“Una vergogna equiparare comunismo e nazi-fascismo” secondo il professor Gianni Fresu
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La risoluzione votata dal Parlamento Europeo, la quale equipara il nazi-fascismo al comunismo, sta facendo parecchio discutere, soprattutto perché, tra i favorevoli, ci sono stati molti voti di europarlamentari afferenti al Partito Democratico. Abbiamo chiesto di fare chiarezza su questa diatriba al professor Gianni Fresu, profondo conoscitore del comunismo e della sua storia, professore di storia nell’Università federale di Uberlândia in Brasile e presidente dell’International Gramsci Society Brasil, il quale ha pubblicato un libro tal titolo “Antonio Gramsci. L’uomo filosofo” (Aipsa Edizioni) qualche settimana fa.
Cosa ne pensa di questa risoluzione del Parlamento Europeo?
Penso sia un vergognoso e irresponsabile atto di revisionismo, reso ancora più grave dall’essere il frutto di un mercanteggiamento con i Paesi del blocco orientale (Polonia e Ungheria), non certo distintisi in questi anni per il rispetto delle pratiche democratiche. Il fascismo nasce come negazione storica del comunismo, tra le trincee e le fortificazioni delle classi dirigenti europee, abbarbicate nella disperata difesa dei vecchi equilibri passivi tra le classi. Senza il contributo dei comunisti, il nazifascismo mai e poi mai sarebbe stato sconfitto. Presentare il fascismo e il comunismo come fratelli gemelli, nati dalla stessa degenerazione genetica, ha una sola finalità logica: assolvere il liberalismo e le classi dirigenti europee dalle loro storiche gravissime responsabilità rispetto alla nascita e all’avvento dei movimenti di Mussolini e Hitler.
Cosa hanno di diverso comunismo e nazifascismo?
Il fascismo rappresenta un grande buco nero per la civiltà europea, nel nostro caso, la contraddizione nazionale rispetto alla quale i liberali italiani non riescono a nascondere la propria lunghissima coda di paglia. Per questa ragione Croce definì il fascismo una crisi morale europea senza alcuna radice sociale (borghesia) o politica (liberalismo) riconducibile al suo album di famiglia e, oggi, i suoi discendenti, anziché studiare le responsabilità endogene del collasso liberale, preferiscono considerarlo una conseguenza del fanatismo totalitario bolscevico, non il prodotto storico del colonialismo e del suo portato ideologico autoritario e razzista di dominio assoluto di una civiltà sulle altre. Il movimento comunista nasce in contraddizione con i paradigmi della civilizzazione occidentale e le pretese dell’Imperialismo. Se il fascismo è una forma nuova ed esasperata di nazionalismo, sorto in un contesto segnato dalla crisi di egemonia delle vecchie classi dirigenti liberali e di radicalizzazione della lotta sociale per l’irrompere delle masse popolari mobilitate nella Prima guerra mondiale, il comunismo si costruisce attorno a un principio di universalità della dignità umana in contrapposizione a ogni ideologia nazionalista e razzista.
Quindi l’universalità come differenza principale?
Il principio “proletari di tutti i Paesi unitevi” è concettualmente e praticamente incompatibile con il fascismo. Il comunismo è un movimento che nasce attorno all’esigenza dell’emancipazione umana, ossia nasce dalla necessità di risolvere le contraddizioni economico-sociali che limitano l’effettivo esercizio delle libertà formali. Il fascismo, per essere compreso, non può essere espulso dal terreno reale della storia, non fu la “banalità del male” né una parentesi irrazionale, un metodo o il frutto di una psicosi collettiva che travolse le difese morali della civiltà europea sorto al di fuori della sua cultura. Il fascismo fu un movimento sociale ed un’ideologia storicamente determinata, il risultato di specifiche condizioni sociali e culturali funzionali a determinate esigenze di classe. Al di là delle situazioni eccezionali che determinarono la sua apparizione, nel contesto che accompagna e segue la Prima guerra mondiale, il fascismo rappresentò il tentativo di instaurare l’ideologia tradizionale del colonialismo e dell’imperialismo dentro gli stessi confini dell’Europa. Uno dei suoi concetti chiave è il diritto allo “spazio vitale”, ma tale principio non è una invenzione di Corradini, Mussolini e Hitler. Fa parte organicamente della cultura politica delle potenze occidentali durante l’epopea dell’Imperialismo. Più in generale, è parte integrante dell’ideologia coloniale, che considerava lecito dominare, sfruttare e anche eliminare le “civiltà inferiori” o “primitive” che si frapponevano al desiderio di trasformare tutto il mondo in funzione strumentale dello sviluppo europeo.
