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di Valerio Lo Muzio

“Meno male è lunedì”. A pronunciare questa frase può essere solo uno stakanovista oppure un amante del suo lavoro, come Filippo Vendemmiati, giornalista ferrarese, dal 1987 in forza alla Rai Emilia Romagna e da qualche anno regista di documentari, tra cui ‘E’ stato morto un ragazzo’ e ‘Non mi avete convinto’. A dire “Meno male è lunedì” sono però , anche un gruppo di detenuti della Dozza di Bologna, protagonisti del nuovo film di Vendemmiati, la cui uscita è prevista in autunno. Il regista, già premiato in carriera con il David di Donatello, ci apre le porte ad una realtà innovativa in Italia: la palestra del carcere diventa un’azienda specializzata, è il progetto Fid (Fare impresa alla Dozza) nata dall’idea di tre aziende bolognesi (Gd, Ima e Marchesini group). Così, per 13 detenuti è scattata un’assunzione a tempo indeterminato.E grazie ad alcuni operai in pensione che fanno loro da tutor, imparano a produrre componenti meccaniche ad alta tecnologia destinate al packaging.

Ha vissuto un’esperienza inedita durante le riprese del tuo ultimo documentario “Meno male è Lunedì”, non capita a tutti di passare del tempo con i detenuti, cosa le è rimasto dopo questo incontro?
E’ stata un’esperienza umana molto forte, sapevamo che da parte loro c’erano delle paure nel farsi riprendere, e invece poi questa diffidenza si è sciolta e si è creato con loro un rapporto solido, contagioso. Non mi sono trovato di fronte dei detenuti bensì dei colleghi di lavoro in uno spazio di libertà molto particolare che è questa officina all’interno del carcere.

Ha girato un film su Pietro Ingrao, potendo conoscere da vicino un simbolo del Pci. Dietro il personaggio che uomo si è trovato di fronte?
Non avevo mai conosciuto personalmente Pietro Ingrao, è una figura che ho sempre visto da lontano, ho letto i suoi libri, avevo ascoltato i suoi comizi. Ho sempre avuto la percezione di una persona dotata di una grandissima umanità e di una grandissima capacità di ascolto. Durante il nostro incontro, mi ha colpito quanto Ingrao fosse capace di ascoltare, tanto da trasformare l’intervista in un dialogo, voleva sapere se i suoi ragionamenti, le sue parole mi convincevano oppure no. Caratteristica poco comune nei politici di oggi, che parlano e che promettono, ma che purtroppo, ascoltano molto poco. Mi ha stupito trovare di fronte una persona che nonostante l’età, è così attenta ed acuta nei ragionamenti , molto curiosa e piena di dubbi, che non ragiona per sicurezze. Quando gli abbiamo comunicato il titolo del film: “Non mi avete convinto, Pietro Ingrao un eretico”, lui era molto contento, sentirsi definire un eretico per lui è un elemento che da valore al suo pensiero non è un offesa.

Lei ha vinto il premio David di Donatello per “E’ stato morto un ragazzo”, da ferrarese cosa ha significato questo film?
Mi sono limitato a raccontare quello che è successo e quello che la giustizia aveva accertato. Non è un’inchiesta giornalistica, lo considero il racconto di una tragedia in 90 minuti. E’ un lavoro che mi è rimasto molto dentro e che giudico importante per la storia e non per me. Credo di aver dato un piccolo contributo alla dignità di un ragazzo e alla definitiva affermazione della verità, seppur con molti contrasti. Per questo ho rifiutato altre proposte che in qualche modo intendevano proseguire questo tipo di lavoro, su Aldrovandi stesso o su altre vicende analoghe. Mi hanno proposto di ricavarne una sceneggiatura cinematografica, ma il forte livello di coinvolgimento personale su questa storia e il forte rapporto di fiducia reciproca con la famiglia Aldrovandi mi hanno suggerito di evitare questa strada.

Quali sono i prossimi progetti di Filippo Vendemmiati?
Nel mio cassetto ci sono tanti progetti, alcuni in fase di stallo, altri già scritti e in fase più avanzata, ma non sempre i progetti e le idee si realizzano. Siamo in un periodo in cui fare cinema e fare documentari è tremendamente difficile. Avere un’idea, scrivere una sceneggiatura oggi è il problema minore, il problema è poi riuscire a distribuirlo ad ottenere visibilità nei festival del cinema , ad avere contratti con le reti televisive. Un mercato difficilissimo. Il mio prossimo progetto è terminare “Meno male è lunedi” e quindi accompagnarlo in giro per l’Italia e per festival.

