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BENVENUTI AD AMMAN

La prima parola che ti accoglie ad Amman e in Giordania, e ti accompagna per tutto il soggiorno, è Welcome. Ovunque vai, chiunque incontri il rapporto che stabilisci inizia con questa parola di benvenuto. Le grandi città mediorientali sono sempre difficili da interpretare. Sono ricche di storia, ma di questa rimangono spesso solo dei frammenti. Amman è una città millenaria, ma le stratificazioni delle tante storie che l’hanno formata le leggi con difficoltà.

Volo di notte

Non è Gerusalemme e nemmeno Damasco, il suo suk non è comparabile con quello perduto di Aleppo; questo però non significa che sia meno interessante. Per capirne il divenire devi entrare negli interstizi dove trovi i ritagli della sua storia. Da questo punto di vista, la città è più una stratificazione di sensazioni e impressioni che di forme urbane e edifici. Proviamo a metterne in ordine qualcuna. Partiamo dal viaggio. Si è svolto nel buio che dalle diciassette ricopre tutto il Mediterraneo orientale e il Medio Oriente nel periodo invernale.

Il cielo è buio ma lancia tanti messaggi. Il nero dominante assume tante forme che si notano quando le luci fuoriescono dall’oscurità. Queste assumono tre conformazioni distinte (perlomeno in questo viaggio) che però a volte si intrecciano.
Innanzitutto, il punto luminoso che si fa largo nel buio indicando la presenza di un insediamento isolato. Quando si associa ad altri punti luminosi, prossimi ma non vicini, assume la forma di una costellazione vista all’incontrario, dall’alto in basso.
Poi abbiamo il filamento, ovvero l’allineamento di tanti punti lungo una linea (una strada) che diviene una direttrice luminosa che serpenta nel buio. Può capitare che questa direttrice si incroci con altre dando vita a trame irregolari che ci fanno immaginare un reticolo urbano. In questo caso il filamento diviene la componente di una nebulosa che muta a seconda della geografia dei siti che la supportano e che io posso solo immaginare.
Nella nebulosa la varietà delle luci è molteplice, se le direttrici che la compongono spiccano per l’intensità della luce emessa, sui bordi tende ad abbuiarsi perché si entra nel territorio dell’ignoto, perlomeno per chi guarda da diecimila metri di altezza.

Quando si sorvola una città la nebulosa diventa grande, le superfici luminose si possono alternare a zone buie. Si può presupporre che se la luce diventa intensa e assume una conformazione lineare sinuosa o ad arco, al buio corrisponda il mare, mentre se diverse nebulose si alternano l’un l’altra, i pezzi di nero ricompresi la cittsono probabilmente dei crinali collinari o montani, ma può capitare che le luci determinino delle geometrie visibili come nel caso delle città pianificate attraverso una griglia. Mentre la mia mente associa quello che sto vedendo a queste riflessioni sulle forme della luce nel buio, l’aereo tocca terra, siamo ad Amman, siamo entrati nel cuore della nebulosa.

La strada, metafora della quotidianità

Per descrivere la quotidianità di una metropoli come Parigi, un etnologo è entrato nel metrò; per descrivere la quotidianità di chi si muove nella area metropolitana di Amman è necessario ricorrere ai trasporti collettivi, anche per recarsi nelle città vicine, respingendo le sirene del taxi per turisti sempre squillanti. È necessario inoltrarsi lungo le strade che attraversano la città. La strada è una metafora della quotidianità. In essa la socialità da forma al movimento, questo intreccio costituisce la rappresentazione della vita di ogni giorno. La città è essenzialmente un insieme organizzato di strade. Ogni principio di organizzazione ha le sue regole che, se non comprendiamo, non necessariamente significa che si tratti di disordine, ma forse di un altro ordine rispetto a quello a noi consueto.

 

E la folla in movimento costituisce uno degli spettacoli più emozionanti delle città, descritto e rappresentato nel corso del tempo dai narratori delle metropoli. Ogni giorno migliaia di persone si muovono da un punto all’altro e basta osservarne alcuni, nodali, per rendersi conto della intensità, della fatica e anche drammaticità, dei movimenti dei corpi nello spazio.

ll “bus di linea” di mutuo soccorso

La mobilità urbana collettiva ad Amman e in tutto il Medio Oriente, nel nord Africa, nei paesi subsahariani e in tante altre parti del mondo, dove le città reali non sono e probabilmente non saranno mai smart [Vedi qui], si articola in diverse maniere con modalità che spesso si integrano.
Ruotano attorno al taxi e al taxi collettivo. In alcuni punti strategici, posti lungo le direttrici di accesso alla città, sono posizionate le grandi stazioni degli autobus che collegano la capitale alle più importanti località del paese, mentre i taxi collettivi di solito uniscono le città e i paesi che gravitano nell’area metropolitana.

