Skip to main content

L’eco della tragedia aerea sulle Alpi francesi non si smorza. Nei giorni immediatamente successivi al dramma, giornali e telegiornali ci hanno informato in maniera puntuale e direi quasi ossessiva con continui aggiornamenti sul velivolo precipitato con 150 persone a bordo, tutte decedute in seguito all’impatto. All’inizio la cosa aveva una logica: l’accaduto sollecitava l’umana partecipazione al dolore; al contempo appariva inesplicabile e, come ogni mistero, sollecitava l’interesse e la curiosità. Ma poi quello che si poteva intuire fin dal principio ha trovato conferma: la causa è stata inequivocabilmente ricondotta alla follia suicida del copilota. Questo, come prevedibile, ha alimentato l’ormai consueta spettacolarizzazione dell’informazione, condita anche da dettagli inutili.
Ma a un certo punto si poteva supporre che i riflettore, gradualmente, spostassero il loro cono di luce su altri scenari. Invece no. La notizia resta al centro delle cronache. E questo appare meno facilmente comprensibile.

Credo che la ragione sia in qualche modo riconducibile a ciò che un vecchio maestro di sociologia, Pietro Bellasi, riassumeva nell’espressione “come se”. Il “come se” risponde al bisogno degli individui di dominare ciò che sfugge al loro razionale controllo. Il rito ne è un tipico esempio. Compio (meglio: ripeto) determinati atti o gesti che in passato hanno propiziato un successo (il colloquio di lavoro o l’esame superato, la vittoria della mia squadra del cuore…) come se da essi dipendesse l’esito atteso. In questo modo mi illudo di padroneggiare la sorte.

Nel caso specifico, dopo la razionale volontà di comprendere le ragioni di una tragedia in cui potenzialmente potrebbe incorrere chiunque utilizzi l’aereo, è subentrata l’ansia incontrollabile. La schematica e semplificata sequenza iniziale dai fatti è questa: precipita un velivolo; tutti morti i passeggeri; incomprensibili le ragioni dell’incidente; legittimo interrogarsi e cercare spiegazioni. Accanto all’interesse per il caso specifico, scatta la naturale pulsione all’autodifesa, l’istinto di sopravvivenza. Voglio sapere e capire anche per tutelare me stesso e regolarmi la prossima volta che salirò su un aereo: qual è stato il problema? Se lo so, posso tentare di minimizzare il rischio (banalizzando: posso evitare quella certa compagnia perché inaffidabile, non compiere quella rotta perché pericolosa… eccetera).

Tutto questo, però, è messo in crisi: la causa emersa è la follia. E ciò che è irrazionale è incontrollabile. Ecco il panico. Come posso difendermi, allora? Da qui la morbosa attenzione che ancora viene rivolta dai mezzi di informazione e dall’opinione pubblica all’accaduto. “Come se” si potesse individuare una ragione: come se si attendesse l’emergere di un presupposto che fornisca una spiegazione razionale a un atto irrazionale, come se la follia potesse in qualche modo essere compresa e dunque resa dominabile. L’idea che il pilota si sia ucciso, trascinando deliberatamente con sé decine di persone innocenti, per assurgere a una notorietà mondiale negata dalla vita e acquisita attraverso la morte, è una spiegazione agghiacciante ma plausibile. Però la logica che la presiede anziché placare la nostra ansia la alimenta.

Gli antichi definivano “fato” l’imprevisto, lo ascrivevano al capriccio degli dei e accettavano il destino dandosene pace. Per noi contemporanei scientisti iper-razionali è più difficile riconoscere di essere in balia degli eventi, senza un reale controllo sulle nostre vite. Così ci dibattiamo continuamente alla ricerca di cause che spieghino gli effetti, come se questo ci rendesse padroni dell’esistenza. Che resta invece un mistero inaccessibile. E incontrollabile.

tag:

Sergio Gessi

Sergio Gessi (direttore responsabile), tentato dalla carriera in magistratura, ha optato per giornalismo e insegnamento (ora Etica della comunicazione a Unife): spara comunque giudizi, ma non sentenzia… A 7 anni già si industriava con la sua Olivetti, da allora non ha più smesso. Professionista dal ’93, ha scritto e diretto troppo: forse ha stancato, ma non è stanco! Ha fondato Ferraraitalia e Siti, quotidiano online dell’Associazione beni italiani patrimonio mondiale Unesco. Con incipiente senile nostalgia ricorda, fra gli altri, Ferrara & Ferrara, lo Spallino, Cambiare, l’Unità, il manifesto, Avvenimenti, la Nuova Venezia, la Cronaca di Verona, Portici, Econerre, Italia 7, Gambero Rosso, Luci della città e tutti i compagni di strada

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it