è più posto, ma la donna insiste … così si decide di curare anche alla porta con il preparato di acqua, zucchero e sale.

In giornata conosciamo i dati ufficiali di M.S.F., quaranta mila sono le vittime dell’epidemia. È la guerra che continua; questo esodo di massa, questi morti sono la sconfitta della violenza, della guerra che allontana sempre di più i fratelli della casa comune.

Sento tutto il peso e la responsabilità dei gruppi politici estremisti, che hanno scelto la strada del terrore. Sento la responsabilità delle grandi potenze che avvolgono nel silenzio questo continente, prolungando in modo nuovo lo sfruttamento che dura da cinque secoli.

Mi vergogno pensando al sostegno dato ai dittatori in cambio dei mercati, al commercio delle armi, al debito estero adoperato a vantaggio di alcune famiglie al potere e degli stessi donatori, che ha ridotto il popolo alla miseria; al commercio internazionale che vede il ricco rubare al povero.»

Saldi nell’amore

27 luglio 1994. «Non c’è amore più grande che dare la vita. Ascolto l’esperienza forte di una donna che sta donando la propria vita per servire i rifugiati ammalati di colera, tra vomito e dissenteria. Il Signore parla e dà forza soprattutto in queste situazioni. Nella sua luce si vede il legame tra la terra e il cielo. Anche quei poveri corpi disidratati, stesi sulla nuda terra ai bordi della strada, mi sembrano un ricordo di coloro che dopo tante tribolazioni sono già arrivati alla casa del Padre. Sì, ci può essere pace anche nel lazzaretto di questa città. Lo vedo nella gente che ha aperto la porta della propria casa, in chi si è messo a servire i più poveri, in chi chiede di diventare padre o madre dei bimbi dispersi.

Il cielo di Dio sono i suoi figli.
Così ho visto il futuro dell’umanità
Il nostro buio, il nostro affannarci,
saranno purificati e illuminati
dallo scaturire perenne del suo amore. Silvio»

Cover: padre Silvio Turazzi

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Andrea Zerbini

Andrea Zerbini cura dal 2020 la rubrica ‘Presto di mattina’ su queste pagine. Parroco dal 1983 di Santa Francesca Romana, nel centro storico di Ferrara, è moderatore dell’Unità Pastorale Borgovado che riunisce le realtà parrocchiali ferraresi della Madonnina, Santa Francesca Romana, San Gregorio e Santa Maria in Vado. Responsabile del Centro di Documentazione Santa Francesca Romana, cura i quaderni Cedoc SFR, consultabili anche online, dedicati alla storia della Diocesi e di personaggi che hanno fatto la storia della chiesa ferrarese. È autore della raccolta di racconti “Come alberi piantati lungo corsi d’acqua”. Ha concluso il suo dottorato all’Università Gregoriana di Roma con una tesi sul gesuita, filosofo e paleontologo francese Pierre Teilhard de Chardin.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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