E’ chiaro a tutti che l’emergenza globale determinata dai cambiamenti climatici rappresenta il problema con cui tutti i Paesi a livello mondiale, in maggiore o in minor misura, stanno facendo i conti e li dovranno fare sempre più negli anni a venire.
La produzione di gas climalteranti, come la CO2 in primis, ma anche come il metano, il biossido d’azoto e altri derivati dalla combustione delle fonti fossili ai fini della produzione energetica, sono la causa principale del riscaldamento del pianeta.
La società capitalista e il modello liberista, che hanno preso il sopravvento ormai in tutti i Paesi, si fondano sullo sviluppo senza limiti del consumismo produttivista di una parte della popolazione, quella più ricca(cioè anche noi), e sullo sfruttamento delle popolazioni più povere e delle risorse naturali (acqua, aria, estrazione di minerali, distruzione di foreste, cancellazione di forme vegetali e animali con perdita di biodiversità ecc..).
La produzione di beni semplici e complessi, la trasformazione dei prodotti, la movimentazione delle merci e tutte le fasi, fino al consumatore finale, esigono un dispendio di energia enorme, un’altrettanto enorme disponibilità di risorse naturali e danno luogo a grandi sprechi sia di energia che di risorse. Tutto questo viene ottenuto attraverso forme di sfruttamento del lavoro e delle persone che si pensavano inimmaginabili in società avanzate e ‘civilizzate’ come i Paesi occidentali. Per non parlare delle condizioni “sotto il livello di sopravvivenza” in cui sono costretti i popoli di quelli che amiamo chiamare “Paesi in via di sviluppo”.
Sappiamo bene ormai, e da più di mezzo secolo, che le risorse del nostro pianeta sono ‘finite’, non infinite e inesauribili. Sappiamo anche che la velocità di consumo e di spreco delle stesse sembra diventata inarrestabile. Eppure, sotto il dominio della finanza e del mercato, e con il silenzio assenso dei capi di governo, il motore consumista continua a girare a pieno regime.
La prima conseguenza del consumismo, quella che è davanti agli occhi di tutti, è l’incredibile produzione di rifiuti. Rifiuti che, per essere smaltiti, non solo richiedono un’altra grande quantità di energia, ma che provocano ulteriori forme di inquinamento delle risorse naturali e la devastazione di aree e territori.
Si può fare qualcosa? Si può rompere la catena di questo circolo vizioso?
Forse sì. Almeno un piccola cosa, che possiamo fare tutti: allungare il più possibile la durata di vita di ogni bene prodotto (riuso) e impiegare qualsiasi bene-rifiuto quale risorsa per un nuovo processo (riciclo) e utilizzo.
Ogni volta che riutilizziamo qualcosa, stiamo risparmiando risorse naturali, evitiamo la produzione di beni inutili e ulteriori rifiuti, risparmiamo energia, evitando la produzione di gas climalteranti.
Se mi dite che è poco davanti a un sistema economico che sarebbe da ribaltare da cima a fondo, rispondo che – aspettando la rivoluzione e il sol dell’avvenir – l’impegno per il riciclo e riuso è comunque un atto politico. Una atto consapevole di rifiuto di una società che sfrutta persone, animali, beni comuni e minaccia la sopravvivenza del pianeta Terra.
Nata x sbaglio a Ferrara, migrata in Toscana per studiare vi è rimasta per amore degli ulivi e delle viti, a cui ha dedicato gran parte della sua vita di studentessa e di agronoma, promuoverndone la cura attraverso tecniche agricole migliorative di agricoltura biologica, ed imparando ad apprezzarne i prodotti nei panel di assaggio. Hobbies: appassionata di cicloturismo. Politicamente: impegnata nel movimento femminista, nel movimento No Tav, nel Consumo critico e nel volontariato a favore delle persone migranti. Ma la vera aspirazione della sua vita è’ fare la contadina… e prima o poi ci riuscirà!