La questione sulle razze inferiori e superiori in pratica.
Il razzismo e la scientifica disumanizzazione degli “incivili” sono tipici del colonialismo, che si servì delle teorie sull’esistenza di una gerarchia tra le razze per legittimare il sistema criminale di dominio degli Occidentali sui popoli coloniali. Del resto, come Domenico Losurdo non mancò di sottolineare ripetutamente, Hitler utilizzò l’esempio della “Conquista del West” per legittimare la sua idea di “spazio vitale”, ispirandosi esattamente a quella concezione di “avanzata della civiltà”, quando immaginò di riservare ai popoli slavi la stessa sorte toccata ai popoli dei nativi americani sterminati dai coloni nordamericani. Dunque, se proprio vogliamo trovare un elemento di fratellanza ideologica del fascismo dobbiamo guardare alla storia dell’Occidente, non certo al comunismo. Il fascismo è il prodotto delle contraddizioni oggettive e soggettive delle società liberali in crisi, ma al tempo stesso è uno sviluppo politico e culturale della brutale civilizzazione che ha storicamente sottomesso e schiavizzato i popoli non europei. Non riconoscere questi legami organici rifiutandosi di storicizzare premesse e cause razionali di questo fenomeno, inevitabilmente porta all’utilizzo delle categorie antistoriche della ‘teratologia’, che pretendono di rappresentale la realtà come risultato inspiegabile della mostruosità o della deformità.
Due anni fa c’è stato il centenario della rivoluzione Russa. Quell’esperienza come dovrebbe essere letta storicamente? In maniera positiva o negativa?
Senza il contributo della Rivoluzione d’Ottobre non si spiegano nemmeno l’affermazione dei diritti sociali e l’estensione dei diritti di cittadinanza alle donne, fino al 1917 escluse dal concetto di universalità occidentale. Oltre a questo, la Rivoluzione d’Ottobre investì da subito e diede un vigoroso impulso alle lotte di liberazione nazionale dei popoli assoggettati al dominio occidentale, dando luogo alla decolonizzazione più diffusa e profonda nella storia dell’umanità.
Spesso i detrattori del comunismo citano i milioni di morti causati da Stalin nell’est Europa e da Mao in Cina, cosa puoi dire a tal proposito?
Oramai è diventato un luogo comune citare la discutibile contabilità dei lutti fatta (all’ingrosso) nel famigerato “Libro nero del comunismo”, nel quale vengono compresi anche i morti per guerre e carestie in gran parte dei casi indotte dall’esterno. Sarebbe ora, credo, di scrivere pure un “Libro nero del liberalismo”. Domenico Losurdo ha fatto nei decenni questo lavoro attraverso una puntuale critica storica e filosofica, manca però un banale libro in cifre, di semplice ragioneria politica del capitalismo. Se, infatti, usassimo gli stessi parametri adottati da Stéphane Courtois &Co., quante centinaia di milioni di morti dovremmo imputare all’espansione mondiale delle nostre relazioni sociali borghesi? Proviamo solo a pensare a questo: le conseguenze storiche dell’accumulazione originale del capitale sulle sterminate masse rurali cacciate dalle campagne trasformate in moltitudini mendicanti nelle grandi periferie urbane; lo sterminio dei popoli nativi nel Nord e Sud America, Asia e Oceania; i morti dovuti alla miseria e allo sfruttamento coloniale occidentale in Africa, schiavismo compreso; le infinite guerre imperialiste condotte negli ultimi due secoli in ogni angolo del pianeta per rapinare le risorse dei “popoli incivili”. Un’ecatombe, ben occultata nei libri o nelle trattazioni divulgative sulla storia dell’umanità. Anche questo conferma un punto già colto da Marx e Engels nella metà dell’800: è proprio nel terreno delle ideologie il vero successo della società borghese, così l’aver trasformato il mondo in un grande cimitero è presentato come affermazione dei principi di libertà e civiltà sulla barbarie. Il paradosso storico è che, pur essendo maestri di ideologia, i grandi e piccoli teorici del liberalismo fanno della critica alle ideologie la propria battaglia più caratterizzante. La conferma della loro capacità egemonica è che la maggioranza delle persone, dotata anche di una buona cultura, ci crede e la riproduce più o meno consapevolmente.
