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di Michele Pastore*

I temi di dibattito sulla nostra città si possono dividere in due gruppi: problemi che attendono una soluzione urgente, perchè evidenti nella loro oggettività e gravità, ed altri che possono essere valutati e sviluppati partendo da “provocazioni” frutto di elaborazioni intellettuali del lavoro culturale. Parto da questi ultimi perchè di recente dibattuti.
Salvatore Settis sostiene che le città si distruggono quando perdono la memoria di sé. Io concordo, ma mi permetto di aggiungere che per memoria intendo “tutta la memoria”. Non solo quella riconducibile ad una particolare epoca storica. Le città, e così Ferrara, sono l’insieme della stratificazione della vita degli uomini che si manifesta con oggetti che diventano “segni urbani”: segni materiali e segni immateriali presenti nella immaginazione di ciascuno di noi. Dobbiamo sforzarci di pensare che tutti i segni urbani esigono un’estensione del concetto di conservazione, passando dalla semplice congelazione di un pezzo di città alla proposizione del passato urbano come necessario di “protezione allargata”. In questi termini si pongono le recenti raccomandazioni Unesco per le città; e noi facciamo parte del patrimonio Unesco. Forse dobbiamo tentare di “trasmettere” la nostra città ad un futuro nel quale la sua immagine è il derivato delle trasformazioni operate dalla vita dei suoi abitanti, anche con le loro possibili contraddizioni. Mi riferisco ad una iniziativa di Ferraraitalia che ha posto al dibattito quattro temi ritenuti di attualità per la città: la demolizione dei grattacieli, la riapertura del canale Panfilio, la sistemazione del giardino delle duchesse, l’ampliamento della Ztl su Corso Martiri. I primi due temi, al di là della simpatica provocazione, difficilmente possono essere affrontati in una fase economica caratterizzata da poche risorse: in una fase cioè di “vacche magre” nella quale è necessario individuare ed operare sulle priorità.
Mi soffermo quindi soprattutto sul tema dei grattacieli che dal punto di vista intellettuale è certamente il più vivace. A parere mio però questo non si configura come un’emergenza urbanistica per la città. Perchè voler distruggere un segno urbano consolidato, marginale al centro storico, che da materiale è diventato immateriale nella memoria e nella riconoscibilità per i viaggiatori che transitano o che arrivano a Ferrara? E’ viceversa certamente un’emergenza sociale che va affrontata come dovrebbero esserlo tutte le criticità delle periferie urbane. Le demoliamo tutte o piuttosto operiamo con soluzioni sociali ed interventi di “rammendo urbano” come propone di fare Renzo Piano? Io sono convinto della giustezza di questa proposta che è certamente meno eclatante ma anche più praticabile seppur sempre delicata.
La riapertura del canale Panfilio invece presenta oneri e problemi che la nostra comunità oggi non sarebbe in grado di affrontare e pertanto non mi ci soffermo.
L’ampliamento della Ztl, battaglia di cui mi sento partecipe, andrebbe visto in un quadro coerente con i piani della mobilità e della viabilità per evitare di aggravare le cose con un intervento che se isolato diventa eccessivamente radicale.
La riapertura del giardino delle duchesse è certamente un tema rilevante che mira a riaprire e a rendere fruibili i “segreti nascosti” di Ferrara. Ma Ferrara ha anche la memoria corta: anni fa fu bandito un concorso sulle “piazze” tra queste vi era anche il giardino delle duchesse. Che fine hanno fatto i progetti? Forse sono scomparsi perché è stata premiata l’accademia e non la realizzabilità.

Ora in poche righe vi accenno, auspicando di poterne riparlare, a casi che necessitano di soluzioni urgenti a seguito dei danni del terremoto di due anni fa, salvo perdere pezzi enormi di patrimonio culturale della nostra città. Si tratta in genere di chiese e tra queste, perchè ho avuto occasione di occuparmene di recente come Ferrariae Decus, vorrei porre il caso della Chiesa di San Domenico. Questa imponente chiesa, un austero edificio barocco degli inizi del ‘700 (costruita su un preesistente edificio del XIII secolo), ha visto peggiorare il suo disfacimento, iniziato fin dalla metà del 2000, con il terremoto del 2012. All’interno vi sono opere fondamentali per il patrimonio culturale della città in totale abbandono e degrado: il grande coro ligneo dell’abside a 38 stalli datato 1384, la Cappella Canani, attuale sacrestia (una delle absidi della chiesa trecentesca preesistente), che contiene il monumento funebre di Giovan Battista Canani ed è completamente rivestita da armadi e decorazioni lignee settecentesche. Cerchiamo di non perdere questo patrimonio.
Su questi temi si deve mobilitare la città perchè sono delle vere priorità oggettive.

* L’architetto Michele Pastore è presidente di Ferrariae Decus

Foto di © Bighi Oreste

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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