Skip to main content

Se c’era qualcosa di cui era sicuro Vitangelo Moscarda, protagonista del pirandelliano “Uno, nessuno e centomila”, questa era il proprio nome.
Non avrebbe potuto dire lo stesso il proprietario del corpo conservato da oltre ottocento anni nell’arca di san Luca, all’interno della basilica di Santa Giustina a Padova, arca aperta nel settembre 1998 alla presenza di esperti e studiosi.

Degno di una spy story, che mescola intrighi e divulgazione scientifica, è una storia reale
la vicenda che Guido Barbujani racconta in “Lascia stare i santi” edito da Einaudi e presentata nell’ultima rassegna di Autori a corte.
Un vero e proprio viaggio nello spazio – per l’autore – e nel tempo – alla ricerca della probabilità, della possibilità più reale, che possa aiutare a capire se l’identità del corpo che riposa da ottocento anni, forse addirittura da 1700, in una cassa di piombo sia quella di san Luca Evangelista. Partita come spedizione alla ricerca di un tassello mancante del puzzle delle possibilità, assume via leggendo i connotati di una storia del mistero, cui si legano millenni di vicende e di santi, di città che si contendono reliquie, del possibile viaggio affrontato dalla salma, dal Medio Oriente all’Italia. Così, per conto dell’arcivescovo di Padova Antonio Mattiazzo, parte la spedizione per la Siria allo scopo di recuperare il Dna mancante che potrebbe permettere di capire qualcosa dell’origine del corpo – greca, turca o siriana – Dna che viene portato illegalmente in Italia imprimendolo su strisce di carta assorbente.

“Il libro nasce dal desiderio di parlar bene, una volta tanto, della ricerca scientifica e della razionalità, di raccontare la curiosità che provavo per il risultato che sarebbe scaturito dal lavoro di menti così diverse per formazione: anatomopatologo, chimico, archeologo, storico dell’arte, a ognuno dei quali spettava una parte del progetto. Pollini, grano, insetti, resti di serpenti e altri animali, legno con cui è stata fabbricata l’arca: tutti gli elementi concorrevano alla restituzione di una identità a quel corpo.
A me spettava il compito di analizzare il Dna del corpo trovato nella tomba, recuperato estraendolo da un canino e da una radice dentale”, racconta Barbujani.
Capitoli interamente dedicati alla scienza, tecnicismi che sono veicolo delle vicende, il giusto corredo di informazioni necessarie per orientarsi nelle vicende – basi della genetica, Dna, agiografia molecolare, tassonomia numerica – sono il necessario nucleo attraverso cui il genetista ferrarese descrive questa avventura; ma anche aneddoti personali sugli anni di studi e convegni; litigiosi post-dottorandi e dispute tra discipline che si contendono la palma d’oro nell’universo scientifico.

Agli aspetti più prettamente scientifici e accademici, si affiancano quelli umani; entrambi descritti da Barbujani come fondamentali nella sua ricerca, allo stesso modo in cui si scontrano due etiche del lavoro così diverse e così necessarie come la statistica di Sokal e l’intuizione di Luca Cavalli Sforza, due pesi massimi del settore. A partire dalla bellissima Aleppo, città siriana oggi devastata dai bombardamenti, esplorata dallo scienziato, in cui si mescolano variopinti tipi umani, creando un gigantesco e colorato “appartamento spagnolo” – i tecnici addetti al cambio dello spettrofotometro, i ragazzini curiosi per le strade polverose della città, bonari farmacisti e studiosi riservati – in cui si muovono Barbujani e il collega Fabio, tra sentimenti altalenanti, rischio di essere scoperti e senso del tragicomico latente e manifesto.
“Lascia stare i santi” è di fatto il racconto di tanti viaggi; ora scientifici, ora spiritosi, ora malinconici. Comincia e si sviluppa con il viaggio dello studioso verso la Siria, e termina con una poetica riflessione finale sugli spostamenti umani attraverso le parole di Gad Lerner, che racconta lo spaesamento del viaggiatore occidentale percorrendo il viale dei Martiri di Beirut, a confronto con quelle dell’imperatore Giuliano alle prese con il culto cristiano dei morti; senso del viaggio, ancora una volta colla e forbici del mondo, che unisce e divide, svela il mistero per proporne di nuovi, a fronte di una nuova (probabile) identità svelata e di tutto ciò che sta tra un corpo e un nome.

“Ma signori miei, cosa è un nome?”
(La giara, Luigi Pirandello)

tag:

Giorgia Pizzirani


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it