Le storie di Costanza. Luglio 2062 – Una fotografia
La zia Costanza ha avuto un incidente. È caduta dalle scale della vecchia casa di via Santoni e si è rotta il metatarso del piede sinistro. Per fortuna la frattura era composta e, per curare il trauma, è bastata l’ingessatura senza bisogno di ricorrere all’intervento chirurgico. Ora ha il piede ingessato e per un mese può camminare solo in casa, usando le stampelle.
A volte basta proprio poco per farsi del male e la vita cambia velocemente in peggio. Un minuto prima cammini normalmente e un minuto dopo non lo puoi più fare. Non serve a niente maledire la sfortunata coincidenza, indietro non si torna e comunque il piede resta rotto.
Nello scendere dalla soffitta, dove ogni tanto si rifugia per far rivivere avvenimenti del suo passato e pensare ai fatti suoi senza interferenze, la zia ha appoggiato male il tallone ed è caduta in avanti. Per fortuna non si è fatta altro che la frattura del metatarso.
Con lo stesso piede Costanza aveva già avuto problemi in passato, un legamento se l’era lesionato da giovane in una gara sportiva e l’alluce aveva subito una brutta botta durante un tuffo in piscina. Questa volta un osso si è spezzato e, grazie al gesso, il piede è diventato gigante e bianco. Da lontano sembra un cucciolo di orso delle nevi appeso a una gamba.
Si accompagna all’altro piede che è lungo e magro, una strana coppia davvero, poco sincronizzata. I piedi umani mi hanno sempre affascinato, sono eleganti, flessuosi dotati di una capacità di movimento e di abilità articolari davvero sorprendenti. Sono arte viva in mutamento. Rendono i movimenti del corpo umano armonici. Per poter danzare la salute di mani e piedi è essenziale e i ballerini dedicano loro molto tempo e cura.
Cosmo-111, Canali-111, Galassia-111, Maya-111 e Orsino-121 sempre molto pragmatici, hanno chiesto cosa dovessero fare per pulire il gesso e una volta saputo che non lo potevano né lavare né lucidare, si sono molto dispiaciuti. Hanno fatto delle ricerche nei loro sistemi informativi e hanno scoperto che una delle abitudini dei ragazzi degli anni 2.000 era quella di riempire il gesso di scritte, fatte con un pennarello nero indelebile.
Così i nostri Robot si sono procurati un pantone nero. Cosmo-111 ha scritto sul gesso della zia “An bacaa (un bacio)”, Canali-111 “Guarisci presto”, Galassia-111 “I love white”, Maya-111 “Evviva Costanza” e Orsino-121 ha disegnato un teschio con tanto di ossa incrociate sotto.
Quando la zia gli ha chiesto per quale motivo le avesse disegnate, lui ha risposto: “Ho visto che, quando eri giovane, i tuoi coetanei facevano così”. Deve essere vero, perché Costanza ha sorriso e Orsino-121 ha fatto un fischio di soddisfazione “eureka” ha poi detto.
Sabato sera siamo andati tutti (io, mio marito, Axilla e Gianblu) a trovare la zia. Nel vecchio soggiorno di Costanza c’erano anche mia madre e mio padre e una vicina di casa che si chiama Giuliana. Abbiamo portato il gelato, perché piace sia ai robot che agli umani e, con questo caldo, è particolarmente adatto per chiudere la giornata.
La zia era seduta su una delle poltrone gialle del soggiorno e teneva il piede ammalato appoggiato su un pouf dello stesso colore. Era tutta vestita di nero e i suoi capelli d’argento erano legati dietro la nuca con un elastico rosso. I miei genitori erano seduti sul divanetto d’Adelina e Giuliana sull’altra poltrona.
Quei vecchi mobili gialli erano della nonna Anna e, prima ancora, della bisnonna. Sono sempre rimasti in casa della zia nonostante il passare degli anni e hanno subito col tempo il rifacimento di diverse fodere, sempre sulle tonalità del giallo, a volte più dorate e a volte più color polenta.
