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Russia, lungo il fiume Volga, Seconda guerra mondiale (1942, per la precisione), nazisti, nemici e amici, paura, oscurità, viltà e tradimento.
Un giovane marinaio russo, Anatoly, scampato all’affondamento della sua imbarcazione fatta saltare dai tedeschi, è obbligato a sparare contro il suo capitano, per vedersi salva la vita. L’evento tragico lo sconvolgerà per sempre, il grande senso di colpa e di vergogna lo perseguiteranno continuamente, in ogni momento del giorno e della notte.

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la locandina

Anatoly trova rifugio in un monastero, unica costruzione a Ostrov, isola di una regione settentrionale del paese come tante, sperduta, desolata, emblema di uno stato non solo ambientale quanto, soprattutto, esistenziale. Il luogo è totalmente isolato dal mondo, con temperature rigide, immerso in una natura selvaggia in cui l’essere umano ha la possibilità di confrontarsi solo con i suoi demoni e con il senso della propria vita.
I colori sono il bianco intenso e immenso della neve, del ghiaccio e delle nuvole, il grigio del peccato e della fuliggine, il nero del carbone e della morte, l’azzurro del cielo.
Il giovane diventa uno dei monaci, fino a trasformarsi, poco a poco, in uno iurodivy, un “folle di Dio” o uno dei “santi idioti” della tradizione ortodossa.

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una scena del film

Ossessionato dalla sua colpa, Anatoly trascorre gli anni pregando e vivendo in solitudine nel locale delle caldaie del monastero, spalando carbone per alimentarlo. Con la sua fatica fisica, la sua caparbietà e tenacia, il suo sudore e la sua espiazione, “alimenta” il monastero e la sua vita, mantenendoli costantemente al caldo.
Ha un carattere molto brusco, è sempre nero, perché sporco di fuliggine, parla da solo citando a memoria i Vangeli, ha uno stile di vita spartano e anomalo. Per questo suscita scandalo nei confratelli, anche se il Priore lo stima e gli vuole bene.
Col passare del tempo, la sua fama di uomo santo si sparge nel paese, portando sull’isola molte persone che cercano il suo conforto o un miracolo. Che avvengono quasi regolarmente, anche con un caso di esorcismo.

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una scena del film

Anatoly sa riconoscere il peccato o la tentazione. Grekh in russo è un vocabolo molto forte, è il peccato mortale, un’azione inconfessabile di cui si prova un’enorme vergogna e non suscettibile di perdono, se non dopo un lungo e durissimo periodo di espiazione.
Girato con gran cura da Pavel Lungin, regista moscovita da anni trasferitosi a Parigi, in una natura fredda e silenziosa ma intensa, l’isola offre allo spettatore occidentale una grande testimonianza della fede, della tradizione ortodossa e della redenzione in essa.
Fino a un finale totalmente inaspettato e commovente, nel quale tutta la vita e la permanenza dell’uomo sull’isola trovano compimento finale.
L’isola è un film difficile, impegnativo e alquanto duro in certe parti (e che, talvolta, richiede qualche conoscenza specifica, come ad esempio quella della preghiera del cuore, una formula da ripetere incessantemente: “Signore, Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore“), ma davvero interessante, intenso e profondo.

L’isola, di Pavel Lounguine, con Pyotr Mamonov, Dmitry Dyuzhev, Victor Sukhorukov, Nina Usatova, Yuri Kuznetsov, Timofey Tribuntsov, Alexey Zelensky, Russia, 2006, 112 mn.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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