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3. SEGUE Il terzo e, almeno per ora, ultimo incontro in questo percorso di approfondimento su teoria del gender e bullismo omofobico nelle scuole è con Elena Buccoliero, sociologa e counsellor, referente dell’Ufficio Diritti dei Minori del Comune di Ferrara, dal 2008 è giudice onorario al Tribunale per i Minorenni di Bologna; da anni si occupa di bullismo in adolescenza con attività di formazione, ricerca, intervento e divulgazione a livello nazionale, ed è autrice di diversi testi sul tema, come “Il bullismo omofobico. Manuale teorico-pratico per insegnanti e operatori” (Franco Angeli, 2010, insieme a Marco Maggi, Luca Pietrantoni e Gabriele Prati).

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Elena Buccoliero. Fonte: Regione Emilia Romagna

Non solo, Elena è anche attivista del Movimento Nonviolento e proprio da qui parte la nostra conversazione su identità sessuale e di genere, sui progetti di educazione all’affettività e alla sessualità, sull’omofobia a scuola. “Una cosa che si impara studiando la gestione dei conflitti è che la gestione dei conflitti sui valori è semplicemente impossibile, a meno che non ci sia qualcuno che rinuncia ai propri, cosa in realtà non auspicabile tutto sommato. Per questo io credo che l’unica cosa che si può fare in situazioni come queste è trovare una modalità per gestire la realtà: il punto non è che cosa sia più vero, ma come possiamo starci dentro tutti e questo è un passaggio che vedo avvenire raramente, soprattutto quando si parla di questi argomenti”. “Un’altra cosa che andrebbe detta – continua Elena – è che ci sono dei dati di realtà e tendenze molto chiare: l’omofobia esiste, il bullismo esiste, il bullismo omofobico esiste, anche verso maschi che non sono gay, ma che hanno un modo di interpretare la propria mascolinità differente dalle regole che il contesto decide. Questo è un problema di diritti delle persone, cioè di possibilità di stare dentro un contesto collettivo in maniera diversa. In più è un tema particolarmente sensibile perché tocca una sfera che nel periodo della preadolescenza e dell’adolescenza è fondamentale: quella della costruzione della propria identità”.

Una delle ambiguità principali riguardo questi temi riguarda le nozioni di sesso e genere: alcuni affermano che il genere sarebbe inesistente perché esiste solo il dato biologico del dimorfismo sessuale.
Lo psichiatra Paolo Rigliano nel suo “Amori senza scandalo” si sofferma su quanto ci sia di naturale e quanto di culturale nell’identità di genere, arrivando a una conclusione che sembra quasi banale: dalla rassegna dei vari studi emergerebbe che una risposta non ce l’abbiamo. L’omosessualità esiste anche fra gli animali e questo ci potrebbe far pensare che effettivamente ci sia un aspetto genetico, poi sappiamo anche che ci possono essere esperienze e comportamenti che contribuiscono a marcare determinate identità. Quindi dire che l’omosessualità è un fenomeno naturale e basta può darsi che non sia corretto, in ogni caso viviamo in una società che è fatta di cultura, nel senso di rappresentazioni sociali, di valori, perciò pesa enormemente nella vita delle persone come si interpretano, valutano, vivono, giudicano, manifestano, determinati comportamenti e caratteristiche. Una persona potrà incontrare un ambiente ‘ostile’ oppure ‘accogliente’ e questo farà la differenza nella sua vita. Tornando a Rigliano, nel libro afferma che si è gay perché succede di essere gay, quasi non ci fosse una soluzione alla domanda. Il dato di fatto è che le persone omosessuali esistono e credo che a partire da questo chi deve prendere decisioni si debba chiedere quali siano quelle a tutela dei diritti di tutti.

E per quanto riguarda i ragazzi?
Per quanto riguarda i ragazzi noi sappiamo che nelle scuole esiste un atteggiamento di omofobia, in alcune più in altre meno, e questa è una cornice assolutamente culturale perché non c’è nulla di naturale nel fatto che per offendere un compagno gli si dia del ‘finocchio’, però è l’offesa più comune. Parlando con i ragazzi poi confessano che in realtà non è che pensino male dei gay quando usano quell’espressione come un’offesa: è che fa ridere e si è sempre fatto così.
Queste cose esistono in tutte le scuole, ecco perché è un argomento da affrontare perché le persone possano stare bene in una scuola che sia inclusiva. Non è ideologico, ma rispecchia la realtà, il fatto che a scuola si faccia educazione sessuale e affettiva facendogli sapere che esistono gli eterosessuali, gli omosessuali, i transessuali: è dare legittimità, spazio di esistere, cittadinanza, a modi diversi di essere. Questo non significa che qualcuno venga spinto o indotto a essere omosessuale. Secondo me è logico che la scuola, laica e universale, trasmetta ai ragazzi una visione globale di quello che ci può essere nel mondo, non solo su questo, ma su molti altri argomenti. E nello stesso tempo significa far sapere a chi è gay o si sta domandando quale sia il significato di alcune sue emozioni che non è una cosa sbagliata, indecente, di cui vergognarsi, ma è un modo possibile di essere.
Questo non dovrebbe essere solo un tema che riguarda Arcigay e Arcilesbica, ma dovrebbe diventare un tema che riguarda tutti: io non so se ha senso dire che esiste un’ideologia gender, certo esistono le persone omosessuali, esiste una domanda che riguarda i diritti delle persone, qualunque orientamento sessuale abbiano, ed esiste una società che non è pronta ad accogliere tutti, su cui perciò bisogna lavorare. E questo è un discorso che vale naturalmente per tutti i tipi di diversità.