La vecchia casa di via Santoni ha un po’ il fascino del museo, è piena di ricordi che vengono tramandati e sopravvivono alle singole vite. Quando entri in casa cambia un po’ il senso del tempo, se guardi i mobili è tutto stranamente uguale da decenni, mentre se guardi il viso delle persone che vi abitano è tutto diverso.
Quando siamo entrati, Giuliana stava dicendo ai presenti che Costanza non è l’unica infortunata di Via Santoni Rosa, anche la mamma del notaio è caduta e si è rotta un braccio. Quella signora dagli occhi color acciaio ha quasi novantotto anni ed è il punto di riferimento della zia per decidere quanti anni potrà ancora vivere.
Dice sempre: “la mamma del notaio ha novantotto anni e sta ancora bene, quindi io, se faccio come lei, ne ho ancora almeno otto da vivere in buone salute”. Questa considerazione le fa bene al cuore, allontana i tristi pensieri legati alla dipartita da questo mondo. Meglio così, speriamo che la mamma del notaio stia bene ancora a lungo.
Adesso però ha un braccio rotto, è caduta anche lei ma non dalle scale, è scivolata in lavanderia in mezzo a un mucchio di capi pronti per essere caricati in lavatrice e lavati. Suo figlio l’ha trovata in terra dolorante ricoperta di calze, asciugamani e pigiami puzzolenti. Ridiamo tutti, nonostante il dispiacere, per il braccio della signora Nora.
La zia aziona col telecomando il suo flight-t e subito arriva volando un piccolo robot dalla forma simile a quella di una libellula. I flight-t hanno una lunghezza che varia dai venti ai settanta centimetri e, a differenza dei -111 e dei -121, volano. Possiedono tutte le funzionalità dei droni e molto altro ancora.
Sono molto servizievoli, estraggono dalla cassetta della posta le lettere e te le portano, oppure fanno il caffè, lo mettono nelle tazzine sopra un vassoio, volano dove vuoi e depositano il vassoio dove indichi loro. Sanno spruzzare acqua e antiparassitario sui fiori e anche andare a fare la spesa dal fruttivendolo.
La cosa che li contraddistingue maggiormente è che sanno superare tutti gli ostacoli che un normale cammino impone, semplicemente azionando le loro ali meccatroniche e alzandosi da terra fino a cinquanta metri. Quelli di casa si alzano solo di qualche metro e ciò è sufficiente per renderli molto efficienti e utili.
Il flight-t della zia è verde e le sue ali sono argentate. Molto bello davvero. Lo ha scelto lei a Robomecca, il centro commerciale di Trescia-111. Costava tanti soldi ma la zia ha detto:
“Ormai ho novant’anni, le cose per cui vale la pena spendere un po’ dei miei risparmi sono quelle che mi aiutano a gestire la casa senza ammazzarmi di lavoro. Sono troppo vecchia per poter pensare di tenere in perfetto ordine una casa di dieci stanze, un cortile, un giardino, un orto, una rimessa e una soffitta.
Mi serve un aiuto efficiente e se tale aiuto arriva da un robot è anche meglio, il mezzano fa quello che gli dico io senza protestare e senza opporre motivazioni confliggenti con le mie priorità. Questo fligh-t oltre che ricchissimo di funzionalità è anche bello. Le ali argentate lo rendono un po’ fiabesco. Sembra il robot di Cenerentola. Io lo voglio, è adatto alla casa di via Santoni, ha un’eleganza senza tempo che mi piace molto.”
Così il fligh-t è stato acquistato e ha cominciato subito a lavorare. La zia gli ha anche dato un nome, si chiama Zeus-t. Mentre chiacchieravamo, seduti sui divani gialli, è arrivato Zeus-t e ha posato sul tavolo basso posizionato di fronte a uno dei due divani, le ciotole e le palettine per il gelato. Una scena familiare molto tranquilla e normale, nonostante il gesso della zia.
