Macroeconomia, ovvero come fregarsene delle persone in carne e ossa
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“In Italia un quarto dei lavoratori totali ha una retribuzione individuale bassa, cioè, inferiore al 60% della mediana. Almeno un lavoratore su dieci si trova in situazione di povertà, cioè vive in un nucleo con reddito netto equivalente inferiore al 60% della mediana (11.500 euro in base ai valori del 2018).”
Ancora: “il fenomeno dei working poor è esploso dapprima negli Usa e ora sta interessando molti paesi europei, pur con significative eccezioni come la Svezia, dove i tassi di povertà al lavoro sono insignificanti e i Paesi Bassi, dove il tasso di working poor è in costante decrescita. “L’insorgere del fenomeno è imputabile a diverse cause, alcune legate all’evoluzione del mercato del lavoro, altre a cambiamenti istituzionali. Tra le prime rientrano i cambiamenti tecnologici della struttura produttiva che hanno favorito la domanda di lavoratori qualificati rispetto a quelli non qualificati,… la delocalizzazione del lavoro nei paesi in via di sviluppo che può avere comportato una riduzione dei salari dei lavoratori meno qualificati in Europa, i fenomeni migratori che possono aver ridotto il salario dei lavoratori nativi poco qualificati. Tra i cambiamenti istituzionali rientrano certamente le riforme di liberalizzazione del mercato del lavoro che hanno determinato il peggioramento della qualità delle posizioni lavorative ma anche l’indebolimento del potere contrattuale dei sindacati e il minor ricorso alla contrattazione centralizzata che possono aver avuto ripercussioni negative sui salari in genere, ma soprattutto sulla coda sinistra della distribuzione dei salari”.
Sono brani tratti da un articolo apparso su collettiva.it (leggi qui) che illustra bene la differenza tra la microeconomia e la macroeconomia. Sempre dal pezzo di colletiva.it, leggiamo: “Per avvicinarsi a una prima quantificazione dell’area dei lavoratori poveri, applicando uno dei riferimenti Istat (sotto la soglia dei 9 euro l’ora di retribuzione), il ricercatore del Censis, Andrea Toma, parla di 2,9 milioni di lavoratori; 35% nella classe 15-29 anni; 47,4% nella classe 30-49 anni; 79% operai, 53,3% uomini. Decisivo è il calcolo delle giornate lavorate durante l’anno. Tra gli operai ci sono 8,6 milioni di persone che lavorano per un totale di poco più di 200 giornate l’anno con una retribuzione media annua di 14.762 euro. Ci sono poi 629 mila apprendisti che lavorano 203 giorni l’anno per 11.709 euro. Nella sfera del lavoro povero, spiega ancora Andrea Toma, si possono inquadrare praticamente quasi tutti i lavoratori precari che devono essere sommati al lavoro irregolare (circa 3 milioni di persone), una parte dei lavoratori dei settori agricoli e della vasta area del lavoro domestico (921mila).”
Questa è microeconomia, nel senso che è l’economia vissuta nei panni e nella pelle delle persone che si trovano in questa situazione: hanno un lavoro, ma questo lavoro non permette loro di progettare nessun futuro, perchè è saltuario, precario, sottopagato, sotto ricatto.
Poi ci sono i grafici dei macroeconomisti
Questi due grafici sono stati esibiti (senza peraltro citarne la fonte) in un post di Luigi Marattin (attuale presidente della Commissione Finanze della Camera), che li ha commentati così:
Nicola Cavallini
Caro lettore
Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.
Se già frequentate queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.
Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani. Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito. Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.
Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta. Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .
Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line, le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.
Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e di ogni violenza.
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