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‘Paziente uno’, ‘paziente zero’, ‘superspreader’, ‘asintomatico’ sono termini che affollano la cronaca medico-sanitaria e sono entrati prepotentemente nel nostro lessico ormai quasi quotidiano, vestendoli di una normalità impressionante, se si pensa che fino qualche mese fa appartenevano solo ed esclusivamente agli addetti ai lavori.
Paziente uno di Codogno, di Piacenza, dell’isola d’Ischia, di Livorno: ogni luogo possiede il proprio, eroici simboli della lotta all’incubo per la sopravvivenza.
Caccia al paziente zero forse tedesco, forse proveniente da qualunque parte d’Europa: una realtà che supera la fantasia del film di Stefan RuzowitzkyPaziente zero”, del 2018, in cui una pandemia trasforma il genere umano in creature violente e genera la ricerca spasmodica di una cura da parte degli ultimi sopravvissuti.
E poi ancora l’esercito di asintomatici, silenziose ‘mine vaganti’ che vengono citate tra un misto di sospetto e timore, contornate da un’aura scura.
Viene in mente la particolare e rocambolesca storia di Mary Mallon (1869-1938), giovane irlandese che emigra negli Stati Uniti da un poverissimo villaggio dell’Irlanda del Nord, ospitata a New York dagli zii e passata alla storia con il triste appellativo di “Typhoid Mary”, Mary la tifoide, perché identificata come portatrice sana della salmonella enterica, responsabile del tifo.

Una storia vera e documentata che rasenta l’incredibile, perfettamente adatta a un racconto inquietante alla E.A. Poe. La giovane Mary cominciò a lavorare nei mesi estivi presso famiglie benestanti di Manhattan, passando poi a collaborazione domestica continuativa come cuoca. Durante la sua permanenza in quelle case, alcuni membri di queste famiglie manifestarono i disturbi tipici del tifo e una lavandaia dipendente ne morì. Nel 1906 andò in servizio come cuoca presso un ricco banchiere, la cui figlia contrasse la malattia poco dopo. Vennero attivati gli accertamenti sanitari necessari su tutti i presenti ma Mary scomparve dalla casa ancor prima che si concludessero le indagini. Dopo varie ricostruzioni, fu chiaro che le famiglie colpite dal tifo erano associate alla presenza della donna, la quale cambiava continuamente nome e spariva regolarmente nei momenti di emergenza.
Mary fu rintracciata a Park Avenue, dove lavorava dopo un ennesimo cambio di identità, tradita, forse per alcol o per soldi, dall’uomo con cui viveva. I tre poliziotti e la dottoressa Baker inviati dal Dipartimento di sanità pubblica per procedere con i prelievi di feci e urine, non riuscirono a cavare  di bocca alla donna una sola parola e il giorno seguente dovettero inseguirla perché fuggita da una finestra. Raggiunta, bloccata e caricata sull’ambulanza, venne portata al Parker Hospital, segnalata come persona pericolosa e inaffidabile.
Nel 1907 venne rinchiusa nell’ospedale Riverside a North Brother Island, in isolamento a tempo indeterminato. Alloggiava nella villetta dell’ex capo infermieri dell’ospedale.
Nel 1910, dopo discussioni, dibattimenti, mozioni e appelli, si presentò davanti al giudice con il suo avvocato e venne prosciolta dall’obbligo di permanenza sull’isola, definita dal magistrato stesso “sfortunata donna”.

Nonostante la diffida a continuare ad esercitare la professione di cuoca, continuò questo lavoro inventando identità fittizie come Mary Brown, Mary Breyhof; riprese il grembiule da cuoca dando l’avvio a una nuova ondata di infetti, compreso un noto ristoratore newyorchese che morì in seguito al contagio.
Nel 1915 era cuoca allo Sloane Hospital di New York, quando 25 persone furono infettate e colpite dal tifo. Allo scoppio dell’epidemia, Mary Mallon fuggì, stanata dal suo nascondiglio non molto più tardi. Questa volta non si ribellò e si consegnò all’autorità quasi con rassegnazione. Fu condotta nuovamente a North Brother Island e messa in quarantena forzata fino alla sua morte, avvenuta nel 1932, dopo che un ictus l’aveva debilitata sei anni prima.

Il tristissimo appellativo ‘Typhoid Mary’, inventato sensazionalmente dalla stampa dell’epoca, le avvalse un infausto posto tra i primati: quello della prima persona asintomatica individuata negli Stati Uniti in un caso di epidemia. Una cinquantina di persone contagiate, un ricordo inglorioso che lascia una lapide presso il St Raymond Cemetery nel Bronx, a memoria di questa donna d’altra epoca, fuggita per tutta la vita da se stessa.

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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