A volte mentre osservo i miei parenti che conversano, mi succede uno strano evento intra-psichico, mi allontano da me stessa. È come se riuscissi a guardare tutti, me compresa, da lontano.
Come se diventassi un osservatore distaccato dell’interazione che si sta svolgendo, invece che un membro attivo. Come se una parte di me continuasse a chiacchierare e a mangiare il gelato e un’altra parte si allontanasse di qualche metro, lo spazio sufficiente per diventare contemporaneamente un osservatore e un osservato.
Questo strano modo di distaccarmi dagli eventi è curioso, stupisce anche me. Mi permette di visualizzare e ricordare le situazioni con una lucidità e una dovizia di particolari che non potrei avere se fossi troppo immersa nel momento. È uno stare sulla porta, né dentro né fuori dalla stanza, né dentro né fuori dal tempo, né dentro né fuori dalle circostanze.
E così, insieme ai miei parenti, riesco a guardare la parte di me stessa che è rimasta seduta sul divano e a descriverla come descriverei tutti gli altri protagonisti della storia. Questo strano meccanismo, che mette in relazione il dentro con il fuori, mi è stato molto utile per tutta la vita. Una specie di doppia visione da-dentro e da-fuori, che mi ha permesso un aumento delle informazioni sugli eventi e una completezza di visione importante.
Anche adesso mi allontano dal divano e mi fermo sulla porta. Vedo un bel quadretto familiare, una signora anziana con un piede rotto, un bel soggiorno dal sapore un po’ antico, un bellissimo robot dalle ali argentate che mi ricorda che siamo nel 2062. Il mio stare sulla porta riesce a cogliere un momento di serenità che sospende il tempo e si eleva sopra la stanza per diventare una stella.
Lo stare sulla porta arricchisce la capacità di riflettere sulla situazione, la cristallizza in un’immagine, la fa diventare un ricordo. Attraverso questo guardare un po’ da lontano so che il momento che sto vivendo durerà per sempre, che il ricordo sta già abbracciando quell’incontro serale per farlo diventare una pietra miliare, una roccia che segna il cammino, una lapide. L’immagine si ferma e diventa una fotografia.
Le persone sorridono mentre stanno mangiando il gelato. Ci sono anche due ragazzini, un maschio con gli occhi verdi come le foglie d’autunno e una femmina mora con una felpa con scritto: “Non buttare la plastica. Gli aironi la potrebbero mangiare.”
Nell’immagine si vede anche il padre dei ragazzi, alto e atletico con gli occhiali dalla montatura sottile. Si vede una signora anziana che sorride e una seconda signora anziana con un piede ingessato. Ci sono anche altre due persone di circa ottant’anni, marito e moglie.
Stanno tutti là seduti in soggiorno, è quasi sera e si stanno raccontando qualche episodio curioso, che li sta divertendo. La luce del tramonto filtra attraverso le tapparelle semi abbassate, il robot dalle ali d’argento sta assicurando, con la sua presenza, l’efficienza del servizio e dell’ospitalità.
Ho di nuovo colto l’attimo, ho fermato un’immagine, l’ho resa eterna. Ora mi muovo dalla porta, torno dentro me stessa. Ricompongo il dentro e fuori, mi siedo sul divanetto d’Adelina, prendo in mano il gelato alla vaniglia che Zeus-t mi sta porgendo e mi metto a ridere perché la zia Costanza ha appena detto “Tutto sommato potrei anche diventare immortale. Mi sto esercitando molto in questo senso”.
N.d.A.
I protagonisti dei racconti hanno nomi di pura fantasia che non corrispondono a quelli delle persone che li hanno in parte ispirati. Anche i nomi dei luoghi sono il frutto della fantasia dell’autrice.
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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it
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