Nell’est Europa esiste “l’apologia di comunismo”. Come puoi spiegare questa scelta?
Si spiega con la logica della Restaurazione successiva a una guerra che il socialismo ha oggettivamente perso. Uso una citazione per spiegarmi meglio: “L’idra della rivoluzione è già stata annientata nei suoi fautori e in buona parte dei suoi prodotti; ma bisogna ancora soffocarne la semenza, nel timore che possa riprodursi sotto altre forme. I troni legittimi sono stati ristabiliti: ora mi dispongo a ricollocare sul trono anche la scienza legittima, quella che si pone al servizio del supremo Signore, la verità della quale è attestata da tutto l’universo” (C. L. Von Haller, La Restaurazione della scienza politica, (a cura di) M. Sancipriano Utet, Torino, 1963, pag. 75). In questo modo uno dei massimi teorici della Restaurazione, Karl Ludwig Von Haller, apriva nel 1816 la sua opera più celebre con un intento dichiarato: sconfiggere, anche sul piano teorico, le dottrine rivoluzionarie, già battute sul piano politico dalla riaffermazione dei principi dinastici in Europa. Sebbene travolte, egli intravvedeva il rischio di una loro possibile riemersione e il diffondersi di una nuova fiammata di sussulti insurrezionali. Dopo il 1815, la resistenza filosofica, tesa a comprendere razionalmente le ragioni e le eredità positive della Rivoluzione francese, svolse un ruolo che travalicava la lotta politica immediata. Lo stesso discorso vale oggi rispetto agli avvenimenti del 1917 presentati come l’origine di ogni male e disastro, generatori dei lutti di un secolo insanguinato, e responsabile di ogni fanatismo ideologico, fascismo compreso.
Lo stalinismo è diverso dal comunismo?
Lo “stalinismo”, ammesso che tale definizione sia corretta, fa parte della storia del comunismo e, come qualsiasi fenomeno, deve essere storicizzato attraverso categorie analitiche razionali e gli strumenti scientifici della scienza politica, dell’economia, della filosofia e, ovviamente, della storia. La tradizionale interpretazione che fa affidamento sulla teoria del “culto della personalità” difetta da tutti questi punti di vista.
Cosa direbbe Gramsci, padre del comunismo in Italia, di questa risoluzione, soprattutto guardando al fatto che è stata votata anche da europarlamentari del Pd, partito che dovrebbe essere un discendente del Pci?
Gramsci era un polemista fenomenale, credo che avrebbe stigmatizzato con veemenza, e insieme ironia, questo autentico cortocircuito teorico considerandolo assai rappresentativo della profonda involuzione culturale e politica caratteristica di questo periodo storico
Il comunismo, ai giorni nostri, ha ancora ragione di esistere?
“L’Internationale sera le genre humain”. In questo ritornello, che scandiva e concludeva il più bell’inno della storia, trovava sintesi l’aspirazione alla “futura umanità” (come diceva la versione italiana) contrapposta al pericolo incipiente della distruzione della civiltà umana. Un bivio storico testimoniato da secoli di colonialismo genocida dell’Occidente, drammaticamente oggettivatosi in una fase storica insanguinata dalle inutili stragi dei nazionalismi in guerra e dal baratro reazionario dell’ideologia fascista. Nonostante le stolte equiparazioni, oggi tanto di moda, sebbene tutto dica il contrario, personalmente credo ancora che l’alternativa sia tra “socialismo e barbarie”. Non è eccesso per idealismo, né il frutto di un ingenuo ottimismo, è l’esatto contrario.
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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani
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