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Eccomi qui di nuovo a scuola, per l’ultimo giorno di servizio. Mi trattengo per l’intera giornata: ci sono le prove orali degli esami preliminari per i privatisti; se supereranno questa fase affronteranno in settembre il loro esame di Stato. Non so valutare che giornata sia questa, certo sarà lunga come innumerevoli altre che ho trascorso qui. Durante l’inverno arrivavo con la prima luce e riprendevo la macchina quando si era fatto di nuovo buio.
Le candidate della mia quinta, tre, hanno volti nuovi per me. Sono giovani, ma hanno più dei diciannove anni abituali degli studenti in corso. Vado insomma a parlare di Letteratura Italiana con delle adulte sconosciute e non so quale sarà la chiave del nostro dialogare. Si fa presto a dire che stamattina c’è la verifica orale di Tizia e Caia, ma io che sono l’esaminatrice mi sento addosso più dubbi che mai sulla conduzione di questo orale.
Partirei da un testo. Ho sempre proceduto così nelle verifiche curricolari, in quanto al testo si riconosce la centralità nel nostro insegnamento e io ho una profonda convinzione sulla validità di questa scelta didattica. Sto dalla parte del lettore e dialogo con l’opera.
Gli studenti sono altri lettori, che potenziano i loro strumenti di lettura e i metodi. Ascolto ciò che sanno di un testo, chiedo che ne rielaborino i contenuti, che lo accostino ad altri testi, che vi ritrovino gli elementi culturali del contesto, che esprimano un parere motivato su ciò che hanno letto.
Mi trovo in sala insegnanti e solo tra un quarto d’ora avranno inizio le prove. Sono sola, se si escludono i libri e ‘le voci dei libri‘, che restano chiusi malamente nelle poche vetrine della parete di fondo. Ogni scaffale appartiene a un dipartimento di materia, perciò escono voci diverse e confuse le une sulle altre, come se molti solisti stessero scaldando la voce tutti insieme su note diverse.
Le voci dei libri è un libro delicato e forte al tempo stesso che ho letto pochi anni fa. E’ uscito nel 2013, l’autore è il mio professore di Letteratura Italiana all’Università di Bologna, il grande Ezio Raimondi: uno che durante la lezione ci assegnava quattro o cinque saggi da leggere per la volta successiva e, quando sembrava che la lista fosse finita, la sua voce tonante trovava fiato per dire: “Si leggano anche….”.
Uno che fu soprannominato da studenti di un corso diverso dal mio, non ricordo se più grandi di me, ‘il libridinoso‘. Correva la voce che leggesse moltissimo e in ogni circostanza, che possedesse una tecnica particolare per divorare i libri in pochissimo tempo.
Io, che seguivo appassionatamente le sue lezioni alzandomi all’alba per arrivare presto in facoltà e trovare un posto in prima fila, lo vidi spacchettare un libro all’inizio di una conferenza pomeridiana su Boccaccio e lo tenni d’occhio, per verificare come leggeva. Ricordo che girava le pagine come sfogliandole per contarle e che in pochi minuti richiuse il testo. Volli credere che l’avesse letto compiutamente, come voleva la diceria tra noi studenti.
Certo per me Raimondi ha rappresentato un figura mitica, ‘un maestro‘. Anche ora che riapro il suo libro mi commuovo, come mi sono commossa nel settembre 2018 quando al Festivaletteratura a Mantova noi suoi ex studenti abbiamo riempito il teatro Bibiena per andarlo ad ascoltare e applaudire. Di questo momento conservo un ricordo struggente.
Apro a caso e leggo in alto nella pagina una affermazione che ho segnato: “Ad attrarmi in Bachtin, prima ancora di conoscerlo, e a catturarmi quando lo conobbi, era l’idea della parola che vive nel vedersi ripetuta in un’altra, era questo gioco dialogico delle voci, la polifonia appunto, che mi si mostrava come principio vitale della letteratura e, a un tempo, dell’esistenza umana”. Qualche riga sotto ho segnato: “Per chi pensava alla letteratura come un luogo nel quale si conosce se stessi e gli altri, meglio che con altri strumenti, Bachtin diventava un maestro ideale, un amico, un venerando, un sapiente”.
Il lettore esperto Raimondi si rapporta a un altro lettore esperto, a Bachtin, e ne sente la voce potente. Le loro voci si alzano, ora distinte l’una dall’altra, ora sommando le proprie intensità. La polifonia che ne consegue è la gazzarra delle reazioni che hanno tutti gli infiniti lettori di uno stesso testo, l’accavallarsi delle opinioni tra loro uguali oppure diverse, talvolta opposte.
Ma la polifonia è anche dentro il testo letterario, dove i personaggi di carta, come li chiamava Pirandello, hanno la propria visione sul mondo e la esprimono come suonando le note di un loro spartito; la polifonia diviene struttura profonda dell’opera nei romanzi di Dostoevskij, come Bachtin mi guidò a riconoscere in un saggio corposo, che lessi l’anno in cui il corso monografico tenuto da Raimondi era su Machiavelli. Non fu una lettura facile.
Andò meglio con il saggio sulle novelle del Decameron e sulla carnevalizzazione in letteratura, in cui Bachtin riconosce un profondo legame tra letteratura e antropologia, tra i riti del carnevale e il nostro complesso rapporto con l’alterità, col gioco delle identità ‘altre’ che assumiamo temporaneamente quando indossiamo il costume da Arlecchino, da Regina o da Cardinale. Ci ho riflettuto ogni volta che mi sono travestita per le feste di carnevale; da quando ho imparato a riconoscere il peso della casualità nelle nostre vite mi vesto volentieri da Carta da gioco.
Bachtin e altri nove autori furono per Raimondi veri compagni nel suo percorso di lettore e i loro libri divennero per lui veri libri dell’amicizia. Io li ho chiamati in questi ultimi vent’anni ‘libri galeotti’ e le mie amate colleghe con me li hanno cercati nel vissuto di lettura dei tanti autori che abbiamo invitato nella nostra scuola, perché dialogassero con gli studenti.
Come farò a imporre tutto questo alle mie candidate di là, che magari stanno ripassando la biografia di Giovanni Pascoli o di Beppe Fenoglio? Come proporre loro un testo che mi consenta di sentire chiara e forte la ‘loro voce’? Ho detto bene: la chiave sta nel ‘come’ proporrò loro di discutere insieme, più del ‘cosa’ chiederò. Senza domande nette, ma con il piccolo mondo del testo a disposizione. Offrendo il mio punto di vista, dopo avere lasciato spazio al loro.
Si preparano da mesi a questo esame, spero che piaccia loro sentirsi consultate sul programma che hanno preparato per questo momento. E’ ora. Andiamo a incontrare un testo vero, un ‘libro vero’. Raimondi lo definisce così: “Il libro vero, quello con cui si dialoga più volte, al quale si ritorna, non conferma delle verità, ne offre di nuove, purché ci sia da parte nostra fedeltà e non conformismo, e resti viva la curiosità, il desiderio di ascoltare qualcuno che parla del nostro presente, al momento giusto. Perché il libro vero parla sempre al momento giusto. Lo inventa lui, il momento giusto: con il colore della parola, con la singolarità della battuta, con il piacere della scrittura”.
Le citazioni qui contenute provengono da: Ezio Raimondi, Le voci dei libri, Bologna, Il Mulino, 2013
Per leggere gli altri articoli e indizi letterari di Roberta Barbieri nella sua rubrica Vite di carta, clicca [Qui]
Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.
Se già frequentate queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.
Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani. Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito. Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.
Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta. Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .
Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line, le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.
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