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A due piazze fra Riccarda e Nickname affronta una storia vera: moglie e amante del marito si trovano a lavorare insieme. Ma solo una delle due sa. Che fare?

N: Hai una storia clandestina con un tuo collega di lavoro. Non proprio un diversivo o uno scherzo, dura da anni. Come chiunque viva la stessa situazione, speri che un giorno lui si decida a uscire dalla clandestinità, per sceglierti alla luce del sole. Quel giorno ancora non arriva. In compenso ne arriva un altro. Un giorno il datore di lavoro decide che sua moglie viene a lavorare nel tuo reparto, e che tu, che sei la più esperta nel tuo reparto, le farai da insegnante. Da tutor. Cosa hai fatto di così grave per meritare questo? Poi ci pensi sopra. E cominci a vederla non solo come una sciagura, ma come una maliziosa offerta del destino.

R: Lucidissima retribuzione del destino. Ecco che si avverano tutti quei “come vorrei essere una mosca per vedere come vive con lei, cosa mangiano, da che parte del tavolo si siedono, se si scambiano le forchettate o se si ignorano pure a colazione”. Nelle notti piangenti, mai lei avrebbe immaginato un tale dono: sapere tutto, direttamente dalla moglie. Fra colleghe di lavoro si parla, nelle pieghe dei discorsi scappano (mai a caso) dettagli che costruiscono la vita che gli altri non vedono. La tutor potrà finalmente fare l’apprendista del rapporto di coppia della sua sottoposta: sarà una gavetta dura, ma rivelatrice. Chissà se, alla fine, il marito dell’altra, lo vorrà ancora.

N. Potrebbe andare così, in effetti. Oppure la tutor/amante potrebbe venire travolta dal senso di colpa, e dalla paura che l’indagine metta in luce aspetti che sarebbe meglio non conoscere; non solo perché conoscerli potrebbe mettere lei nella condizione di non volere più lui, ma soprattutto perché potrebbe mettere lui nella condizione di mollare lei, per non rompere il legame ufficiale. A volte i coni d’ombra proteggono molto più di una vampa accecante di luce.

R: Più che una protezione la vedo una limitazione quella del cono d’ombra, un imbuto che ti incastra e ti rende asfittico il contorno. A lei auguro di fare quel salto di conoscenza che le permetta di vedere tutto, uscire dalla caverna da cui percepiva solo ombre, recuperare i pezzi, mandarli all’aria se non li vuole più o accettarli così come sono, ma solo dopo essere stata al centro di una vampa di luce.

Vi siete mai trovati a scegliere se accettare l’ombra o venire fuori alla luce? Siete d’accordo sulla “protezione” di cui parla Nickname? O preferite sapere tutto?

Potete scrivere a parliamone.rddv@gmail.com

In copertina: elaborazione grafica di Carlo Tassi

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Riccarda Dalbuoni

È addetto stampa del Comune di Occhiobello, laureata in Lettere classiche e in scienze della comunicazione all’Università di Ferrara, mamma di Elena.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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