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E’ con alcune riflessioni su pagine e titoli di giornali usciti all’indomani dell’omicidio dell’attrice Marie Trintignant, colpita con 27 pugni letali dal compagno Bertrand Cantat, leader della rock band Noire Désir, che si apre lo spettacolo “Doppio Taglio” di Marina Senesi, attrice e autrice dell’affresco sul rapporto tra informazione e violenza sulle donne. Mai titolo di un monologo fu più azzeccato: alle ferite spesso letali, si aggiungono quelle provocate da notizie il cui linguaggio è irrispettoso delle vittime. Esiste un cliché, un pensiero comune, un modus operandi talmente radicato da non risparmiare nessuno e niente, neppure l’obiettività dei giornalisti. La faccenda, purtroppo, è culturale.

Solo analizzando nel dettaglio gli articoli, smontandoli un pezzo alla volta come ha fatto la ricercatrice Cristina Gamberi il cui lavoro ha ispirato la Senesi, emerge con chiarezza la “violenza” delle parole. Ci sono pezzi di cronaca più taglienti di un coltello, sprofondarli insieme con tutto il giornale in una bacinella d’acqua come ha fatto in scena la Senesi per trasformarli in cartapesta buona per le maschere, risulta persino un gesto generoso. Certi virgolettati, alcuni sommari sono come rifiuti tossici, avvelenano l’anima di chi resta, infangano la memoria e non aiutano un cambiamento culturale doveroso. L’omicidio Trintignant è un caso emblematico. Marie, è stato scritto, aveva una vita sentimentale intensa e tre figli con compagni diversi. E allora? Il giudizio è implicito: se l’è cercata. Sui piatti della bilancia mediatica ci sono una donna assassinata e un cantante rock di successo, politicamente impegnato, la cui carriera, dice la stampa, viene travolta da un imperdonabile errore. Un errore replicato 27 volte: una contraddizione in termini.

Doppio Taglio prosegue analizzando tra gli omicidi quello di Barbara Cicioni per il quale è stato condannato il marito Roberto Spaccino. Quest’ultimo durante il processo fu descritto come una persona stimata, un grande lavoratore al quale qualche volta scappava la mano, ma sua moglie in ospedale, dichiarò, non c’era mai finita. Come dire, botte ma non troppo, cose sopportabili per amor di famiglia.
Al momento della morte Barbara era incinta di otto mesi e il giudice, racconta la Senesi, dispose l’esame del Dna del feto perché il marito sospettava fosse frutto di un tradimento. Se così fosse stato, ma non era, si potevano creare le basi per una possibile attenuante all’assassinio. Attenuante? Il peggio poi sta in due passaggi scoraggianti: la notizia della morte di Barbara Cicioni tiene le prime pagine solo fino a quando il delitto sembra essere stato opera di una banda di stranieri. Fugati i dubbi di un’emergenza sociale, scivola nelle retrovie; infine il nome della vittima scompare per lasciar posto alle istanze dei genitori e a quelle dell’assassino a cui si impediva di incontrare i figli in carcere.

Esempi di scena, ma purtroppo realtà incarnate da parole e foto d’accompagnamento agli articoli, immagini dalle quali non compare mai un “lui” fatta eccezione per qualche particolare, un pugno, un braccio alzato, ma si vede sempre una “lei” massacrata, impaurita, arresa. Forse è arrivato il momento di cambiare registro, di capovolgere la situazione, di studiare il fenomeno della violenza sulle donne, di usare con consapevolezza i termini femminicidio (sociologico) e femmicidio (criminale). E’ il minimo. Ed è un po’ questo il messaggio di Doppio Taglio, andato in scena grazie a teatro Ferrara Off, UDI, Centro Donna Giustizia insieme all’Assessorato alle Pari Opportunità. Lo spettacolo, accreditato dall’Ordine del Giornalisti dell’Emilia-Romagna nell’ambito della formazione professionale obbligatoria, è stato seguito da un dibattito moderato dalla giornalista di Telestense Alexandra Boeru nel quale sono intervenute la ricercatrice Cristina Gamberi, Paola Castagnotto, presidentessa del Centro Donna Giustizia e Stefania Guglielmi di Udi Ferrara. L’incontro ha avuto il merito di aprire una riflessione sul ruolo e linguaggio dell’informazione rispetto a un fenomeno ben lontano dall’essere sconfitto anche nella nostra regione.

il dibattito dopo lo spettacolo Doppio Taglio (foto di Giorgia Mazzotti)
il dibattito dopo lo spettacolo Doppio Taglio (foto di Giorgia Mazzotti)
il dibattito dopo lo spettacolo Doppio Taglio (foto di Giorgia Mazzotti)
il dibattito dopo lo spettacolo Doppio Taglio (foto di Giorgia Mazzotti)
il dibattito dopo lo spettacolo Doppio Taglio (foto di Giorgia Mazzotti)
il dibattito dopo lo spettacolo Doppio Taglio (foto di Giorgia Mazzotti)
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Monica Forti

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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