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C’è un grande polverone intorno alla scuola, e i polveroni bruciano gli occhi, impediscono di vedere. Ci sono anche tanti interessi, del governo, dei sindacati, delle varie corporazioni. Mai quelli giusti.
Il presidente del consiglio Renzi ha pure inviato il suo video messaggio al Paese con una semantica più potente di ogni parola, di ogni disegno di legge. Una lavagnetta d’altri tempi, con le righe bianche, il gesso e la cimosa. Come dire state tranquilli, la scuola resterà quella di sempre, forse una novità: i gessetti colorati, spesa pubblica permettendo. La cultura anziché “umanistica”, sarà “umanista”, come ha scritto al punto due della sua lavagna. Ignoranza, una svista, una scelta studiata? Chi lo sa? Ma il brivido dell’incompetenza e dell’improvvisazione di chi ti sta parlando attraversa la schiena. Messaggio rassicurante? Per nulla.
Ancora una volta il vizio italiano, tutto cambia, per restare come prima.
Sono in cattiva fede? Allora qualcuno mi faccia la cortesia di spiegarmi come sia possibile disegnare una scuola moderna lasciando inalterato il vecchio, altro vizio squisitamente italico. Come si possa pensare di innescare una riforma, senza porre mano all’impianto dell’unica vera riforma che il nostro sistema formativo abbia mai conosciuto, che, piaccia o no, resta ancora quella del 1923, di Giovanni Gentile, quella che a suo tempo fu definita come la più fascista delle riforme.
Intanto sarebbe necessario superare l’idea della scuola come un agglomerato di classi dove si va per ascoltare la lezione e per imparare. Pensare la scuola invece come ‘ambiente di apprendimento’ è un’altra cosa. Se alla classe si sostituisce il concetto di ‘ambiente di apprendimento’ chiunque comprende che si tratta di una rivoluzione, di un’altra organizzazione rispetto a quella che fino ad oggi ha nutrito l’immaginario collettivo. Significa che ogni idea di riforma non può che discendere dalla necessità in premessa di progettare nuovi ambienti di apprendimento, capaci di meglio supportare la formazione e la crescita delle generazioni del 21esimo secolo.
Il disegno di legge licenziato dalla 7a Commissione della Camera affastella dichiarazioni su dichiarazioni senza affrontare questo che è il tema centrale, da cui dovrebbe discendere l’organizzazione del sistema scolastico, una nuova professionalità docente, nuova anche nell’orario di lavoro, oltre che il ruolo della dirigenza scolastica e dell’autonomia sancita dalla legge Bassanini.
Sarebbe come occuparsi delle corsie d’ospedale anziché dell’ambiente e delle professionalità necessarie a sanare le persone.
L’articolo 1, oggetto e finalità della legge, altro non è che un generico elenco di buone intenzioni, le quali non avrebbero bisogno di vuote ridondanze, perché le norme già ci sono a partire dalla nostra Costituzione, per finire con il Dpr n. 275 del ’99 sull’autonomia scolastica. Ciò che manca sono le risorse finanziare e umane, una cultura della scuola all’altezza dei tempi. E poi ci sono le leggi da abrogare come la legge Gelmini sulla valutazione.
Usare termini come ‘apertura della scuola al territorio’ o è non riflettere sul peso delle parole o è crassa ignoranza, perché è dai decreti delegati del 1974 che la scuola è aperta al territorio, ma nel territorio non si è mai integrata. ‘Integrazione scuola territorio’ è tutta un’altra cosa, ma evidentemente difficile da concepire per questi improvvisati legislatori, perché vorrebbe dire estendere il concetto di ambiente di apprendimento oltre le cattedre e le pareti scolastiche, perché vorrebbe dire affrontare il tema complesso di tutte le forme di apprendimento quelle che ancora denominiamo come ‘formale’, ‘informale’, ‘non formale’, con bizantinismi linguistici degni solo dei gesuiti.
Penso al rapporto tra saperi e competenze, penso alla necessità di dotarsi di strumenti di misurazione e di valutazione che forniscano importanti dati sul funzionamento del nostro sistema scolastico e dei suoi istituti, penso alla necessità di personalizzare i percorsi di apprendimento, anziché inventarsi i bisogni educativi speciali, i così detti Bes. Potrei aggiungere altre importanti questioni come il tema dell’autonomia, delle certificazioni, dei debiti e dei crediti, l’etica della rendicontazione sociale e ancora altro. Tutti temi certamente citati nella legge del governo, ma anche allegramente evitati, per cui non si comprende come sia possibile pretendere di riformare il nostro sistema scolastico, se prima non si parte da questi e da questi si faccia discendere un disegno di riforma. Per non parlare delle classi, quelle che ancora catalogano apprendimenti e alunni per età anagrafica, sempre che non si sia bocciati. L’unica concessione della legge è alla possibilità di organizzare la didattica per gruppi-classe e per laboratori. Bene ai laboratori, non ai gruppi-classe. Male perché tutta la didattica della scuola dovrebbe essere laboratoriale, nel suo significato etimologico. Ma per farlo occorre un’altra organizzazione della scuola, altri spazi, un’altra cultura che non è quella della cattedra, ma su tutto questo la legge tace.
Ci si ostina con il Piano dell’offerta formativa, quando sarebbe ora che le scuole firmassero Patti formativi con i singoli alunni e le loro famiglie, oltre che con il territorio, e ne rendessero pubblica ragione.
L’elenco sarebbe lungo. La sintesi è che ancora manca la cultura nuova di cui il nostro sistema di istruzione, per essere un sistema formativo permanente avrebbe bisogno, di conseguenza mancano le parole, manca un linguaggio all’altezza del compito che si intende intraprendere.
Il problema vero e reale, come ha sottolineato Edgar Morin, è che oggi siamo di fronte ad una crisi radicale dell’educazione e dell’insegnamento. Si tratta di un altro grande problema contemporaneo, le nostre scuole, salvo rare, quanto lodevoli eccezioni, hanno perso respiro e slancio.
E per favore non mescoliamo l’ennesima sanatoria del precariato con la riforma della scuola, non c’è strada peggiore di questa per gettare in una precarietà permanente il nostro sistema di istruzione a danno dei giovani e di tutto il Paese.
Siccome di questi tempi a criticare si gufa e non si conclude niente, lasciatemi fare per una volta il legislatore, se avete voglia e tempo di sapere come questa legge l’avrei scritta andate a leggere qui. [vedi]

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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