In questi furgoni, la presenza di turisti occidentali è sporadica, totalmente assenti sembrano essere gli orientali. A Jerash siamo andati con il taxi collettivo. Il rito è sempre lo stesso, quando il furgone è carico si parte e almeno 20-30 minuti di attesa vanno messi nel conto, ma sono minuti preziosi per capire le regole di formazione del “carico”, in realtà più che capire, intuire, essendo tutti i dialoghi in arabo. A Madaba siamo andati invece con il “bus di linea”. Una linea che ha come unica certezza il punto di partenza e il tragitto. I tempi di percorrenza sono del tutto aleatori, perché il “bus di linea” svolge un vero servizio sociale, ovvero si ferma per ogni esigenza, per far salire persone che conoscendo il tragitto si fanno trovare in un punto e in vista del bus in arrivo iniziano ad agitarsi sul ciglio della strada. Strade, va detto, dove ci si può fermare ovunque, come ad esempio nel mezzo di una rotonda perché un taxi giallo (quelli economici) arriva strombazzando all’impazzata perché porta una signora che deve salire.

Ad un certo punto, qualcuno inizia ad urlare dal fondo del bus e l’autista sempre tranquillo, mai alterato, si ferma e lo fa scendere e gli restituisce anche qualche moneta. Evidentemente il signore ha deciso di scendere prima della località dichiarata quando era salito.
Per pagare il biglietto non c’è un momento preciso, quando sali, quando scendi, quando l’autista decide di fermare il bus e passare a riscuotere il denaro, e poi caso mai scendere perché ha finito le sigarette e il tè e va rifornirsi in une delle innumerevoli baracche lungo la strada che offrono questo servizio, direttamente ai viaggiatori. Basta fermarsi, abbassare il finestrino, ordinare la commande, pagare e via che si riparte.

Insomma, negli spostamenti di questi “bus di linea” infraurbani vige una sorta di spirito di “mutuo soccorso”, si cerca di accontentare tutti. Del resto, chi usa questi mezzi è consapevole che non potrà gestire il proprio tempo come vorrebbe, perché vige una sorta di adattamento alle dinamiche dei tempi delle varie persone che usufruiscono del servizio. Quindi si sa quando si parte, non sempre quando si arriva, dipende dalle condizioni locali.
Se la variabile tempo è un vincolo ci sono i taxi e i trasporti privati, che ovviamente la gran parte della popolazione non può permettersi. Questi tragitti sia verso Madaba che Jerash attraversano tre situazioni, l’agglomerazione metropolitana, un tratto di campagna puntellata da edifici e catapecchie un po’ ovunque, con paesaggio brullo ma ricco di ulivi e infine le periferie delle città, che non sono molto diverse dalle aree centrali.
Mentre si esce dalla stazione di Amman, può capitare di trovare, in terreno libero posto in un crocevia di autostrade urbane, una tenda beduina e due dromedari che ti guardano con distacco, mentre mangiano la loro erba.

IL taxi è imprescindibile

Per la mobilità in città il ruolo del taxi è imprescindibile, non si può pensare di muoversi da una parte all’altra della città senza ricorrere alla “macchina” gialla. Queste girano ininterrottamente, ti accompagnano passo dopo passo, specie se sei inquadrato come turista e occidentale, accompagnando il tuo percorso, per un certo tratto, con piccoli richiami di clacson. Sembra quasi che l’autista pensi e speri che prima o poi ti stancherai di camminare.
Analoga situazione la ricordo in numerosi paesi africani. Solitamente l’occidentale che va in questi paesi per lavoro o per turismo concorda con l’albergo o con conoscenti il trasporto in città. Per prendere un taxi spesso si viene sottoposti a quello che gli amici senegalesi chiamano le parcours du combattant. Ogni qualvolta un occidentale si appresta a percorrere, non accompagnato da un locale, un tratto di strada in città, in aeroporto o in un mercato, una folla di persone lo accerchia proponendogli di acquistare qualcosa, chiedendogli informazioni riguardanti il paese da cui viene salvo poi scoprire che il suo interlocutore ha un amico o un parente addirittura nella tua città di residenza.

L’area centrale di Amman (foto di Romeo Farinella)

Ricordo a Dakar (dove non è consueto camminare per strada, specie se sei bianco) che camminavo e nel mentre parlavo con il taxista che mi seguiva passo dopo passo e attraverso il finestrino aperto mi chiedeva da dove venivo, mi augurava il benvenuto, cercando di convincermi a salire sulla sua auto. Va detto che questi viaggi in taxi non sono mai silenziosi ma sono scanditi da dialoghi intensi e in Senegal, se parli francese, e ad Amman, se hai la fortuna di trovare un taxista che parla inglese (non frequente) scendi carico di informazioni e riflessioni sulla città, sulla loro quotidianità e anche a te vengono richieste informazioni sul tuo paese, sulla tua vita, e sei contento perché scopri che gli italiani sono tra tutti gli occidentali i più amati: sincera dichiarazione di amore o strategia di marketing? Forse entrambe le cose, anche se i senegalesi mi dicevano che amano l’Italia perché è l’Afrique d’Europe, dove vige l’art de la débrouille (l’arte dell’arrangiarsi) mentre i Giordani amano l’Italia (perlomeno alcuni dei taxisti che abbiamo incontrato) perché ritengono arabi e italiani “una faccia, una razza”.

