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Leggo ‘Il dilemma’ dei professori: “Impossibile valutare da dietro a uno schermo”. Oltre a far lezione a distanza, i docenti dovranno anche trovare un modo per dare i voti agli studenti (maturità compresa), come specifica una nota del ministero.
Valutare bene è un problema.
Ho simpatia per il merito. Anche quando è attribuito con scarso fondamento. Nel mio caso ad esempio. Le amiche e gli amici del piccolo e caro Movimento Nonviolento mi chiamano, anche pubblicamente, Presidente emerito. Mi sono accorto che il buffo e immeritato appellativo mi piace. E poi il merito è un valore apprezzato anche dalla nostra Costituzione: articolo 34, terzo comma, “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. È la Repubblica impegnata a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale” già indicati al secondo comma dell’articolo 3. La Repubblica lo fa apprezzando il merito. Sempre lo stesso apprezzamento induce a chiamate a posti di massima responsabilità: articolo 59, secondo comma, senatori a vita per altissimi meriti, e articolo 106, terzo comma, consiglieri di cassazione per meriti insigni.
Contro l’ideologia del merito (Saggi Laterza, 2019) di Mauro Boarelli induce al sospetto, se non nei confronti del merito come tale, verso l’uso che se ne fa. In definitiva hai quel che meriti e meriti quello che hai, se il confronto è libero e aperto. Lo decide il mercato in ogni “campo sociale, scientifico, artistico e letterario”, come dice la Costituzione quando è il Presidente della Repubblica a scegliere senatori a vita. È la forma naturale e migliore in cui la società può organizzarsi. Lì si vede il merito all’opera. Da lì può scaturire una società meritocratica. Avanti dunque con privatizzazioni, liberalizzazioni, concorrenza nella scuola, nella sanità, nell’assistenza, nelle condizioni di lavoro… Anche le diseguaglianze che ne derivano non potranno che essere benefiche. Il Merito dà, il Merito toglie, il Merito sia benedetto.
Vaghi ricordi di Sociologia dell’Educazione, coltivata per anni con Alberto L’Abate, mi inducono a pensare si debbano valutare, con attente metodologie, i risultati nel passaggio da insegnamento e apprendimento attraverso la scuola. Non ho pregiudizi quindi nei confronti dell’Invalsi. L’acronimo di Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema dell’Istruzione poteva essere più felice. Ne ho conosciuto però di più sfortunati: Cagare (Consorzio aziendale gas acqua Reggio Emilia) mutato subito in Acag (Azienda consortile acqua gas). Da qualche anno la gestione è passata, non so se la cacofonia abbia avuto qualche peso, a una multiutiliy dal nome armonioso: Iren. Ho anzi un ricordo piacevole legato a Invalsi. Anni fa, svariati anni fa, mia nipote conduce coetanei a vedermi in spiaggia. Sono sotto l’ombrellone a leggere. Mi salutano. Educatamente si presentano. Vanno via. Le chiedo “Perché sono venuti?” “Ho detto che mio nonno risolve gli Invalsi. Hanno detto che sei un simpatico vecchietto”.
Magari qualche dubbio su come la scuola valuta se stessa ce l’ho. Dai tempi della Lettera a una professoressa non valuta il suo classismo se non in termini di politically correct. La scuola pubblica, quella che Aldo Capitini voleva difesa e sviluppata, è tale perché accoglie tutti e tutti vuole portare ai più alti risultati. Solo nell’eguaglianza di fondo c’è spazio per valorizzare le differenze. Una singola scala di valutazione non può servire. Ci dice una cosa sola: chi è più bravo nel risolvere i quesiti Invalsi. Avessi qualche dubbio ancora e specifico sugli Invalsi, me lo toglie l’amico e ottimo maestro Mauro Presini (dovevamo insieme presentare a Ferrara il numero di Azione nonviolenta dedicato alla scuola, appuntamento rinviato a tempi migliori). Lo conosco da quando, in servizio civile per obiezione di coscienza nei primi anni Ottanta si occupa di integrazione scolastica di alunni portatori di handicap, Lo ritrovo, primi anni novanta, al Provveditorato agli studi di Ferrara nel gruppo di lavoro Interistituzionale per l’integrazione. Non l’ho più perso di vista. È competente e appassionato costruttore di una scuola di tutti e per tutti, in ogni ordine e grado, di una scuola, organo decisivo della nostra Costituzione, secondo la felice espressione di Piero Calamandrei. Ecco un link,  con l’augurio di una proficua e piacevole lettura: mauropresini.wordpress.com [Qui] . Troverete Invalsi è l’anagramma di Salvini, InFalsi d’autore, Test Invalsi da girls & boy…cottare, Invalsi si, Invalsi no…la terra dei cachi, Visi invisi all’Invalsi. Altri ancora mi saranno sfuggiti. C’è poi tantissimo altro e non voglio rovinare la sorpresa.
Per avere un’idea di come l’ideologia del merito si sia impossessata delle menti e dei cuori, che un tempo stavano a sinistra, non trovo di meglio che proporre un breve video di Teresa Bellanova, coetanea di Mauro Presini, giovanissima bracciante e ora Ministro, che sfida gli estremisti del Partito Democratico promotori della congiura degli eguali.[Qui]

L’articolo di Daniele Lugli è apparso su Azione non violenta online con il titolo ‘Mi chiamano Emerito’.………………..….

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Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà presidente nazionale dal 1996 al 2010, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali – argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni – e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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