Quanto è difficile oggi, con la crisi economica che ha colpito anche il mondo dei media, approfondire certe tematiche e decidere di fermarsi per raccontare una storia?
Le forme di diffusione oggi sono aumentate grazie alla rete, ma questo non corrisponde a fruibilità maggiore, anzi sono convinto che questo flusso di offerta alla fine si traduca in un grande minestrone in cui tutti i settori sono uguali e fai fatica a distinguere le inchieste documentate, che richiedono mesi di lavoro, da altre che spesso si rivelano bufale vere e proprie, c’è un mercato molto inquinato. Per fare un’inchiesta occorrono mezzi, ma soprattutto tempo. La velocità con cui oggi si muove l’informazione televisiva e della carta stampata, è nemica dell’approfondimento e dell’onestà, ma soprattutto è nemica della chiarezza.

Ha dichiarato in un’intervista rilasciata al Blog di Beppe Grillo che il giornalista è “un lavoro che ti piace sempre meno”, perché?
Premetto che non è il mio intento, quello di stabilire delle regole e dare dei giudizi, ci sono giornalisti bravissimi che fanno il loro lavoro con grande serietà, alcuni dei quali perdono anche la vita per questo mestiere. La mia è una critica che deriva dalla mia posizione, sono molti anni che faccio questo mestiere e sono un po’ stanco, delle dinamiche e di come si è trasformato in particolare il giornalismo televisivo.

Provi a spiegarsi meglio, cosa non le va giù?
Le racconto un aneddoto, il film di Aldrovandi è nato anche dall’esigenza di trovare gli strumenti, degli spazi e dei tempi diversi, dal normale lavoro di cronaca, per raccontare una storia che secondo me meritava di essere conosciuta. Un produttore Rai a quel tempo mi disse: “Ma che cosa vuoi che interessi alla gente di una piccola storia successa a Ferrara?”. Si sbagliava clamorosamente, perché il documentario continua ad essere visto, continuano a chiedermi di mandarlo in giro, e da quando è liberamente fruibile su Youtube e su Vimeo, abbiamo avuto tantissime visualizzazioni. Tutto ciò dimostra che non è solo una “piccola storia successa a Ferrara”.

A proposito di Ferrara, che rapporto ha con la sua città natale?
Ho ancora un legame molto forte, è la città dove sono cresciuto, ancora oggi quando qualcuno mi chiede dove abito rispondo a Ferrara, anche se sono 30 anni che vivo a Bologna, ho ancora questo lapsus. Andare a casa per me significa tornare a Ferrara e quando ci vado, ho sentimenti molto contrastanti. La giudico una città di una bellezza straordinaria da un punto di vista architettonico, ma anche una città molto chiusa e molto difficile. Dove molte persone, anche intellettuali di livello, non sono riusciti ad avere i riconoscimenti che meritavano e che han trovato in altre città, penso al mio grande amico recentemente scomparso Stefano Tassinari. Anche nel caso Aldrovandi è una città che ha risposto con una sua verità, l’allora sindaco e le istituzioni, hanno dimostrato di essere civili, più aperti e più attenti di una parte della sua popolazione, che ha vissuto questa storia come pubblicità negativa.

Parliamo di un suo grande amore: il pallone e la Spal, come si vive il calcio in provincia?
Per dirla alla Arrigo Sacchi: “la Spal è la cosa più importante tra le cose meno importanti della mia vita”. Ho una malattia vera nei confronti di questa squadra e di questi colori. Ho saltato solo un anno, subito dopo il fallimento, era davvero troppo per me. Poi non sono riuscito a restarne lontano, e lo scorso anno, ho vissuto con grande patema la promozione in Lega Pro girone unico, giunta all’ultima partita. Amo i campionati minori, se la Spal fosse in serie A, per me sarebbe come rompere un giochino perfetto. Anche se il calcio moderno purtroppo, è arrivato a rovinare anche i campionati minori, assistiamo al cosiddetto calcio spezzatino anche in serie C (sì, so benissimo che si chiama Lega Pro, ma preferisco continuare a chiamarla così) non si sa più quando si gioca: alle 17 del venerdì, o il sabato alle 12, è un affronto, una vigliaccheria nei confronti dei tifosi. La domenica pomeriggio era un momento sacro per vivere lo stadio, è come se il Papa, decidesse che la messa non si fa più la domenica mattina, ma il lunedì. Per giunta alle tre del pomeriggio, è assurdo.

[© www.lastefani.it]

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