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di Francesco Fiore

La nostra epoca è l’unica nella storia dell’uomo in cui non abbiamo la preoccupazione di procurarci il cibo. La produzione industriale infatti dà agli abitanti dei Paesi industrializzati la possibilità di avere ciò che si vuole, quando lo si vuole. Esiste però un lato oscuro dell’industria alimentare che Philip Lymbery (chief executive officer of compassion in world farming) descrive nel suo omonimo libro come “Farmageddon”. Lo scenario alimentare apocalittico è stato profetizzato da Lymbery dopo tre anni in viaggio per il mondo alla scoperta di come viene prodotto il cibo che mangiamo. Durante questo periodo l’autore ha scoperto gli sprechi, le condizioni estreme e la produzione sregolata che stanno dietro alle megafarm americane, che rischiano di arrivare anche in Europa grazie ad un trattato, il Ttip, sotto la menzogna di una intensificazione sostenibile.
I danni ambientali di questo metodo di produzione sono innumerevoli per l’ecosistema del pianeta e la sostenibilità delle risorse della terra e del mare, evitabile solo attraverso la creazione di una maggiore consapevolezza e attenzione riguardo a ciò che mangiamo.

È quindi meglio essere vegetariani, vegani o carnivori? La domanda secondo Lymbery non richiede una risposta, ma serve ad incentivare un ragionamento su che cibo consumiamo e come questo arriva fino a noi. Come afferma Marco Costantini di Wwf, “non possiamo più permetterci il lusso dell’indifferenza rispetto a quello che mangiamo”. Dietro la carne prodotta industrialmente ci sono animali allevati in condizioni estreme e innaturali, alimentati con i prodotti di colture che potrebbero sfamare milioni di persone e imbottiti di antibiotici. Dietro il pesce che finisce sulle nostre tavole ci sono tutte le altre specie che non interessano al mercato e vengono rigettate in mare. La monoculture intensive, a causa dell’uso di prodotti chimici, distruggono l’ecosistema circostante costringendo la California, ad esempio, a importare le api per impollinare i filari. Il nemico comune è quindi la produzione industriale di cibo, che secondo Lymbery ha la potenzialità di produrre cibo sufficiente per il mondo di oggi e di domani ma spreca più di ciò che produce.

Come è possibile dunque evitare l’apocalisse alimentare profetizzata dall’autore di “Farmageddon”? Dobbiamo diventare tutti vegetariani? Anche se per Umberto Veronesi questa sarebbe una conquista di civiltà, la risposta è no. Ciò che abbiamo il dovere di fare è influenzare le decisioni politiche riguardo alla produzione di cibo partendo dal carrello della spesa, cioè dalla scelta di cosa mangiare, sviluppando e favorendo una cultura del cibo basata sul mangiare meno e mangiare meglio, sul rispetto dei prodotti e dei luoghi nei quali vengono prodotti.
Mangiare non è solo “un atto agricolo”, come scrive Wendell Berry. E’ anche “un atto ecologico e politico” annota Michael Pollan nel suo “The omnivore’s dilemma: A natural history of four meals”.

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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