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Ferrara film corto festival

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L’esodo istriano, conosciuto anche come esodo giuliano-dalmata, è un evento storico consistito nella diaspora forzata della maggioranza dei cittadini di etnia e di lingua italiana, che si verificò a partire dalla seconda guerra mondiale e negli anni successivi dai territori occupati dall’Armata popolare del maresciallo Josip Broz Tito e in seguito annessi dalla Jugoslavia. Il fenomeno, susseguente gli eccidi noti come massacri delle foibe, fu particolarmente rilevante in Istria, dove si svuotarono intere città, ma coinvolse anche i territori ceduti dall’Italia con il trattato di Parigi e, in misura minore, alcune aree litoranee della Dalmazia occupate dall’Italia nel corso della guerra.
L’Istria era divenuta parte del Regno d’Italia a seguito della vittoria nella prima guerra mondiale, con il trattato di Saint-Germain-en-Laye (1919) e il trattato di Rapallo (1920). In totale, dopo la firma del trattato di Parigi del 10 febbraio 1947 e del memorandum di Londra del 1954, furono circa 250.000 le persone che abbandonarono tutti i loro beni e preferirono andare in Italia.

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Piccola esule

Il Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano, in occasione della Giornata del ricordo del 10 febbraio 2007 – citando autorevoli storici – ha così descritto le caratteristiche dell’esodo: “Nello scatenarsi della prima ondata di cieca violenza in quelle terre, nell’autunno del 1943, si intrecciarono giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento della presenza italiana da quella che era, e cessò di essere, la Venezia Giulia. Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una “pulizia etnica”.

Per dovere di informazione segnaliamo che alcuni storici negano che l’esodo e le persecuzioni siano state la conseguenza di una sistematica pulizia etnica attuata dagli jugoslavi ai danni della comunità italiana, ma, l’intento era quello di catturare, perseguire e punire i responsabili e i complici dei crimini di guerra.

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Lapide posta a Pola in ricordo della strage di Vergarola (photo by WM)

Nel giugno 1945 Gorizia, Trieste e Pola furono tolte dal controllo delle forze di Tito e poste sotto il controllo delle truppe anglo-americane che avevano varcato l’Isonzo il 3 maggio. Si concluse così la cosiddetta crisi di Trieste; Fiume, invece, restò definitivamente sotto il controllo jugoslavo. Ciò spinse gran parte della popolazione di lingua italiana a lasciare la regione nell’immediato dopoguerra. In questa situazione si inserisce la strage della spiaggia di Vergarola (18 agosto 1946), di cui ancora, a distanza di tanti anni, non si conoscono mandanti e responsabili. L’esodo di massa iniziò quando apparve chiaro che le speranze del ritorno di queste città all’Italia erano nulle: in questa occasione l’abbandono si svolse in modo ordinato, sotto gli occhi delle autorità anglo-americane e di alcuni rappresentanti del governo italiano. L’esodo era stato organizzato già prima della strage di Vergarola, subito dopo che, nel maggio del 1946, trapelarono notizie in merito all’orientamento delle grandi potenze riunite a Parigi a favore della cosiddetta “linea francese”, che prevedeva l’assegnazione di Pola alla Jugoslavia. Il 3 luglio 1946 si costituì il “Comitato Esodo di Pola”, punto di riferimento per gli esuli, che rappresentavano tutte le classi sociali, dai professionisti agli impiegati pubblici ai molti artigiani e operai dell’industria.

Il 10 febbraio 1947 il trattato di Parigi assegnò l’Istria, Fiume e Zara alla Jugoslavia quindi s’intensificò, coinvolgendo anche le zone precedentemente salvaguardate dalla linea Morgan, l’esodo di massa già iniziato. Quello stesso giorno, per protesta, Maria Pasquinelli uccise R. W. de Winton, il comandante della guarnigione britannica di Pola. Numerosi profughi si stabilirono oltre il nuovo confine, nel territorio rimasto italiano, soprattutto a Trieste e nel nord-est. Altri decisero di seguire le tradizionali rotte dell’emigrazione transoceanica, scegliendo come meta finale il Canada (Vancouver) e gli Stati Uniti d’America, che, con l’emendamento al Displaced eersons act del 1948 riaprirono, a partire dal 1950, le porte all’emigrazione riservando 2.000 posti ai cittadini del Venezia-Giulia.

Dopo aver stazionato per tempi più o meno lunghi in uno dei 109 campi profughi allestiti dal governo italiano, la maggior parte delle persone che se ne andarono si sistemò nelle varie parti d’Italia, mentre circa 80.000 emigrarono in altre nazioni. Come sempre avviene in queste situazioni, l’economia dell’Istria e degli altri territori coinvolti risentì per numerosi anni del contraccolpo causato dall’esodo. Il trattato di Osimo, firmato il 10 novembre 1975, sancì lo stato di fatto di separazione territoriale venutosi a creare nel Territorio Libero di Trieste a seguito del Memorandum di Londra, rendendo definitive le frontiere fra l’Italia e la Jugoslavia.

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Il Piroscafo “Toscana” nel porto di Pola

“1947” è il brano che Sergio Endrigo ha dedicato a Pola, sua città natale [ascolta]. Si tratta di un brano struggente, dove tra nostalgia e rimpianto il cantautore istriano parla dell’esodo da Pola, compiuto insieme alla sua famiglia: “Da quella volta non l’ho rivista più, cosa sarà della mia città, ho visto il mondo e mi domando se sarei lo stesso se fossi ancora là… come vorrei essere un albero che sa, dove nasce e dove morirà”.

Citiamo, inoltre, quanto dichiarato dal regista istriano Luka Krizanac, durante una nostra recente intervista: “Per quanto riguarda le ragioni storiche dell’Istria cito una cosa che mi diceva mia nonna – sono nata austriaca, mi sono sposata italiana, sono andata in pensione come jugoslava, e morirò croata…”. E stiamo parlando soltanto del ventesimo secolo.

Il brano intonato: Sergio Endrigo, 1947 [ascolta]

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William Molducci

È nato a Forlì, da oltre 25 anni si occupa di giornalismo, musica e cinema. Il suo film “Change” ha vinto il Gabbiano d’argento al Film Festival di Bellaria nel 1986. Le sue opere sono state selezionate in oltre 50 festival in tutto il mondo, tra cui il Torino Film Festival e PS 122 Festival New York. Ha fatto parte delle giurie dei premi internazionali di computer graphic: Pixel Art Expò di Roma e Immaginando di Grosseto e delle selezioni dei cortometraggi per il Sedicicorto International Film Festival di Forlì. Scrive sul Blog “Contatto Diretto” e sulla rivista americana “L’italo-Americano”.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it