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Secondo l’ultimo rapporto di Coldiretti il settore agroalimentare rappresenta il 15% del Pil nazionale, con un valore complessivo di 250 miliardi di euro di fatturato, raggiunti anche grazie ai 272 prodotti dop e igp e alle 4.886 specialità tradizionali regionali che salvaguardano la biodiversità e difendono la tradizione. Nonostante si tratti di ciò che arriva sulle nostre tavole, l’agroalimentare con le sue problematiche e buone pratiche è un settore solitamente poco presente nell’informazione e nel dibattito pubblico.
Ieri due incontri del Festival di Internazionale a Ferrara hanno messo la terra al centro: “Fondi rubati all’agricoltura” e “Terra è vita” hanno messo in luce i due lati della medaglia dell’agroalimentare in Italia. Da una parte il racconto dell’illegalità, con la criminalità che si infiltra nel sistema delle sovvenzioni europee di sostegno al reddito degli agricoltori, dall’altra una storia di riscatto, con una rete di imprenditori e associazioni della società civile che riparte dall’agricoltura perché la Terra dei fuochi torni a essere Campania Felix.

Alessandro Di Nunzio-Diego Gandolfo
Alessandro Di Nunzio e Diego Gandolfo

“Fondi rubati all’agricoltura”, di Alessandro Di Nunzio e Diego Gandolfo, è la docu-inchiesta vincitrice dell’ultima edizione del premio intitolato a Roberto Morrione, fondatore di Rainews 24 e poi direttore di Liberainformazione.
Cinquanta miliardi di euro: sono i fondi europei destinati all’Italia dalla Pac, la Politica agricola comune, cinque dei quali in Sicilia. Attraverso l’Agea (agenzia per le erogazioni in agricoltura) l’Europa, per un terreno di proprietà o anche solo preso in affitto, arriva a elargire oltre 1.000 euro per ettaro, perciò più terreni uguale più soldi. Ed ecco che tanti proprietari, al momento della richiesta di contributi, scoprono inesistenti atti di compravendita a personaggi locali della criminalità organizzata o a loro prestanome. Giovani imprenditori agricoli del siracusano e del catanese come Emanuele e Sebastiano non ci stanno, si rifiutano di abbandonare la loro terra e subiscono perciò minacce e intimidazioni. Come il Presidente del Parco naturale dei Nebrodi, la più vasta area protetta della Sicilia, che ha bloccato le assegnazioni dei terreni e ha iniziato a richiedere il certificato antimafia agli affittuari. O ancora Fabio Venezia, sindaco di Troina, che aveva deciso di alzare i canoni di affitto dei poderi demaniali, concessi da anni a prezzi stracciati e sempre alle stesse famiglie. Ma c’è di più: noti esponenti della criminalità organizzata hanno incassato i fondi per anni, perché i controlli antimafia sono previsti solo per i contributi superiori a 150 mila euro, perciò basta fermarsi sotto quella soglia per evitare fastidiose verifiche.
Le conseguenze? Fondi rubati due volte. La prima perché per la Corte dei conti ormai due terzi dei fondi sono diventati impossibili da recuperare dato che il meccanismo va avanti da talmente tanto tempo che il reato è andato in prescrizione. La seconda perché Bruxelles comincia ad avere qualche sospetto: nei mesi scorsi, in una lettera riservata al ministero delle Politiche agricole (da cui Agea dipende) la Commissione europea parla di “gravi carenze” riguardo i “controlli relativi alla gestione dei debiti e delle irregolarità” e per questo ipotizza una “rettifica finanziaria” di 389 milioni. In altre parole ha intenzione di tagliare i fondi.
E questa non è una pratica limitata alla Sicilia: Alessandro è foggiano e parlando con il pubblico a fine proiezione dice di avere forti sospetti che avvenga anche nella sua Puglia, mentre una signora della platea sostiene che capiti anche nella sua Sardegna. È spaventoso pensare alla cifra che si potrebbe ottenere se allargassimo il sistema a tutta l’Italia.

nicola cedere
Nicola Cecere

Per fortuna poi arriva anche la speranza, ripartendo dalla terra. Nicola Cerere è un allevatore di bufale con metodo biologico a Caserta, racconta la sua storia a “Terra è vita”, uno dei tre incontri organizzati nell’ambito di Internazionale da Alce Nero, che fin dagli anni Settanta si occupa di biologico in Italia e nel resto del mondo. La famiglia di Nicola possiede e gestisce quei 65 ettari da circa cento anni e oltre all’azienda lui ha ereditato l’idea che “l’agricoltura vera è equilibrio fra i vari fattori della produzione”, per questo già nel 1975 il padre aveva deciso di abbandonare l’allevamento intensivo e “tornare al pascolo diminuendo i capi”. Nicola, invece, torna al metodo tradizionale perché per il biologico “troppe carte”. Poi incontra Libera, l’associazione antimafia di don Luigi Ciotti: la sua è l’unica azienda che possiede le caratteristiche per fornire il latte al caseificio della cooperativa “Le Terre di Don Peppe Diana” di Castel Volturno. Nicola decide che ne vale la pena e inizia le pratiche per l’ottenimento della certificazione biologica.
Da quando quel lembo di Campania è diventata la Terra dei fuochi però, “alcuni clienti hanno iniziato a chiedere informazioni sui miei terreni di pascolo e sul mio latte”. Nicola provvede alle analisi del caso e trasmette i risultati agli organi competenti, ma capisce che non basta, capisce che l’unico modo per scalzare dall’immaginario comune quei roghi è sostituirla con un’altra storia, quella del “nostro modo di fare impresa” che deve diventare “il valore aggiunto del nostro prodotto”. Da qui l’idea di mettere in rete varie realtà del territorio per “fare un protocollo che diventi per i consumatori una garanzia del nostro modello di agricoltura”: attualmente del progetto fanno parte Legambiente Campania, Alcenero, Libera e, oltre alla sua, quattro allevamenti di bufale. Il protocollo comprende tre ambiti: il modello di produzione, i diritti dei lavoratori e la trasparenza perché “le aziende devono essere aperte al territorio”. “L’intenzione – sottolinea Nicola – è di fare da traino per altri” coinvolgendo altri imprenditori e altri attori sociali.
La storia di Nicola dimostra che una proposta economica solida, concreta, efficace e nello stesso tempo basata sulla qualità e su valori etici e sociali è possibile: un passo in più per la creazione di un sistema economico legale ed etico che combatta la criminalità organizzata attraverso un percorso di riappropriazione e rigenerazione del territorio.

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Federica Pezzoli


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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