Ad Amman i prezzi dei taxi gialli sono talmente bassi che costituiscono anche per i locali l’unica possibilità di muoversi in città e l’importanza di questo mezzo per la mobilità urbana, ma anche per l’economia familiare la verifichi innanzitutto nella quantità di auto in circolazione. La vivi anche nell’animosità con cui i taxisti discutono e litigano tra di loro per caricarti. Ci è capitato alla stazione dei bus di Amman, tornando dal Wadi Rum, ma ricordo una situazione analoga all’aeroporto di Tunisi dove ad un certo punto mi è capitato di avere una valigia, in un taxi e la seconda in un altro, finché l’arrivo provvidenziale del Raʾīs (dei taxisti) non ha sistemato le cose, le valige si sono ricongiunte e io sono partito verso la città.

Vi sono anche i taxi bianchi ma di norma li prendono i turisti non adusi a trattare il prezzo. Si potrebbe dire con una battuta che i taxi bianchi li prendono i turisti mentre quelli gialli i viaggiatori, in ogni caso un Hotel non ti chiamerà mai un taxi giallo, o bianco ma privato (di norma parente o amico del concierge che effettua la riservazione) e ovviamente i prezzi si possono trattare.

Dentro il sukdi Amman (foto di Romeo Farinella)

Il viaggio in taxi, in Giordania, in Senegal, ma anche in Brasile, non è mai un semplice spostamento da un punto all’altro, è quasi sempre una condivisione di un frammento di vita comune, alimentato da uno scambio di esperienze, importante per conoscersi reciprocamente. Se poi ti capita di muoverti con un taxi per un tratto abbastanza lungo, come è capitato a noi tra Petra e Wadi Rum, scendi con i recapiti di un amico su cui puoi sempre contare se torni da quelle parti.

La vita attorno e lungo le strade è uno dei caratteri dominati di Amman e di tante città che alternano lungo i tracciati attività e professioni, informalità e urbanizzazioni. Entrando in città lungo la strada trovi di tutto, dal piccolo artigiano che ti può risolvere un problema, al rivenditore specializzato, dall’emporio-bazar, alla stamberga dove ti puoi fermare a bere un tè alla menta, o al ristorante dove puoi organizzare un banchetto per un evento. Anche lungo l’unica “autostrada”, che congiunge Amman con Aqaba, la separazione non è mai fisica, puoi attraversare la strada a piedi, ti puoi fermare sul ciglio per acquistare una bibita da un ragazzino seduto su di un contenitore portatile refrigerato.

Lungo diverse strade di accesso alla capitale ho visto ragazzi (alcuni forse bambini) che indossavano un giubbotto giallo catarifrangente con in mano un vassoio rotondo in ottone che roteavano continuamente e il moto ondulatorio indirizzava verso il ristorante a lato della strada. Un invito ad entrare e pranzare.
Questa era la specializzazione del ragazzo che forse un giorno, crescendo, diventerà un cameriere, o studierà diventando qualcuno di importante, e lascerà quel posto ad un altro ragazzo. Da secoli quella strada è un ingresso ad Amman e forse da secoli un ragazzo rotea il braccio per invitare al pranzo i viandanti, come quello Yemenita spaventapasseri che arrampicato su di un palo, da secoli rotea la frusta per scacciare gli uccellini al centro di un campo coltivato, a cui Pier Paolo Pasolini nel 1971, ha dedicato il suo documentario “Le Mura di Sana’a”.

In copertina: In Entrata ad Amman (foto di Romeo Farinella) 

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Romeo Farinella

Romeo Farinella, architetto-urbanista e professore ordinario di Progettazione urbanistica presso l’Università di Ferrara. Si occupa di problematiche urbane e paesaggistiche da almeno trent’anni. Prima di approdare a Ferrara ha vissuto in diverse città, tra cui Roma e Parigi e quest’ultima è diventata uno dei suoi temi principali di ricerca. Oltre a Ferrara ha tenuto corsi anche in Francia (Lille, Parigi), Cina (Chengdu), L’Avana e São Paulo e Saint Louis du Senegal. È stato direttore per alcuni anni del Centro di Ateneo per la Cooperazione allo Sviluppo Internazionale di UNIFE.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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