Secondo gli estensori dei documenti contro la sua introduzione nelle scuole italiane, “la “teoria del gender” vuole, come imposizione dell’alto, che tutti noi, compresi i bambini, non diciamo più “io sono maschio” o “io sono femmina”, ma “io sono come mi sento””. È davvero così?
Io non conosco progetti che pongano la questione in questi termini, ciò non significa che non ce ne possano essere. Non mi piace pensare a progetti che dicano questo, preferisco interventi che insegnino che dire “sono maschio” o “sono femmina” può significare molte cose, cioè che essere maschio o femmina non significa per forza essere in un unico modo. Preferisco pensare che si possa insegnare che ci sono tanti modi di essere maschio e di essere femmina e che sapere questo possa far sentire maggiormente sicuri e a proprio agio nel mondo.

Una delle critiche a mio avviso più gravi è che i progetti di educazione sessuale e affettiva su orientamento sessuale e identità di genere non rispettino il ruolo della famiglia nell’educazione, sostenendo che l’ideologia dell’indifferenza sessuale venga introdotta con l’inganno affermando di combattere il bullismo omofobico.
Io non conosco scuole, soprattutto a livelli più bassi di età, dove si facciano progetti sull’affettività e sulla sessualità senza comunicarlo alla famiglia. Inoltre ciò che non è episodico sta nel Pof, Piano dell’offerta formativa, che è sottoposto a delle procedure che prevedono l’approvazione da parte delle famiglie. Perciò non è vero che si fanno Pof dove le famiglie non possono mettere bocca, piuttosto si potrebbe dire che ci sono famiglie che non vanno ai colloqui con gli insegnanti dei figli nemmeno a fine anno, oppure che ci sono elezioni dei rappresentanti dei genitori in cui si sa già chi verrà eletto, cioè l’unico ad essersi presentato. Gli strumenti per la partecipazione della famiglia nelle scuole ci sono, la questione e se vengano usati.

La mozione contro l’introduzione di “programmi di indottrinamento” sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere approvata dal Consiglio Regionale della Basilicata pone fra le premesse il fatto che “è compito della famiglia – “società naturale fondata sul matrimonio” fra un uomo e una donna – trasmettere la vita, i valori culturali, etici, sociali, spirituali e religiosi”.
Lasciando da parte il fatto che si fa un’aggiunta di non poco conto all’articolo 29 della Costituzione, che parla di tutela della famiglia, ma non specifica in alcun modo che sia formata da un uomo e una donna, la famiglia oggi è ancora solo questo? Questa difesa della famiglia ‘tradizionale’, se così la vogliamo chiamare, non può nascondere un’insicurezza riguardo al fatto che sempre più l’essere genitore non riguarda solo il dato del legame biologico, ma l’aspetto relazionale: in altre parole una definizione di genitore che è ‘buono’ per il suo comportamento, per quello che fa, non per quello che è? Mi viene in mente per esempio Malcom X quando affermava che tutti possono fare figli, ma non tutti sono in grado di essere genitori.

Io non so perché se c’è qualcuno di diverso dalla maggioranza, questo debba mettere insicurezza nella maggioranza stessa. Quando si fanno discorsi ideologici non si tiene in conto che poi andrebbero declinati nella vita delle persone: stare accanto al proprio compagno o alla propria compagna in ospedale è una concessione o un diritto? È un diritto, anche se per alcuni non c’è ancora nessuna legge che lo riconosce. Si vivono le stesse preoccupazioni la stessa ansia, non importa se il compagno o la compagna sono di sesso uguale o diverso.
A parte frange di estrema omofobia, secondo me la generalità delle persone è molto aperta sul tema omosessualità, molte però si fermano sulla soglia dell’adozione da parte delle coppie gay, mentre l’adozione delle coppie eterosessuali non causa la stessa inquietudine.

Quindi tu pensi che ci sia una componente di sincera preoccupazione per la psiche dei bambini?
Secondo me sì, può essere che davvero ci siano persone sinceramente preoccupate per la psiche del bambino e si chiedano quali modelli di maschile e femminile abbia se cresce in una famiglia omogenitoriale.

E a tuo avviso questo timore è fondato?
Non lo sappiamo ancora. Ci sono studi che dicono di sì, altri che dicono di no, mentre altri ancora sostengono che eventuali problemi sorgano non tanto dal fatto di avere genitori omosessuali, ma dallo stare in un contesto che stigmatizza questa cosa.

I bambini, infatti, non entrano in relazione solo con i propri genitori: ci sono i nonni, gli zii, tutto un contesto di adulti con i quali entrano in contatto e nei quali possono trovare il maschile e il femminile di cui hanno bisogno.
Certamente sì, c’è un grande contorno che spesso non viene tenuto sufficientemente in considerazione. Però è anche vero che gli anni determinanti per la costruzione della personalità sono quelli da 0 a 3 e in questo periodo il riferimento diretto sono i genitori.
Poi però si potrebbe anche dire che, per esempio, nei periodi di guerra frotte di bambini sono cresciuti solo con donne: madri, nonne, zie, sorelle. Questo non ha modificato il loro orientamento sessuale. Trovo curiosa l’idea che se un bambino o una bambina stanno a contatto con persone omosessuali o hanno genitori omosessuali hanno maggiori possibilità di essere a loro volta gay. Siccome le persone omosessuali sono tutte nate da genitori etero, viene da farsi qualche domanda.

4. FINE

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Federica Pezzoli

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