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di Giulio Borghi

Dopo la nota passione di Bill Clinton per le stagiste è toccato a un altro democratico, Joe Biden (classe 1942 !), essere accusato da una donna, Tara Reade , che ha denunciato per molestie sessuale l’ex senatore del Delaware (poi vicepresidente alla Casa Bianca con Obama e oggi candidato democratico alle elezioni di novembre). La Reade aveva lavorato come assistente nel suo staff dal 1992 al 1993 e si è rivolta allo stesso studio legale che ha assistito le vittime del famigerato produttore americano Harvey Weinstein.

La Reade è una delle otto (otto!) donne che nel 2019 si sono fatte avanti sostenendo di essere state baciate, toccate o abbracciate dal senatore in un modo che le aveva fatte sentire a disagio. In una testimonianza precisa e dettagliata, la Reade sostiene di essere stata aggredita nei corridoi del Congresso e che poi Biden l’avrebbe spinta contro un muro infilandole la mano sotto la gonna. “Ricordo che è successo tutto molto velocemente”, ha detto durante un’intervista. “Le sue mani erano su di me e sotto i miei vestiti”.

Joe Biden ovviamente ha smentito tutto .Le accuse, ha affermato “non sono vere e ciò di cui sono accusato non è mai successo”.

Certo, se l’unica accusa fosse quella di Tara Reade potrebbero esserci dei dubbi. Ma se ad accusare Biden sono,per episodi diversi, altre  otto donne, la faccenda assume un altro aspetto.Di sicuro Biden si troverà in difficoltà nell’accusare Donald Trump di comportamenti non corretti nei confronti del gentil sesso…

Mi chiedo: ma i democratici americani non avevano di meglio da contrapporre a Trump? Dovevano proprio scegliere un anziano accusato di molestie)?

Prima c’è stata la storia mai chiarita del suo appoggio al figlio Hunter per affari legati al gas ucraino, poi la “storiaccia” delle accuse di Tara Reade e di altre otto donne..

Con tanti candidati (penso alla Warren) più giovani e presentabili è stato scelto l'”usato sicuro”. Che a me,però, non pare così sicuro.

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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