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“MUSICI” FERRARESI DEL PRIMO NOVECENTO
ALDO FERRARESI E MAFALDA FAVERO

Aldo Ferraresi – Nato a Ferrara, Aldo Ferraresi (1902-1978) imparò i primi rudimenti del violino all’età di appena sei anni, nel 1914 entrò al Conservatorio di Parma e conseguì quindicenne il diploma al “Santa Cecilia” di Roma.
È stato a lungo il solo esecutore in grado di cimentarsi con il IV concerto di Paganini, dei cui Capricci divenne più tardi uno fra i maggiori interpreti in assoluto.
La sua straordinaria carriera lo ha portato sui più prestigiosi palcoscenici d’Italia e di Europa, strappando entusiastiche recensioni sulle pagine di importanti testate giornalistiche quali: “Il Tempo”, “La Liberté”, “Times”, “Listener” e altre ancora.
Definito da qualche critico «uno dei più grandi violinisti viventi», Ferraresi ebbe come primissimo maestro il padre sottufficiale dell’esercito ed è, con ogni probabilità, nella propria famiglia ferrarese che scaturì in lui la scintilla del suo innato talento.

Mafalda Favero – Nata a Portomaggiore (FE), Mafalda Favero (1903-1981) ha compiuto gli studi musicali a Bologna e ha debuttato come cantante lirica con Turandot nel 1927 a Parma, quello stesso anno si è presentata alla Scala nei Maestri Cantori sotto la direzione di Arturo Toscanini.
Soprano lirico dotato di straordinario timbro vocale e di grande presenza scenica, si è in specie distinta come appassionata interprete di opere quali Madama Butterfly, Bohème, Manon, ma è stata unanimemente apprezzata anche come soprano leggero (Elisir d’amore, Don Pasquale, Don Giovanni) e lirico-spinto (Adriana Lecouvrer, Zazà).
Ha partecipato a molte prime esecuzioni di Mascagni, Zandonai, Wolf-Ferrari e Milhaud. Ritiratasi (ancora giovane) all’apice della carriera, Mafalda Favero ha calcato le scene dei più prestigiosi palcoscenici d’Italia, d’Europa e del mondo.
Oltre ai succitati capolavori operistici, altri suoi indiscussi cavalli di battaglia furono: Lohengrin, Cavalleria rusticana, Cantori di Norimberga.

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Riccardo Roversi

È nato a Ferrara, dove si è laureato in Lettere e vive tuttora. È critico letterario e teatrale per varie testate (anche on-line) e direttore responsabile di alcuni periodici. Ha scritto e pubblicato numerosi libri: poesia, teatro, saggistica. La sua bibliografia completa è consultabile nel sito: www.riccardoroversi.onweb.it.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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